Per quanto mi riguarda, non potevo considerare un altro
esempio di trasposizione cinematografica, piuttosto “ingombrante”. Non tanto
per il numero dei film, solo tre, ma per la fama e l’importanza del libro, Il
Signore degli Anelli di J.R.R.Tolkien. Inizio subito a dichiarare che sono
molto di parte. E’ uno dei libri che mi hanno impressionato prima e più a fondo
di qualunque altro abbia potuto leggere. Un giorno, se troverò coraggio a
sufficienza di misurarmi con la tradizione, gli dedicherò un’intera sezione.
Era un appuntamento obbligato delle mie estati di ragazzina, per circa
sei-sette anni. Finita la scuola, inauguravo le vacanze con Il Signore degli
Anelli. La trasposizione cinematografica più famosa è quella del neozelandese
Peter Jackson, negli anni 2000 – 2003. E’ probabile che ce ne siano state di
precedenti, ma non sono riuscita a rintracciarle. Quando è uscito il primo
film, la mia prima reazione è stata: “ah ah, adesso voglio proprio vedere”. Non si affronta così impunemente un librone
pieno come questo, voglio vedere cosa dimentica. Non sono andata al cinema, ma
appena ho potuto ho preso la trilogia in VHS per gustarmela con calma a casa. Mi sono disinteressata grandemente della
critica al film perché volevo guardarlo e sentirlo con la mia sensibilità
viziata di lettrice fanatica (anche) di Tolkien. E il risultato è stato che la
sensazione di vuoto e di mancanza che percepivo nei film Harry Potter, qui si è
fatta sentire molto poco. Ho amato tutti i personaggi, anche quelli che avevano
facce completamente diverse da come le avevo immaginate: Orlando Bloom con le
orecchie a punta e i capelli fluenti, per quanto mi rendesse un pochino
perplessa, era convincente.