lunedì 28 maggio 2012

Imparare l’ottimismo – Un apprendimento


Questo è un libro da leggere piano e applicare una pagina al giorno. Seligman, dopo aver introdotto l’ottimismo, parla subito del grande antagonista, il pessimismo. Anche il pessimismo s’impara. E come si può imparare, si può anche disimparare.
Ottimisti e pessimisti: li studio da venticinque anni. La caratteristica che definisce i pessimisti è che essi tendono a credere che gli eventi negativi durino molto tempo, distruggano tutto e siano la conseguenza di colpe proprie. Gli ottimisti, quando devono confrontarsi con le avversità di questo mondo, si comportano in maniera opposta. Tendono a credere che la sconfitta sia solo temporanea e che le sue cause siano circoscritte ad uno specifico evento. Gli ottimisti credono che il fallimento non sia conseguenza di errori propri, ma delle circostanze, della sfortuna o delle azioni di qualcun altro. Gli ottimisti non si scoraggiano dopo una sconfitta. Percepiscono  una situazione negativa come una sfida da sostenere strenuamente.”
(Martin Seligman,“Imparare l’ottimismo” –  Giunti, pag.7)
Questo paragrafo, da solo, vale un intero manuale di istruzioni. Pochi tocchi, ed ecco i ritratti accurati degli eterni antagonisti.  E quanto è preciso e corrispondente a verità! Ho riletto queste righe più volte, riconoscendomi in diversi punti dello schieramento, sia da una parte sia dall’altra. E’ vero che sono un’ottimista di natura, ma ho attraversato e ogni tanto mi capita tutt’ora,  di attraversare diversi momenti bui in cui ritengo che gli eventi negativi dureranno per sempre e che siano sempre e solo colpa mia. L’età, gli eventi, una  conversione, hanno fatto in modo che vedessi piuttosto chiaramente questo meccanismo di pessimismo che scattava subito dopo un evento negativo. Porvi rimedio e cambiargli segno non è facilissimo, e nemmeno immediato. Non basta dirsi che andrà tutto bene o fischiettare un motivetto allegro come dice Seligman qualche pagina dopo…è il pensiero alla base di queste affermazioni che DEVE cambiare di segno, per portare al CAMBIAMENTO DI ATTEGGIAMENTO NELLA PRATICA.

lunedì 30 aprile 2012

Imparare l’ottimismo – Insospettabile…


Sembra una scelta modellata sui tempi attuali, che non hanno niente o quasi di positivo o di incoraggiante. I libri, solitamente, svolgono il ruolo di “incoraggiatori” al meglio, dato che aprono sempre la mente spingendola a guardare e riflettere oltre la situazione del momento. Il titolo mi ha colpito subito, perché ho sempre pensato che ottimismo e pessimismo fossero caratteristiche intrinseche e quasi immutabili della persona, quasi come il colore degli occhi o dei capelli. Nonostante si possa intervenire abbastanza facilmente su questi, cambiandoli con lenti a contatto e tinture, è difficile che occhi azzurri diventino verdi o neri  nelle iridi, senza qualche intervento soprannaturale o fantascientifico (tipo quello che capita nel film Face Off). O sei pessimista, o sei ottimista, ecco cos’ho sempre pensato. In questo libro, però, la questione non è così bianco-nero, luce-ombra. Esiste una tendenza a pensare positivamente o negativamente, nell’individuo, determinandone così l’atteggiamento ottimista o pessimista, ma non si tratta di nulla di immutabile o su cui non si possa intervenire. Infatti, il sottotitolo è piuttosto chiaro, oltre che molto allettante:  Come cambiare la vita cambiando il pensiero.  A questo punto sono decisamente affascinata e il libro mi riaccompagna a casa. E’ un libro intenso sin dalle prime pagine: l’argomento è abbastanza complesso e l’approccio che sceglie Martin Seligman è facile, ma non facilone; semplifica ma non sminuisce la materia. Usa moltissimi esempi tratti dalla vita quotidiana, in cui ci troviamo tutti, in ogni secondo del nostro tempo, ad ogni latitudine, con qualunque temperatura e qualunque sia la lingua che usiamo per esprimerci. Il primo aneddoto che usa per esemplificare i due modi principali per porsi nella vita riguarda una giovane famiglia: padre, madre, bimba neonata. Il padre la guarda orgoglioso e felice nella culla, la bimba si risveglia dal suo sonno, il genitore le sorride e tenta di attrarre la sua attenzione chiamandola, non ottenendo risposta. La chiama di nuovo, ma nessuna reazione dalla bimba, che ha gli occhi aperti e si muove, ma non lo guarda. Il padre inizia ad angosciarsi. Quasi di sicuro c’è qualcosa che non va. Batte le mani più forte per attirare l’attenzione della bambina, ma ancora nulla. Ecco. Lo sapeva. La bambina è di sicuro sorda.

