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lunedì 1 giugno 2015

Disquisizioni su libro e film: don Camillo

Vi starete domandando: "Ma che fine ha fatto l'amanita?" (e qualora la vostra risposta fosse "non ce ne può fregà de meno", ve lo dico lo stesso).
Mi sono persa nel Mondo Piccolo di Guareschi. 
Il post di Loredana su Dexter ha solleticato Neurino-Mio.
Ho un dogma: il libro è sempre meglio. 
E anche don Camillo ha confermato.
Conoscevo il personaggio, so praticamente i film col duo Cervi-Fernandel a memoria, ma poi mi sono trovata di fronte al tascabile. Potevo lasciarlo lì? (è una domanda retorica)
Ho ritrovato un mondo. 
Anzi, ho ritrovato anche parte delle mie radici: mio padre è ferrarese, io stessa trascorsi i mesi estivi a scorrazzare in bicicletta tra Ferrara e le frazioni limitrofe. 
Ho ritrovato suoni, odori e sapori familiari. 
Una terra in lotta col Grande Fiume, che può regalare benessere o distruggere.
Il carattere aspro, sanguigno, di gente che "sente con la pancia" e scatena un pandemonio con l'avversario, ma lo rispetta.
Peppone e don Camillo sono due lati di una stessa medaglia. Sono politicamente lontani, ma lottano con tutte le loro forze perché hanno ideali. Lottano perché, ognuno a modo suo, credono profondamente di agire bene e per il bene.
E quel bellissimo rapporto di don Camillo con il Cristo, che riprende amorevolmente la sua "pecorella" così turbolenta e cerca di farlo ragionare secondo i criteri divini e non con la pancia. 
Mi ha colpito, sì: il Cristo del libro sorride spesso al suo parroco esplosivo. 

Il libro è sempre meglio, ma per me don Camillo ha la faccia di Fernandel e Peppone ha la voce di Gino Cervi che brontola ch't venia 'n cancar....
A proposito di voci. 
L'amanita sta berciando: mo boia d'un mond lader, mondo piccolo ha sei-volumi-sei!

giovedì 12 marzo 2015

Il Profumo – La serenità del lato oscuro

Quando ne sentii parlare la prima volta, la collega che lo nominò disse che era senza dubbio il suo libro della vita, quello che avrebbe portato via durante l'incendio di casa sua, se fosse capitato. Naturalmente, questo accese una curiosità non indifferente, che poté essere soddisfatta solo diversi anni più tardi, quando Marzia lo lesse e me lo passò. Potete leggere qui i suoi pensieri; io non mi dilungherò molto, ma non posso fare a meno di esprimere i sommovimenti causati da questo libro. E' senza dubbio una di quelle opere che non lascia minimamente indifferenti. O lo odii, o lo ami, profondamente in entrambi i casi. Per me è stato un mix di entrambi i sentimenti, tanto per non smentirmi mai. Non sono proprio capace di sentire una sola sfumatura di sentimento e di emozione: se c'è amore, c'è sempre una tinta di odio, e viceversa. Ho adorato l'ambientazione fisica, la Francia del diciottesimo secolo, ricreata con molti dettagli nei locali squallidi della banlieu parigina, nei negozi e nei laboratori di profumiere, nei paesaggi delle campagne e delle città attraversate dal protagonista. Ho adorato la caratterizzazione scientifica, quasi da Balzac, dei personaggi. Ogni aspetto del loro carattere viene esposto, sviscerato, commentato con la giusta dose di parole: non una di più, non una di meno. Grenouille, l'infernale protagonista, è seguito passo passo nella sua vita, dalla nascita squallida e sporca, quasi impedita e soffocata, fino alla crescita senza sentimenti o passioni tranne quella prepotente e ossessionante per gli odori di tutte le forme di vita, mobili e immobili. E' irritante Grenouille. Non sappiamo perché, però. Il suo aspetto è dimesso, comune, senza nulla che attiri lo sguardo o spinga ad una seconda occhiata. Qualcosa in lui, però, aggancia i sentimenti meno nobili, almeno del lettore. Alcuni dei suoi coprotagonisti nemmeno si ricordano il suo nome, quando volgono lo sguardo lontano, ma tutti subiscono danni o perdite ingenti, quando Grenouille si allontana da loro, come se fosse una specie di demone custode, con una bizzarra missione di protezione. Ed è forse la definizione che si addice meglio ad un personaggio inquietante come questo, nato nello squallore, nel gelo dei sentimenti, respinto da tutti, ma animato da ideali superiori: "Del tutto calmo, Grenouille stava seduto sulla panca del duomo di Saint-Pierre e sorrideva. Non era in uno stato d'animo euforico, quando aveva concepito il progetto di dominare gli uomini. Non vi era alcun guizzo di follia nei suoi occhi, e non una smorfia insensata deformava il suo viso. Non era fuori di sé. Era così limpido e sereno di spirito che si chiese perché poi voleva farlo. E si disse che lo voleva perché era malvagio fino alle midolla. E questo lo fece sorridere, ed era molto contento. Aveva un'aria del tutto innocente, come una persona qualsiasi che è felice." (Il profumo, Patrick Sueskind, pag.161) Vi pare un ometto semplice, con cui andare d'accordo? Un essere umano solo d'aspetto, dotato di un talento straordinario per riconoscere e sentire gli odori e creare profumi paradisiaci, che non ha nessuna empatia, e nessuna spinta a mettere il proprio dono a servizio dei suoi confratelli e che, al contrario, pensa a dominarli per pura malvagità. Una malvagità gelida priva di autocompiacimento, che lo porta a uccidere senza rimorsi, dubbi, ripensamenti. E' solo il suo obiettivo, quello che conta, celato nella creazione del profumo per eccellenza. Se siete lettori che amate i personaggi “tinti”, quelli contaminati (buoni con venature perfide più o meno pronunciate, cattivi con inaspettati risvolti umani), le ricreazioni storiche,  gli scossoni imprevisti nelle trame e nei finali, e lo stile ricercato ma semplice, ecco il vostro libro. Di sicuro, non si lascerà accantonare tanto facilmente. Io sto già pensando al momento in cui potrò rileggerlo...
LoreGasp

