La storia, però, si ripete. A Salem avvenne il sanguinoso
processo alle streghe nel XVII secolo, in cui troviamo coinvolte anche le tre
dee, che non se la cavarono. Per quanto immortali, capita anche alle due dee
più giovani, Ingrid e Freya di “morire”: per stregoneria, per incidente,
raramente per malattia. Ritornano in vita sempre attraverso la madre, Joanna, che
si trova all’improvviso ringiovanita e incinta. Il modo in cui la Melissa
descrive questo avvenimento è davvero spassoso. Allo stesso modo, quello che ho
trovato molto divertente è il modo in cui finisce per mescolare personaggi e
tradizioni diverse. Poiché le dee nordiche non sono sufficienti, compaiono a
movimentare la narrazione un paio di vampiri, guest star, che è meglio non
inimicarsi. Arrivano da New York , sono della stirpe dei Caduti, e sono
talmente potenti da avere in mano l’intera città, se non il mondo. E’ un’idea
che si trova anche in Twilight e negli altri libri della serie. In mezzo a noi
umani camminano queste creature, più o meno assetate di sangue umano, a seconda
del loro regime alimentare, che vanno però quasi sempre ad occupare posti
chiave nel mondo. Non mi è ancora capitato di vedere un vampiro povero, nei
libri che ho letto finora. Forse caduto in disgrazia, in depressione (ebbene
sì, Anne Rice li fa cadere in depressione nel suo bellissimo ciclo, al punto da
indurli a “seppellirsi” letteralmente sotto metri di terra, come se fossero
lombrichi), imbruttito, indebolito, ma povero mai.
domenica 29 luglio 2012
giovedì 26 luglio 2012
Le streghe di East End – La mitologia nordica reinterpretata.
L’estate si sta approfondendo. Si avvicina anche il momento
di partire per le vacanze, mare, montagna, estero, città d’arte, paesi d’infanzia.
Magari con una borsa di libri, perché adesso si ha più tempo. Per una furiosa
come me, ogni stagione è il tempo dei libri. Tutto il resto viene dopo. Suono
fanatica. Sì, lo ammetto. I libri sono quegli oggetti nel mondo umano che mi
fanno vedere tutto solo bianco o solo nero. In altri campi, esistono infinite
sfumature di grigio. Questo libro è un regalo molto gradito, che arriva dalla
biblioteca di Marzia. Leggendo il titolo, la prima connessione che si è
verificata nei neuroni preposti era con le streghe di Salem, uno dei casi di
stregoneria più feroci, per come sono avvenuti i fatti, della storia umana. E
poi con uno dei molteplici libri ispirati, Le notti di Salem, di Stephen King.
Nonostante siano passati diversi anni da quando l’ho letto, avverto ancora
qualche brivido freddo. Niente di tutto questo. Il brivido di freddo, più che
altro un fresco piacevole, si può ritrovare nei riferimenti abbondanti alle dee
della mitologia nordica, su cui è costruito il libro. Non conoscevo l’autrice e
nemmeno il genere cui appartengono i suoi libri. Dopo qualche ricerca (Internet
Santa Subito), ho scoperto che Melissa De La Cruz ha scritto moltissimi libri,
quasi tutti del genere urban fantasy. L’urban fantasy è un sottogenere del
fantasy: le sue storie inventate sono ambientate in posti reali, al contrario
del fantasy vero e proprio in cui personaggi e trame si svolgono in ambienti e
paesaggi completamente di fantasia. Le
protagoniste, qui, sono tre donne, una madre e due figlie: Joanna, Ingrid e
Freya, che vivono a North Hampton, una cittadina americana di provincia, uguale
a tante sue consorelle di tanti altri libri, film e telefilm (tipo Cabot Cove