lunedì 16 aprile 2012

Tre atti due tempi – Un gioco pericoloso

Il protagonista che narra la vicenda è un magazziniere, padre di un calciatore giovane, ambizioso e sicura promessa, che sogna la serie A e una vita di soldi a pioggia e comodità infinite. Proprio inseguendo la sua ambizione, il giovane accetta di “vendere” la partita ad alcuni figuri poco chiari, che risulteranno poi avere collegamenti  in alto, e in posti impensati. Il padre, soprannominato Silver, scopre quasi subito il gioco sporco, e ne rimane folgorato di dolore.  E’ un personaggio, però, che è abituato a ricevere pugni in faccia e a contraccambiarli con forza, essendo stato un pugile in gamba in gioventù, passato attraverso gli stessi sogni di gloria e lo stesso contatto ruvido con la realtà fatta di scommesse truccate e soldi facili. Di fronte ad una situazione del genere, si può agire o subire. SIlver agisce, e lo fa in maniera creativa, astuta, cogliendo di sorpresa il lettore, che non si aspetta un guizzo brillante come quello, e lo stesso personaggio, che non si aspetta di trovare in se stesso un gusto per l’intrigo e la soluzione sottile, avendo sempre adoperato i pugni per sistemare i problemi. Tre quarti del libro è dedicato allo svolgersi di questa “risoluzione” al problema della partita truccata nel tentativo di sventare il crimine e di salvare l’”anima” (e soprattutto la fedina penale) del giovanotto ambizioso e impulsivo. Naturalmente, mi guardo bene dallo scendere nei particolari: è talmente ben congegnata e così poco prevedibile, che si può solamente assistere, facendo il tifo (siamo in tema) per Silver, e trattenendo il respiro ad ogni suo passo falso o esitazione.  I colpi di scena sono finiti? Certo che no. Faletti non lascia riposare chi lo legge tanto facilmente, e non lo rassicura con un lieto fine completo. Anche solo una goccia d’amaro, ma questo arriva a intorbidare un angolo di tutta la fatica fatta per districarsi in una situazione complicata, criminosa e gigantesca. E’ quello che mi piace del modo di scrivere libri di Faletti: le situazioni possono anche essere al limite della fantasia più pura, ma hanno sempre spazio per i graffi degli artigli della realtà, per quanto più leggeri e meno sanguinari di quanto succede al di fuori dei libri.

