“In fisica, per piano inclinato si intende una particolare
macchina semplice costituita da una superficie piana disposta in modo da
formare un angolo maggiore di 0° e minore di 90° rispetto alla verticale,
rappresentata dalla direzione in cui si esplica la forza di gravità (che può
essere determinata ad esempio attraverso un filo a piombo).” Sono le prime
parole della definizione di piano inclinato in Wikipedia, per una veloce
consultazione.
La definizione fisica è la prima cosa cui ho pensato, dopo
aver letto il titolo di questo libro di Matteo di Pascale, uscito ieri 21 marzo
per I Jackpot di Las Vegas Edizioni, e con cui ho confrontato la storia, dopo averla letta. Ero
curiosa di scoprire se una delle leggi fisiche più antiche di questo mondo
(pare che gli Egizi la conoscessero già, grazie alla loro abilità di
costruttori di grandi opere) si potesse, in qualche modo, applicare alla vita
umana. E soprattutto, come.
La sinossi è già un invito a guardare in quella direzione:
Francesco,
pubblicitario di successo da cinque anni in Olanda, non sa ancora di essere
come una biglia d’acciaio in bilico. Di giorno lavora in un’agenzia in cui
guadagna più soldi di quanto riesca a spendere, di sera passa da un locale
all’altro a caccia di alcol e ragazze. Le sue vicende si mescolano a quelle
dell’olandese Nicky, dell’americana Julia, del greco Christos, e di molti altri
“expat” che come lui cercano di ammazzare la noia in una festa infinita tra i canali.
Ma quando cerca di
ricordare il vero motivo per cui se ne è andato via da casa, accade
l’inevitabile. Il piano inizia a inclinarsi, la biglia scivola, Francesco perde
il controllo: si innamora di Nina, la ragazza spagnola di Christos, e questa
passione illumina tutto il resto di una luce improvvisamente spietata. Il
lavoro, gli affetti leggeri, le sbronze, niente ha più senso.
Dentro un’Amsterdam
fatta di eccessi, dove la vita sembra un’esperienza di passaggio e perdersi è
sempre concesso, Francesco ha forse l’ultima occasione per non precipitare.
A prima vista, e restando in superficie, ho provato fastidio
per le vicende di Francesco. Molto di quel fastidio proviene proprio da lui.
Quando ci affianchiamo alla sua vita, ci troviamo già con un bell’inizio di
vertigini. Di giorno, Francesco si rinchiude in un ambiente semi-asettico, bianco
quanto certe atmosfere allucinate di Matrix (vi ricordate l’incontro di Neo nella
bianchissima stazione della metropolitana?).
Forse perché entrambi di origini meridionali e assolate, i
due legano piuttosto in profondità. L’esuberanza di Christos riscalda il cuore già
predisposto ad una certa freddezza, date le origini milanesi, di Francesco, che
ogni tanto ne viene travolto.
Fuori dall’ufficio, lo seguiamo soprattutto nelle sue
vicende amoroso-sessuali. È un bel ragazzo, è italiano, e ha il suo repertorio
collaudato ed efficiente di “latin lover”, per cui raramente torna a casa da
solo, dopo una festa ad alta gradazione alcolica in qualche pub, nei concerti e
ovunque ci siano aggregati umani sufficientemente grandi.
Di fronte a questa fotografia veloce, da dove nasce il
fastidio di Francesco, e poi mio?
Per quanto viva in una bella zona di Amsterdam (Amsterdam,
ragazzi! Uno dei nodi del mondo dall’epoca dei Comuni!), sia foderato di soldi,
possa avere le ragazze e il sesso che vuole, Francesco non scoppia di felicità.
Il sassolino nella scarpetta di cristallo della sua condizione apparente di
privilegiato (expat, espatriato con successo dal Bel Paese collassato) ogni
tanto si sposta, e gli provoca scomodità, disagio. È un sassolino, non l’ha
guardato bene, non se n’è voluto preoccupare più di tanto, ma lui è ancora lì,
e si fa sentire.
