… ed è arrivato il momento per me di leggere e di scrivere
di questo libro, che non è un libro, ma un dialogo. Una conversazione aperta
tra il padre Aldo Cazzullo e i due figli, Francesco e Rossana. Ho già raccontato
della presentazione qui, avvenuta qualche tempo fa nelle Langhe, in cui
ascoltai incantata l’autore parlare senza fermarsi per un’ora di tutto quello
che lo aveva portato a riportare su carta un pezzo di realtà vissuta molto,
molto contemporanea.
La trama del libro è semplice, semplicissima. Una famiglia,
un padre, due figli e un invito/ordine sicuramente reiterato, e chissà quante
volte: Metti via quel cellulare. Tutto lo svolgimento corre intorno alle
ragioni che spingono il padre a prorompere nell’invito/ordine e tutte quelle
che i giovani oppongono per non farlo. La contrapposizione sembra facile,
scontata. Papà Aldo appartiene alla generazione della carta, della macchina da
scrivere, dei trasporti più lenti, dei telefoni a rotella, della Stipel che poi
diventa SIP, e poi Telecom, e poi TIM, con i primi cellulari grandi quanto
piastrelle e pesanti come tronchi, con antenne lunghe come le radio degli anni
’60 (quella che ho in casa io ha un’estensione chilometrica. Avrei potuto
captare anche i segnali da Marte, se opportunamente orientata).
Aldo è semiserio nello sgridare i figli che sono chini sui
loro smartphone, compresi nel loro mondo di comunicazione virtuale e social,
alle prese con video, chat, ricerche, salti di bip che li portano a ignorare
quasi completamente chi sta intorno a loro. Dove sono finite le giornate con i
nonni, dove sono finiti i rapporti tra nonni e nipoti? E’ una delle domande che
Aldo si fa spesso, rimpiangendo un po’ quel tesoro di conoscenza e saperi che
vanno via con gli anziani, e che nessuno ha tanta voglia di guardare o
ascoltare.
I giovani social del web 2.0 e lo smartphone attaccato alle
mani, che tanto ha cambiato abitudini molto radicate e quasi caratteristiche di
uno dei sessi, come controllare il trucco usando il telefono e non più lo
specchietto, rischiano di trasformarsi in esseri deambulanti chini su schermi e
appiattiti quanto loro. Con Internet nel palmo della mano c’è un accesso
virtuale a milioni di informazioni di ogni genere, che potrebbero essere la
gioia di ogni ricercatore, ma sono invece quasi la fonte di un nuovo tipo di
ignoranza. L’aver così tanto a disposizione non spinge all’approfondimento, ma
allo sfogliare veloce e compulsivo di tutto, senza la pazienza di andare fino
in fondo. I video non devono durare più di due minuti, altrimenti stancano. Gli
articoli di giornale e dei blog non devono superare una certa lunghezza,
stancano. Senza contare che, in ogni caso, la cultura sembra diventata noiosa,
superflua. Privilegiando la velocità, ci si affida ai giudizi di chi usa lo
smartphone per condividere pareri improvvisandosi esperto da un giorno all’altro,
piuttosto che a coloro che hanno coltivato con pazienza un sapere che permetta
loro di parlare con competenza dell’argomento in questione, che può essere la
storia patria o la scelta di un ristorante.
Se il padre è preoccupato del deteriorarsi delle capacità e
delle abitudini delle comunicazioni, della qualità delle informazioni a
disposizione, del dilagare di un nuovo ceppo di ignoranza favorita dall’estrema
connessione, i figli riportano l’equilibrio ricordando che la diffusione dell’essere
digitale non ha provocato tutta quella alienazione, quasi da film di
fantascienza anni ’70. Non si va più a trovare i nonni, non li si ascolta più?
Ebbene, i nonni hanno imparato a usare pc, smartphone e chiamate Skype, proprio
per vedere e chiacchierare con i nipoti lontani. Per non parlare della
messaggeria tipo Whatsapp. Il diffondere di un contenitore immenso come YouTube
ha avvicinato ragazzi adolescenti e giovani a certa musica classica che
altrimenti sarebbe rimasta a giacere inascoltata nei settori specifici di certe
biblioteche. Oppure nelle case degli appassionati, ridotti a setta.
Nessuno di loro nasconde il fatto che Internet ha anche
creato una versione tutta digitale di bullismo, come se sentissimo la mancanza
di un’altra forma di prevaricazione, o che ha aiutato a sviluppare un certo
tipo di traffici carnali, qualche volta con conseguenze molto tristi e letali. Fa
parte del gioco, ma è vero che comunque esistevano anche prima, nel mondo
cosiddetto “offline”.
Non è stato chiaro e semplice “schierarmi” da una parte
piuttosto che dall’altra. Per come uso io lo smartphone, dovrei stare con
Francesco e Rossana, per quanto abbia due volte e mezzo la loro età. Per
questioni anagrafiche e per qualche visione sulla cultura e sul modo di farne e
fruirne, dovrei sedermi nella fila del padre. Perciò, ho scelto di provare le
poltrone di entrambi i lati (che non sono poi così marcati, o contrapposti)
sedendomi ora da una parte, ora dall’altra. Ascoltando e scoprendo cose e
personaggi parecchio interessanti della blogosfera e del mondo digitale. E anche
in quello offline, che è anche il mio, di provenienza.
Aldo Cazzullo è uno scrittore abilissimo, colto, vivace:
poteva essere altrimenti, con la carriera che ha alle spalle, che non ha
bisogno di presentazioni? Ascoltandolo, viene voglia di mettere via il
cellulare e andare a recuperare lo sguardo e le cose del mondo “vecchio” dei
sensi, in cui si parla, si maneggiano oggetti, si cammina e si guarda il
paesaggio, piuttosto che il video o il pc. D’altra parte… se si ascoltano i
figli, viene voglia di andare a informarsi su tutte le cose che hanno trovato e
sperimentato nella Rete, per aggiungere qualche altra competenza, qualche altro
sito ai propri preferiti, qualche altro personaggio da sbirciare e conoscere.
Un papà. Due figli. Una rivoluzione.
E se la rivoluzione fosse… che non c’è una vera rivoluzione,
ma un’evoluzione?
Non è che Aldo Cazzullo mi sia particolarmente simpatico, devo dire ma in questo caso fa quanto mai bene e scrivere un libro con un titolo di una cosa così evidente ai miei occhi.
RispondiEliminaMolta gente usa lo Smarphone troppo male ed oramai la loro vita è costantemente collegata ad esso. Camminano senza guardare bene dove vanno perhè devono tenere gli occhi sullo smartphone e su Facebook o qualche altra App, sugli autubus non fanno che immergersi nello smartphone, a casa invece di usare il Pc usano lo Smartphone, insomma non riescono a passare un'ora delle loro giornate senza l'amato oggetto, Diventa davvero una dipendenza grave a questi livelli ! Questo succede ai più giovani ma non solo, Per fortuna io, anche se ho lo Smartphone per un motivo o per l'altro sono più equilibrata e lo uso molto meno, non certo quando sono in autobus o quando stò facendo una camminata.
Un saluto, buona settimana e migliore continuazione del mese di dicembre.
Ciao
Lo smartphone è una trappolina affascinante. Piccola, ti connette con tutto e tutti sempre, e ti fa lavorare anche in posti dove normalmente non si potrebbe. Io mi accorgo abbastanza in fretta quando sto esagerando con il cellulare, perché quando lo lascio da qualche parte, non ne sento minimamente la mancanza e non ho la spinta continua a guardare se qualcuno mi ha scritto, o ha notificato qualcosa su Facebook o altre applicazioni.
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