domenica 1 aprile 2012

Tre Atti e due tempi - La bizzarria

Ecco un autore che per me è stata un’autentica sorpresa, e molto, molto piacevole. Giorgio Faletti era noto per i suoi personaggi comici che a lungo hanno animato Drive In. Dopo un lunghissimo periodo passato a prendersi cura di sé, si è proposto come scrittore con Io uccido. Ed è stato subito un successo planetario, con un susseguirsi di edizioni, commenti, recensioni entusiastiche, ecc. E una lunga serie di libri (che ho quasi tutti), uno più bello e ampio dell’altro. Credo di poter dire che Io uccido è quello che mi ha colpito di meno, se lo paragono ai suoi successivi. Adoro lo stile di Faletti. Asciutto, fino a diventare arido qualche volta. Non lascia mai indifferenti. I suoi titoli sono sempre molto particolari, mai banali. Ha un uso delle frasi e delle parole, combinandole insieme a formare metafore o espressioni di stati d’animo, che non si ritrova spesso. Qualche volta mi sono ritrovata a rileggere due volte la stessa frase, soprattutto quando parla di una sensazione, analizzando parola dopo parola, e ascoltando cosa evoca. Quasi sempre incontra una sensazione o un sentimento che ho provato anch’io nel corso dell’esistenza. Niente di vero tranne gli occhi, Fuori da un evidente destino, Appunti di un venditore di donne…non sono titoli semplici. Ci puoi anche scherzare sopra. Niente di vero tranne gli occhi? Si parla di un oculista? Fuori da un evidente destino: cosa? Chi? Da quando il destino è evidente e come fai a starne fuori? Appunti di un venditore di donne: per commettere crimini è necessario prendere appunti? O lasciarli? Ammetto, sono domande senza senso che mi sono fiorite dentro  ogni volta che prendevo in mano il libro in questione e leggevo il titolo. Non era pensabile che lo rimettessi a posto, dimenticandomene. Dovevo scoprire ogni volta cosa si nascondeva dietro quell’indicazione così bizzarra. La prima associazione che mi viene in mente riguarda il primo incontro tra Alice e il coniglio bianco nel Paese delle Meraviglie. L’animaletto che corre e sbuffa dicendo che è tardi, terribilmente tardi. Come si fa a disinteressarsi? Bisogna scoprire perché è tardi e per cosa. Allo stesso modo, io mi comporto con i libri di Faletti. Devo capire dove portano. Anche Tre atti e due tempi non si sottrae a questa regola. All’inizio ho pensato ad un’opera teatrale. Sì, ma tre atti e due tempi. C’è qualcosa che non mi torna. Ho scoperto subito che l’argomento era ben lontano dai teatri,ma si situava sui campi di calcio in Italia di una cittadina all’interno della serie cadetta, la serie B. I tre atti e i due tempi, però, scandiscono una “tragedia” di cui sentiamo parlare praticamente da sempre, ovvero il calcio scommesse.  Questa volta l’occhio narrante è dentro, molto dentro la vicenda, anche troppo per i suoi gusti.

