Continuano le letture “rinfrescanti”. Dopo i mostri reali,
avevo bisogno di ritornare a quelli letterari, o anche solo “metaforici”.
Saruman ha appena ricevuto schiaffoni in piena faccia dagli Ent, che gli hanno
letteralmente distrutto casa da sotto i piedi, e fatto fare una fine misteriosa
e terribile ad una buona parte dei suoi eserciti contro natura, e ora sta
affrontando Gandalf e Aragorn, decisi a tenere le orecchie chiuse ai suoi toni
mellifui da incantatore di serpenti. E, per contrastare il caldo, e rituffarmi
nell’amata letteratura inglese, ecco un altro vampiro letterario, che fu un
piccolo caso, a suo modo. Anche John William Polidori, il suo creatore, fu un
esempio singolare di uomo. Di origine italiana, fu medico, scrittore e segretario
nonché dottore personale di Lord Byron. Dev’essere stato un temperamento
particolarmente brillante e sanguigno, allo stesso tempo, di quelli che sentono
le emozioni espandersi in tutte le fibre fino ad impadronirsi della mente e
zittirla con impeto. Si laureò a vent’anni a Edimburgo, e costruì un rapporto
difficile e tormentato con il suo datore di lavoro e amico, nonché nemico e
principale antagonista, Lord Byron. Un rapporto in cui odio e amore erano
talmente intrecciati da confondersi e sconfinare nella morbosità e nello
scontro continuo. Dopo una rottura particolarmente esasperata con il poeta
inglese, e aver passato un brutto periodo di ristrettezze economiche,
trovandosi nell’impossibilità di saldare un debito, Polidori compose per se
stesso un veleno, con cui si tolse la vita nel 1821. Una fine “romantico-gotica”,
potremmo dire, perfettamente allineata con quella parte della tarda letteratura
Settecentesca, che virava verso il terrore e il fantastico, che aveva in Horace
Walpole e Anne Radcliffe i suoi massimi esponenti. Bram Stoker sarebbe arrivato
da lì a poco a rafforzare questo flusso, con il suo Dracula (1897), e a
trasformarla in qualcosa di più, di una semplice corrente letteraria. Ottantuno
anni prima, nel 1816, Polidori creò il suo Vampiro, in un’occasione
particolare, diventata poi celebre nella storia della letteratura.
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mercoledì 7 agosto 2013
venerdì 26 luglio 2013
L’ospite di Dracula – Bram Stoker inizia.
Sembra fatto apposta. Man mano che l’estate progredisce e
diventa sempre meno sopportabile, io sono spinta a cercare letture veloci e
rinfrescanti, che vanno a nascondersi negli anfratti della mia libreria. Ed
ecco che, dal fondo di uno scaffale, esce un libriccino, intitolato L’ospite di
Dracula, di Bram Stoker, che contiene una serie di racconti del terrore.
L’ideale causa di brividi che portano sollievo con queste temperature
schiaccianti. Leggendo di queste atmosfere nere e di presenze tutt’altro che simpatiche,
ho sentito un certo refrigerio...:-D I libri sono ben in grado di portare
cambiamenti concreti nelle nostre vite, persino in termini di temperatura
atmosferica! Concentrandosi sul libro, si potrebbe dire che contiene un
“episodio pilota”, secondo le definizioni moderne e di matrice televisiva. Nel
racconto intitolato “L’ospite di Dracula”, Bram Stoker tratteggia un breve
antefatto, ancora abbastanza grezzo, della vicenda che svilupperà in seguito
nel romanzo creatore del vampiro per eccellenza. Un gentiluomo inglese che
alloggia in una locanda nei dintorni di Monaco, decide di intraprendere una
lunga passeggiata nei boschi vicini. Riceve forti raccomandazioni di ritornare
molto prima del buio, e di non inoltrarsi lungo un certo sentiero, perché al calar
della sera sarebbe iniziata la terribile Walpurgis Nacht, una ricorrenza del
calendario in grado di spaventare a morte tutti coloro che la nominano. Il buon
inglese, che si dispone a raccontare nei particolari la vicenda, dimenticandosi
di presentarsi al lettore, sbuffa derisorio di fronte alle manifestazioni di
terrore e ai segni della croce ripetuti freneticamente di coloro cui si