de La Signora in giallo, tanto per intenderci). Non sono donne qualunque. Sono dee, sotto
mentite spoglie. Il nome Freya mi aveva subito messo sull’attenti…
lunedì 23 luglio 2012
Fai bei sogni – Il grande enigma, il grande gioco, la grande illusione
Si avvicina
la fine del libro, e anche quello della resa dei conti. Per tutte le pagine,
c’è un senso di attesa sotto, qualcosa che continua a mandare segnali perché
c’è qualcosa che non va. Il Massimo adulto viene a conoscenza di com’è morta
sua madre, davvero. Non scendo nei dettagli, anzi, li evito decisamente. Quando
riusciamo a trovare il tassello mancante in una situazione nella nostra vita (e
se siamo particolarmente bravi/fortunati/tenaci/coraggiosi/pazzi quello che
risolve l’intera vita), improvvisamente tutto quadra e s’infila al proprio posto,
come nei giochi di bambini dove inserire e indovinare la forma geometrica
giusta. Quasi per magia. Ogni cosa che guardiamo, pensiamo, via! Vola al suo
posto, dopo mesi, anni di sforzi apparentemente inutili. E’ quello che accade a Massimo: non
solo eventi della sua infanzia acquistano un altro significato, ma anche il
rapporto con il genitore rimasto, e poi andato via, suo padre. Tutte le azioni
del padre acquistano un altro spessore, un altro significato, migliore e più
completo. La freddezza e distanza apparenti diventano uno schermo che ha tenuto
lontani padre e figlio per tutti gli anni dopo la morte della madre, come in
uno spartiacque invalicabile. Ma è davvero invalicabile, ogni muro, ogni limite
che tiriamo su, basandoci molto spesso sulla nostra interpretazione dei visi e
degli umori altrui, sulle nostre proiezioni dettate dalle nostre menti che non
tacciono mai, e mai prendono in considerazione l’alternativa più positiva in un
ventaglio di ipotesi?
giovedì 19 luglio 2012
Fai bei sogni – Una vita in punta di piedi
Confesso che ho letto il libro con un senso crescente di
straniamento. Non saprei nemmeno spiegare, per quale motivo strano, ritenevo
che Massimo Gramellini non stesse parlando di se stesso, ma stesse raccontando un
romanzo in terza persona. Gli eventi, descritti, quindi, una madre che muore
giovane lasciando un figlio bambino, non potevano essere pezzi di vita sua, ma
un espediente letterario. Ripeto, non so proprio spiegarmi perché escludessi a
priori che la vita dell’autore fosse libera da dolori e angosce; un personaggio
famoso, capace di scrivere come lui, doveva forse essere al riparo da qualunque
avvenimento doloroso? Il dolore, invece, non si è tenuto minimamente lontano
dalla sua vita, tutt’altro. Si è presentato nel modo peggiore, camuffato sotto
tutta una serie di scuse e giustificazioni degli adulti, preoccupati che il
bambino Massimo dovesse soffrire troppo, di fronte alla verità spietata, ovvero
che la madre stava morendo. E capita in modo strano, ovattato. Si sente subito,
nelle parole di Gramellini che parla da bambino di quello che stava vedendo con
i suoi occhi “bambini”, che c’è qualcosa di non detto, di nascosto solo
parzialmente, come un’ombra goffa e pesante nascosta dietro una tenda
semitrasparente. Ed è una sensazione che accompagna per tutto il libro,finché
quella tenda non viene aperta. E non
dirò mai cos'era l’ombra, poiché è troppo importante fare la sua conoscenza,
prima di ascoltare il suo urlo quando viene scoperta. Un urlo che è già stato
sentito, ma non ascoltato, per almeno quarant’anni, per la durata della vita di
Gramellini.