domenica 25 marzo 2012

Twilight – Un’ironia insolita

E’ un libro di vampiri strani, questo. Viene subito fuori che Edward Cullen fa parte di una “famiglia” di vampiri: padre, madre, alcuni fratelli e sorelle. Prima deroga alla figura del vampiro, oscuro, malvagio, e sempre solitario. Il padre (e in senso vampiresco lo è) è un medico, che lavora nell’ospedale della cittadina. Seconda clamorosa deroga. I vampiri lavorano? Si mostrano di giorno (mai al sole, però)? Non si nutrono di sangue umano? E poi, far lavorare un vampiro in un ospedale equivarrebbe ad affidare una serie di pollai alle volpi. Secondo me, questo è un tocco d’ironia sottilissimo e molto divertente da parte dell’autrice. Il Dottor Cullen, il padre di Edward, è anche un medico capace e molto stimato dalla comunità. Si sarebbe portati a pensare ad una doppia vita dietro alla facciata gradevole: se lavora in ospedale, ha libero accesso a sangue e vittime, che poi può facilmente occultare. Invece, emerge che il medico vampiro ha dato prova, nel corso dei secoli, di una forza d’animo talmente straordinaria da essere capace di imporsi sulla propria natura di predatore. Non solo cerca con tenacia, fino a trovarlo, il nutrimento alternativo per lui e i suoi simili, che educherà a dominare e trasformare la propria sete oscura, ma si dedica ad aiutare e curare proprio quelli che dovrebbero comporre le portate principali dei suoi pasti, gli esseri umani.  Un angelo con ali di pipistrello. Edward e i suoi fratelli non mostrano lo stesso desiderio di mescolarsi ai loro concittadini. Per quanto addestrati a tenere sotto controllo gli istinti, non sembrano fidarsi della propria forza come fa il medico. In effetti, a scuola formano un loro gruppo appartato, anche per non dover essere costretti a spiegare perché non mangiano mai dalla mensa, pur prendendo vassoi e portate come tutti gli altri studenti. Quando Edward incontra Bella per la prima volta, la protagonista femminile, il vampiro distante e superiore nella sua forza e longevità, riceve un duro colpo. La ragazza è talmente irresistibile (pur essendone completamente inconsapevole) che in lui si risveglia la sete e solo un’enorme sforzo di volontà gli impedisce di vanificare il suo addestramento. All’inizio sembra odiarla, e lei stessa ha questa impressione.  Lei rimane soggiogata dal suo fascino, ma intimorita dalla strana espressione di odio famelico che gli legge in viso, di cui non sa proprio spiegarsi l’origine. Inizia un rapporto ambiguo, sottile, fatto di silenzi, sguardi, supposizioni (soprattutto da parte di Bella, che è la voce narrante del libro), salvataggi tempestivi e del tutto straordinari da parte del vampiro, che diventa suo malgrado un angelo custode, pur se con ali di pipistrello come suo padre. Man mano che i due ragazzi si conoscono meglio (e Bella intuisce quasi subito la natura oscura del giovane e non ne rimane granché spaventata), il rapporto si colora di una certa sensualità ritrosa e anche ironica. Stephenie Meyer è di sicuro una donna ironica, abituata a sovvertire cose e situazioni. All’inizio è il vampiro ad essere attratto dalla ragazza, perché il suo profumo gli fa quasi perdere la testa e l’addestramento. Ma poi è lei che perde letteralmente la testa quando lui si avvicina fino a baciarla. Il contatto con il vampiro scatena una passione insospettata in una ragazza all’apparenza normale e dimessa (secondo la visione che Bella ha di se stessa), che deve “controllarsi” per non andare oltre. Anche perché, quell’oltre potrebbe avere conseguenze più tragiche di quanto comunemente accade.

domenica 18 marzo 2012

Twilight – L’altro vampiro

Ed ecco la moda delle ultime stagioni. Come spesso accade, leggo i libri di moda diverso tempo prima che questi diventino tali (come Il Signore degli Anelli, Il mistero del Sacro Graal, ecc.), oppure diverso tempo dopo. Aspetto che le acque e la frenesia si calmino, e poi prendo in mano il libro. Soprattutto per vedere cosa scatena così tante passioni e consensi. Capitò nello stesso modo per Harry Potter: erano già usciti tre libri prima che un’amica me li sistemasse in mano e mi dicesse di leggerli. Non volevo saperne. Dopo averli letti sono andata a cercare e ad aspettare gli altri perché qualcosa aveva risposto positivamente in me al maghetto con la cicatrice.  Ho fatto la stessa cosa con Twilight, ma devo dire che finora non si è acceso un interesse viscerale. Io adoro le storie di vampiri. Da Bram Stoker in avanti, penso di aver letto una serie di romanzi ottocenteschi più o meno famosi (come quello del Dott. Polidori, che dovrebbe aver ispirato il cult Dracula, Carmilla di Le Fanu) sul tema, fino ad arrivare ai giorni nostri. Lestat, il vampiro dandy di Anne Rice, che conobbi prima al cinema nel viso emaciato di Tom Cruise, mi convinse subito a comprare il libro e a seguire la saga. Seguo anche un fumetto sui vampiri, Dampyr. Non ho ancora deciso se sono i vampiri ad attirarmi o chi li combatte. M’interessa scoprire il vampiro, ma poi, in realtà, parteggio per chi gli dà la caccia e lo uccide. Era affascinante Dracula…ma non poteva rivaleggiare con Van Helsing. Questo capita nei romanzi dove il vampiro è il male. In Twilight, non è così. Il vampiro non si nutre di sangue umano, non è crudele e non progetta lo sterminio dell’intera razza umana per prenderne il posto. Edward è un bel giovanotto americano, meravigliosamente bello (un po’ pallido…), studente modello, bel tenebroso (e qui non è solo un modo di dire), dai modi educati d’altri tempi (ed è proprio così, letteralmente). Vive in una piccola e quasi sempre piovosa cittadina americana, frequenta la scuola e cerca di integrarsi al meglio…questione che gli riesce un po’ difficile, essendo un’icona di bellezza virile difficile da ignorare. L’adorazione altrui, però, rimane rispettosa e limitata: il giovanotto appartiene ad un’altra razza (e non è nemmeno qui un modo di dire, poiché nessuno sa che è un vampiro), e nonostante i suoi modi amichevoli, questo si percepisce talmente bene, che il resto della cittadina si accontenta di adorarlo da lontano, consapevole di non esserne all’altezza.