lunedì 9 marzo 2015

Il furore...CONTAGIOSO!

Ecco un post riflessione di Marzia, non ascrivibile in nessuna rubrica...in questo caso, si vede come il Furore Di Aver Libri sia trasversale a qualunque forma, rubrica, spazio, tempo, persona, ecc. :-D

Dodici casi per i Vedovi Neri 
Isaac Asimov

Il club dei Vedovi Neri è composto da sei gentiluomini, forse un po' troppo litigiosi, che ogni mese si riuniscono in un ristorante per mangiare cibi raffinati, bere del buon brandy e conversare amabilmente, serviti da Henry, il fidato cameriere eletto membro onorario del club.
A ogni riunione invitano un ospite, al quale pongono una domanda: <<Come giustifica la sua esistenza?>> (voce dell'amanita: una domanda di riserva? Già vivere è complicato, dover anche giustificare l'esistenza...)
Si sviluppa così un vivace contraddittorio che non tarda a colorarsi delle tinte del mistero quando l'ospite, rivelando un dettaglio in apparenza insignificante della sua vita, innesca involontariamente un piccolo o grande enigma alla cui soluzione si dedicheranno i sei... sette Vedovi Neri.

Avvertenza.
Se bazzicate questo blog, sappiate che prima o poi verrete irrimediabilmente contagiati.
Libri che mai e poi mai prendereste in mano, vi arriveranno a casa.
Pagine su cui non desiderate posare i vostri sacri occhiali, attireranno lo sguardo. Comincerete con un ingenuo: ma sì, me l'hanno prestato - (meglio ancora) regalato...
Libri, che in negozio snobbate con la regale allure di una Grace Kelly col set completo di scettro-corona-e-mantello-d'ermellino, vi inseguiranno alitandovi sul collo. Ignoro se Grace Kelly avesse il set completo, ma riesco ad immaginare la scena. La sottoscritta col suddetto set sarebbe semplicemente ridicola. Al massimo dispongo di una stampella, che mi rende anche pericolosa.
Dicevo: arriveranno.
Senza neanche avvisare.
Ora, non che non abbia gradito Asimov. Anzi.
Ma può capitare che l'amico di un conoscente di una collega di un cugino abbia apprezzato un post pubblicato da Loredana e per il vostro compleanno vi dica: "non è il mio genere, ma ho visto che qualcuno ne ha parlato sul tuo blog preferito e te li passo". Oppure la variante: "non è proprio il libro di cui avete scritto, ma della stessa serie; tanti auguri, nè!" (con la "u" di augUri rigorosamente stretta, come la "u" francese, e le altre vocali vergognosamente larghe).
Io vi ho debitamente avvisato.
Perché mi è accaduto e colgo l'occasione: grazie a tutte le anime pie che mi regalano libri.
E stavolta tocca a me dare ragione a Loredana, che dedicò un post al primo dei quattro libri di racconti. Sia per lo stile, sia  per l'atmosfera: è un libro divertente, ingannevolmente leggero e molto cinematografico.
Sì, sì e ancora sì. Io ci ho visto anche un Gregory Peck o la coppia Curtis-Moore di Attenti a quei due!
Aggiungo solo un paio di dettagli.
In genere non amo particolarmente i racconti, preferisco i bei "tomoni ciccioni" e sostanziosi, ma ho letto questi molto volentieri. E le note al fondo di Asimov sono vere chicche.
Questi vedovi sono un'ottima compagnia nelle sale d'attesa dello specialista di turno, possono offrire spunti di conversazione col vicino di fila simpatico  o tenere lontano quello molesto.