Anzi. Negli ultimi tempi, dev’essere diventato anche più
grande. E più disagevole. Tanto per farsi vedere meglio, si è presentato nella
mente di Francesco sottoforma di dubbio. Perché ha lasciato l’Italia, cinque
anni prima? Ecco… beh, è ovvio. È facile. Perché in Italia non c’è lavoro, non
ci sono sbocchi, non ci sono prospettive. Ah, davvero? È proprio così? No. Non
lo è affatto. Questa è la prima risposta che gli sale alle labbra, ma non è
quella vera. Anzi. Suona debole, contraffatta.
A questo punto, il sassolino nella scarpa comincia a
crescere, cambiare, si trasforma in Francesco stesso. La sua vita si trasforma
in un piano inclinato, quel bel piano inclinato liscio, bianco e perfetto del
suo ufficio, così elegante e prevedibile. Le sue vicende amoroso-sessuali si complicano.
Le storie veloci di qualche notte, come l’enigmatica e cangiante Nicky, e l’ambiziosa
Julia, non gli bastano più, lo lasciano secco, annoiato. Quella che poteva
iniziare come ennesima storia di una-due-dieci notti, con la sfuggente e
problematica Nina, si trasforma in qualcosa di più, all’improvviso. Questo però,
non gli porta nessuna felicità, non appiana i suoi dubbi, non ferma l’inclinazione
crescente del suo piano inclinato. Nina è già fidanzata con Christos, e non ha
chiarezza nel suo cuore, e nei suoi comportamenti. Pare persino leggermente
auto-distruttiva… e Francesco non sa resisterle, non sa fermare o deviare quell’inclinazione
e se ne lascia travolgere.
In sottofondo, il suo dubbio (perché ho lasciato l’Italia
cinque anni prima?) è ancora lì, e ha preso forme e nomi, e situazioni delineate.
Chiede soluzioni, chiede di essere guardato, chiede di essere risolto. Quando
Francesco si decide a farlo, il piano inclinato si rovescia, per poi tornare
stabile. Alla fine della corsa, però, tutto è cambiato. In meglio? Lo scoprirete
nel libro, molto ben dettagliato.
Da dove nasce il mio fastidio? Francesco stava facendo la
vita che avrei voluto fare io anni fa, se avessi avuto coraggio sufficiente a portare
avanti e rendere definitivo un periodo di trasferimento all’estero. E non solo,
lo stava facendo anche in modo particolarmente brillante. Qui, oltre che
fastidio, ho sentito molto bene l’invidia farsi sotto.
Allora, caro squinternato, ma cosa diavolo t’importa di portarti
a letto tutte ‘ste donne, di rovinarti salute e dignità riempiendoti come un
otre, di doverti per forza divertire come uno stupido? Ma cosa t’importerà mai
di giudicare gli olandesi per la loro freddezza, che cosa te ne viene in tasca?
Concentrati sulla tua carriera, sei in una delle città più importanti del
mondo, piantala di fare il bambino insoddisfatto e guarda l’oro che hai in
mano, razza di stupido e cieco!
Questo è il modo in cui l’avrei trattato e giudicato, l’avessi
avuto in carne ed ossa davanti. Quando però mi sono fermata a guardarlo un po’
più da vicino, e ad ascoltare certe sue parole, mi sono resa conto che c’era di
più. Ed è qualcosa che mi ha toccato un po’ più in profondità, in un posto che
non è nemmeno così simpatico da visitare.
Per Francesco, la vita non è
abbastanza. Non è mai abbastanza. Non è semplice “noia”. È forse il modo in cui
la sua vita chiede di essere ampliata e accresciuta. Ogni volta che il piano
inclinato torna stabile, e il sassolino al di sopra si ferma, sembra che tutto
sia fantastico, bello, “arrivato”.
Ma questo non vuol dire “per sempre”. Il "vissero felici e contenti", "ha messo finalmente la testa a posto", "si è calmato, alla fine", non funzionano.
Questo
piano inclinato non appoggia su un terreno solido. È in equilibrio instabile su
un cuore in movimento, che non smette di battere. E se questo continua a
muoversi, è inevitabile che questo piano inclinato, poco a poco, ricominci a
muoversi anche lui, a inclinarsi. E il sassolino, di conseguenza…
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