domenica 11 marzo 2012

Arrivederci Piccole Donne – Vite difficili

Il parallelo con le piccole donne americane però, presto si dimentica, nonostante i capitoli inizino sempre con i loro nomi. Il fantasma della Alcott si allontana sempre di più, e nemmeno si sentono più i rumori delle sue catene.  Man mano che andavo avanti nel libro, scoprivo una serie di accadimenti e di eventi che mi distaccavano sempre di più dall’altro libro. Queste donne cilene sono prepotenti. Sono ricche; di denaro, almeno all’inizio, ma soprattutto di vita e di energia. Un’energia che sfogano in milioni di modi diversi, approfittando del fatto di essere ragazze ricche circondate da una casa enorme, retta con mano potente da una zia virago solida come un’intera catena montuosa, con un passato di passione focosa accuratamente sublimata nell’impegno a tutto tondo negli affari (la segheria di famiglia) e nella conduzione della servitù della casa stessa. Le ragazze, inoltre, non fanno fatica ad avere compagnia: sono in quattro, suddivise e strette nelle loro alleanze, circondate da “amici” e conoscenti di vario grado, sorvegliate da un giovane uomo, fratellastro di una di loro, su cui si appuntano le attenzioni di due ragazze in particolare. Passano i loro pomeriggi di adolescenti a leggere libri (classici, soprattutto), a suonare musica, a fare passeggiate, come le giovani dame dell’alta società di qualunque nazione. Non solo leggono i libri, ne discutono, li criticano e li commentano, ma li vivono. Scelgono un personaggio e vivono con la testa e lo spirito della loro scelta, immedesimandosi con una tale passione da superare qualunque attore. E’ così che impersonano anche le piccole donne del libro americano, litigando anche sui personaggi da interpretare, contendendosi una ragazza yankee particolarmente preferita. Sotto la passione per la letteratura, si crea la passione dei sensi, che coinvolge due cugine e Oliviero, il bel fratellastro di una di loro, che si auto-elegge compagno di giochi, salvatore, guardiano, pomo della discordia, vittima e carnefice. Le due ragazze che s’innamorano di lui, e di cui lui si innamorerà in modi e tempi diversi, si sfidano, si colpiscono senza pietà, s’infliggono dolore l’una con l’altra, pur di averlo. Devo dire che, ad un certo momento della storia, ho pensato che si sarebbero sfidate a duello all’alba. Così non è avvenuto, ma i colpi che si sono scambiate sono stati più profondi e dolorosi di qualunque sciabolata o ferita da taglio. Saranno necessari anni e chilometri di lontananza per recuperare un rapporto che sembrava spezzato e concluso. E come spesso accade, ritrovare un nemico comune che ha colpito entrambe e su cui vendicarsi, oltre all’aiuto ultraterreno della cuginetta morta, conduce al tentativo di perdonare e chiudere le vicende e i sentimenti passati, per iniziarne di nuovi.
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