lunedì 16 luglio 2012
Fai bei sogni – L'eco del dolore altrui
Questo libro è entrato dalla porta di servizio. Nel senso
che non è rimasto attaccato alle mie mani, ma a quelle di mio marito, che lo ha
scelto d’istinto. Io, naturalmente, mi sono ben guardata dal muovere qualunque
tipo di obiezione. La mia missione principale, nella vita, è quella di dare
asilo ai libri, salvandoli dalla solitudine delle librerie. Non è da trascurare
il fatto che a me piace moltissimo lo stile di Massimo Gramellini: ogni tanto
il suo nome si sovrappone, nella mia mente, a quello del giornale di Torino per
cui scrive, La Stampa. Difficile prescindere da lui, se vivi in questa città e
leggi quel giornale. Spesso non leggo nemmeno i titoloni in alto degli articoli
più in alto, quando compro La Stampa fisica, ma vado ad accertarmi che ci sia
il suo “Buongiorno” e a leggere il relativo titolo. Poi acquisto. Allo stesso
modo, nella versione online del giornale vado a guardare la sua rubrica, anche
facendo veri e propri camel trophy per trovarla, perché non è immediatamente
visibile, come nella sua controparte di carta. Misteri da webmaster. Scoprii l’esistenza
e lo stile di Massimo Gramellini all’epoca di Specchio, il supplemento del
sabato, con la sua rubrica, Cuori allo Specchio. All’inizio mi era quasi
completamente sfuggita: l’avevano messa in ultima pagina, che è il luogo che
scarto quasi a priori. Mi sono accorta presto, però, che il detto “dulcis in
fundo” qui è particolarmente adatto, per cui l’ultima pagina per me divenne
prima: adottai la lettura alla “giapponese” per Specchio…J Quello che mi colpì
quasi subito del modo di scrivere di Gramellini era il suo stile molto vivo, di
carne.
giovedì 12 luglio 2012
Assassinio nella Cattedrale – La tentazione
L’atmosfera è pesante, tetra e senza alcuna speranza, da
subito. Un coro di donne, che sembra uscito direttamente dalle tragedie greche,
fa sentire subito la disperazione di un giorno di dicembre del 1170, quando
tutta la vita sembra essersi fermata per l’inverno. Sono preoccupate per se
stesse, per gli oscuri presagi che leggono nella natura intorno, per
l’Arcivescovo e la difficilissima posizione in cui si è messo, ostacolando la
volontà del re. Alcuni preti entrano dopo di loro, e la conversazione è sullo stesso
tenore: nessuno di loro vede la possibilità di un esito positivo della vicenda.
Quando entra Thomas à Becket, non ci sono grandi cambiamenti: lo stesso
Arcivescovo si sente segnato, sente che il suo tempo è contato e che non può e
non vuole farci nulla. La prima volta che lessi il libro, al liceo, avevo
soggezione di questa atmosfera tragica, di tono così elevato. Thomas à Becket,
fin dall’inizio, sa che deve morire, che non può non morire, e accetta la sua
fine inevitabile con coraggio sereno. Ora, a distanza di anni e con una visione
almeno un po’ più ampia e sperimentata, sarei portata a pensare che l’arcivescovo
si è arreso troppo presto al suo ruolo di martire.
mercoledì 4 luglio 2012
Assassinio nella Cattedrale – Un titolo cinematografico
Di nuovo Eliot. Dopo aver finito di leggere Il libro dei
gatti tuttofare, ho scoperto che non potevo fare a meno di ritornare all’altro
titolo che ho già nominato di Eliot, Assassinio nella Cattedrale. Lo lessi a
scuola, e la mia immaginazione piuttosto fervida si era avventata subito sul
titolo, dai toni apocalittici, cinematografici, e dai molteplici echi. Non
conoscendo ancora Eliot e non sapendo collocarlo nel suo tempo, la prima cosa
che pensai fu ad un giallo sul modello di quelli di Agatha Christie. Rimuginando
sul titolo, mi sembrava di sentire alcuni echi del genere “Hanno ammazzato
compare Turiddu!”, che è l’urlo che chiude Cavalleria Rusticana, di Verga. Ok,
sono consapevole che sono due autori, due libri, due situazioni completamente
diverse. Ma hanno in comune una matrice tragica che corre al di sotto delle due
narrazioni, e che non si può rovesciare. I protagonisti finiranno entrambi
uccisi, lo sanno entrambi (Cronaca di una Morte annunciata…sì, questo titolo di
un’opera completamente a se stante potrebbe essere il sottotitolo ideale di
parecchi libri. Ora si capisce meglio cosa s’intende per “Furore d’aver libri’”?
Si inizia a parlare di libri e la frenesia s’impadronisce, spingendo a
richiamare alla memoria autori e libri diversi, antitetici, uguali, separati
alla nascita) e non lottano per cambiare questo stato di cose. Sanno che è
ineluttabile, ed è necessario per loro finire così. Entrambi, Turiddu e Thomas
à Becket, l’arcivescovo di Canterbury, hanno offeso un’autorità, che non
prevede il perdono per quello che hanno fatto.
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