Piccolo regalo:

INTRODUZIONE


Non credo ci sia molto altro da dire, sui Vedovi Neri rispetto a quanto non abbia già esposto nei Racconti dei Vedovi Neri. Quello era il primo libro della serie, e ora avete tra le mani il secondo.
In quella prima introduzione spiegavo che i Vedovi Neri traggono ispirazione da un Club che esiste davvero e al quale appartengo, di nome Trap-Door Spiders. Sul quale non aggiungerò altro, perché se avete già letto I Racconti dei Vedovi Neri la ripetizione vi annoierebbe, e se non li avete letti preferisco lasciare che la curiosità vi tormenti, di modo che vi sentiate spinti a comprare il primo libro e porre rimedio alla lacuna.
Tra l'altro, all'indomani della pubblicazione de I Racconti, ne regalai una copia a ciascun membro dei Trap-Door Spiders. Tutti, nessuno escluso, si finsero molto compiaciuti dall'operazione; e io, ovviamente, finsi di credere che lo fossero davvero.
Ora non ho altro da dire, ma perché non vi abbandoniate toppo presto alla gioia di esservi sbarazzati di me, mi corre l'obbligo di avvisarvi che mi ritroverete nella breve nota che segue ciascun racconto.

I. Asimov, Dodici casi per i Vedovi Neri, minimum fax, Roma, 2012, p. 7.  

Ehm. Adesso mi manca solo il primo della serie, che ho già ordinato.
LOREDANA, SEI UN PERICOLO PUBBLICO!

martedì 8 ottobre 2013

Lolita – La contradditorietà fatta libro.

Mi mancano poche pagine per arrivare a finirlo, ma ancora non riesco ad aspettare, prima di scriverne di nuovo. Non posso dire che questo libro mi piaccia, perché lo amo. Leggerlo è stata un’esperienza variegata e intensa, come non mi capitava da parecchio tempo. E’ stato liberatorio, perché ha sbloccato alcuni ringhi trattenuti da troppo tempo. E’ stato stancante, perché la prosa di Nabokov è ricca, a tratti stordente, pomposa, sfuggente, pesante, martellante. Il traduttore deve aver alzato le mani in segno di resa diverse volte, e non solo grazie a parecchi giochi di parole molto difficili da tradurre. I sentimenti sanguigni e vischiosi di Humbert non sono affatto facili da descrivere: non è mai questione di “amo, odio, mi piace, non mi piace”. Infiniti chiaroscuri di sentimenti, estremamente contraddittori e torbidi, che agitano Humbert, ma anche Lolita: eppure Nabokov riesce a trovare le parole e le espressioni per raccontarli e farli capire, tutti. Diverse volte mi sono fermata e ho riletto interi pezzi, assaporandoli, andando lentamente, come se avessi imparato a leggere da poco: erano veramente anni che non mi capitava qualcosa di simile. Per natura e abitudine, leggo velocemente, e diverse volte mi capita persino di divorare intere pagine senza accorgermene, perché riesco a indovinare senza troppo sforzo cosa capiterà, le parole che verranno usate, perfino intere espressioni. Con questo libro, non è possibile farlo. Ti costringe a leggere quasi compitando ogni parola, ti afferra alla gola e ti costringe a guardare, ascoltare, a essere attento. Se ti distrai, perdi pezzi importanti. Dovrai ritornare sui tuoi passi e recuperarli. Non è solo una questione di lingua: Nabokov pubblica il libro nel ’55, e in italiano viene tradotto nel ’59, quando le strutture espressive sono più complesse, più formali, e infinitamente più interessanti . (E’ un parere un po’ pesante, il mio, ma permettetemi la caduta nostalgica nella parentesi: per troppo tempo ho letto prosa semplice, al limite dell’incolore, qualche volta farcita da orribili errori di grammatica e di ortografia NON SCUSABILI se si è nati in questo territorio. Quando ho posato gli occhi su quelle pagine così ricche e corrette, ho pianto di sollievo).

lunedì 30 settembre 2013

Lolita – Primo impatto.