rivolge, e intraprende la sua passeggiata. Forte della sua razionalità molto
sviluppata e del suo atteggiamento fortemente empiristico, decide di ignorare
bellamente lo scorrere del tempo, oltre a tutte le raccomandazioni. Arrivato
davanti al sentiero incriminato, cosa farà mai il nostro sprezzante eroe? Ma lo
imboccherà con trepidazione e molto entusiasmo, ovviamente! Mentre noi lettori
sappiamo sempre cosa capita dietro gli angoli, al fondo dei sentieri
sconsigliati, negli angoli bui delle cantine trascurate, o nelle stanze
polverose delle case con cattiva nomea, questi personaggi danno sempre prova di
un ottimismo e di una sventatezza davvero sconcertanti, e quasi sempre
controproducenti. Non racconterò altro di questo gioiellino appena sbozzato di
Stoker: quando si arriva in fondo, e mancano poche pagine dal momento in cui il
gentiluomo posa il piede sul sentiero maledetto, si sorride e si commenta: “ah,
ecco! Tutto quadra!” Stoker scelse poi di sviluppare il romanzo di Dracula in
altro modo, e abbandonò questo scritto breve perché non lo considerò
all’altezza, ma qui ci sono già le caratteristiche del suo modo di scrivere e
di costruire la suspense. Per quanto breve, non si può fare a meno di sentirsi
un po’ in ansia per le sorti dello sventato, e di occhieggiare nervosamente il
fondo delle pagine, per capire se davvero l’ombra dell’albero è solo un’ombra o
qualcos’altro. L’atmosfera cambia decisamente e si fa molto più cupa e anche
meno elegante, con i racconti successivi: La squaw, Il funerale dei topi, e La
casa del giudice. Il titolo de La squaw è ingannevole: viene citata una squaw,
ma non è lei la protagonista vera e propria, ma una gatta nera dotata di
un’insopprimibile sete di sangue e di una capacità di architettare una vendetta
terribile che la accostano ad un demone incarnato, piuttosto che ad un
“semplice” animale. All’astuzia infernale della gatta fa da contraltare la
stupidità boriosa di un essere umano, incauto e superficiale. Il funerale dei
topi è altrettanto fuorviante,almeno a prima vista, perché porterebbe a
immaginare una situazione in cui i topi sono i protagonisti di primo piano, e
siano loro gli attori principali del racconto. Sono spaventosamente presenti,
con i loro occhi e i fruscii dei movimenti, ma il protagonista vero e proprio è
il crescendo di suspense: una situazione che da tranquilla e potenzialmente
sotto controllo, diventa sempre più pericolosa, ad ogni parola pronunciata dai
personaggi, ad ogni dettaglio “strano” messo in evidenza, ad ogni movimento
apparentemente tranquillo. La casa del giudice mette in scena ancora i topi,
facendoli sentire, più che vedere, e i rischi che si corrono quando si presume
troppo dalle proprie forze, e dalle proprie capacità di leggere il pericolo
nell’ambiente circostante. Sono racconti pieni di effetti speciali, tant’è che,
come ho detto prima, sono in grado di spegnere il caldo e l’afa. Il veicolo per
esprimerli non sono personal computer di ultima generazione, ma le parole e il
loro uso molto saggio e accorto, che finisce per catturare chi legge. Stoker è
un cacciatore di attenzione e un evocatore di drammi. I suoi inizi sono sempre
tranquilli, noncuranti, come certi suoi personaggi, un po’ pigri negli
atteggiamenti verso gli altri e la vita. Pronti a diventare sordi alle ansie e
alle raccomandazioni altrui, sfoderano un ottimismo a tutto tondo, e finiscono
per tuffarsi a capofitto in un ginepraio di guai, di natura quasi sempre
sovrannaturale. Talvolta riescono a salvarsi, perché conservano una lucidità
forte che attiva coraggio e risorse, ma quando si rifiutano di farlo, e
camminano ciechi e sorridenti verso la loro rovina, questa arriva in un
secondo, impedendo a chiunque di salvarli. C’è una piccola lezione, al fondo di
queste catastrofi “annunciate”: ti avevo o non ti avevo avvertito? Poiché hai
scelto di ridermi in faccia, ti sei bruciato qualunque possibilità di salvezza.
The horror, the horror!
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