Contrariamente a quanto fatto finora, scrivo un post su un libro che sto ancora leggendo. Non riesco ad aspettare la fine, perché mi si accavallano migliaia di impressioni e di reazioni, che devo metter su carta (o meglio, bit), per poterle razionalizzare. Ho voluto iniziare Lolita di Nabokov sulla spinta di un altro libro che ho letto da poco, La verità sul caso Harry Quebert. Sapevo che Lolita non è un romanzetto estivo, da ombrellone. Sapevo che il tema portante dello scritto pesca nella zona torbida dell’animo umano. Non sapevo, però, che mi avrebbe provocato così tanto. Le prime venti pagine del romanzo scorrono quasi in sogno: il protagonista, il futuro annoiato professor Humbert, racconta della sua adolescenza e del suo amore perduto. Da pag. 23, qualcosa cambia di colpo. Humbert si rivela. “Di quando in quando approfittavo delle conoscenze che avevo fatto tra i lavoratori sociali e gli psicoanalisti e in compagnia di queste persone visitavo vari istituti, come orfanotrofi e riformatori, dove mi era possibile guatare con cupidigia e con una impunità assoluta, simile a quella dei sogni, fanciulle adolescenti dalle ciglia appiccicate”. (Vladimir Nabokov, Lolita, pag. 23, Collana Medusa, Arnoldo Mondadori Editore) Cupidigia e impunità assoluta: un’accoppiata di parole che non ho gradito, ma che ho incassato senza troppi problemi. Le due pagine seguenti, tuttavia, sono un’esposizione incendiaria di cosa si agita davvero nell’animo di Humbert (lo stesso Nabokov?), raccontato sotto forma di “teoria”, con un linguaggio elegante, rotondo, sensuale, da incantatore di serpenti.

lunedì 15 aprile 2013

Il diario segreto di Anna Bolena – Il controcanto


Non potevo accantonare il discorso Tudor senza ascoltare anche la sua voce. Almeno,  per un po’ di tempo. I Tudor torneranno su queste pagine elettroniche tra diverso tempo, quando riuscirò a mettere le mani sull’ultima fatica di Margaret George, la biografia di Elisabetta I, la splendida figlia della Grande Cortigiana. Robin Maxwell è una scrittrice e sceneggiatrice americana esperta di storia inglese, cui ha dedicato la maggior parte della sua produzione letteraria: per gli altri titoli (tra cui un altro libro sulla giovinezza di Anna Bolena, e sulla vita di Riccardo III) e per ulteriori informazioni sulla sua vita, consiglio il suo bel sito: www.robinmaxwell.com. Il Diario segreto di Anna Bolena si apre con Elisabetta I, venticinquenne regina d’Inghilterra. Bella, splendente, colta, accorta, saggia, e inquieta. E’ nubile, e i suoi consiglieri si affannano a tormentarla (almeno finché lei glielo permette, e molto poco) sulla questione matrimonio. Elisabetta deve sposarsi, ma dev’essere particolarmente attenta a farlo. Se sposa un principe straniero, l’Inghilterra potrebbe diventare una provincia del regno di un altro (come le odiate Spagna e Francia). Se dovesse scegliere in casa propria…chi potrebbe mai essere, considerando le passate case regnanti degli York, dei Lancaster, che sopravvivono ancora, e coloro che mal digeriscono una regina non cattolica, figlia del controverso Enrico VIII e della sua innominabile cortigiana? Il cuore di Elisabetta palpita per il giovane Robert Dudley, futuro conte di Leicester, bello e ambizioso, accomunato alla regina da un passato nella Torre di Londra, quando la loro esistenza dipendeva dagli umori instabili dell’altra figlia di Enrico VIII, Bloody Mary. La ragion di Stato, che però parla fortissimo in lei, la convince a stare attenta, a essere guardinga: Elisabetta è innamorata soprattutto del suo regno. Prima ancora di chiarirsi le idee su come muoversi in futuro nel campo minato chiamato “matrimonio da fare”, lei si considera già sposata all’Inghilterra.
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