Con questa premessa, Il libro dei gatti tuttofare mi ha
fatto subito sorgere questa domanda: ma che c’entra Eliot con i gatti, e per
giunta tuttofare?
E tra le altre cose, si è mai visto un gatto tuttofare? Di
solito sono animali che si tengono ben lontani dal “fare”, a meno che non si
tratti di mangiare, cacciare altri esseri viventi più piccoli di loro, giocare,
procurare qualche danno ad oggetti e tappezzerie. Messi da parte i dubbi di cui
sopra, ho iniziato a leggere la prefazione (che di solito salto…) per cercare
di scoprire qualcosa di più sul libro, e su cosa possa aver spinto un “classico”
come Eliot a scrivere di gatti. E ho trovato una sorpresa: la prefazione, di
Emilio Tadini, parla di NOMI. Non tanto della questione di attribuire un nome
al gatto, ma del fatto che tra il gatto e il NOME, esiste un nesso profondo.
Suona familiare? Ho aperto il blog proprio con un libro, Inheritance di
Paolini, in cui un cacciatore di draghi fantasy si interroga su una questione
filosofica come il proprio vero nome, e ora, a metà dell’anno, la questione del
vero e profondo NOME mi viene riproposta tramite un canale e un autore
inaspettato, il personaggio del gatto e Thomas Eliot. Ora SI, che sono curiosa.
martedì 12 giugno 2012
Il libro dei gatti tuttofare – Sorprendente l’autore.
Questo è un libro pieno di stranezze, a partire dall’autore:
nientemeno che Thomas Stearns Eliot. Io lo conoscevo dai tempi del liceo, come
un autore “serio”…almeno, tutti gli autori che si studiano al liceo sono visti
come “seri” perché li si conosce attraverso i libri di scuola, dimenticando che
prima di essere scrittori, poeti, e poi “classici”, “impegnati”, “importanti”
(gente seria, insomma), sono esseri umani. Esseri umani particolarmente dotati
e particolarmente desiderosi di esprimersi. Qualcuno anche esagerando…ma è solo
una mia opinione, ovviamente. Ritornando
a T.S.Eliot, io conoscevo di lui altre opere come The Waste Land e Murder in
the Cathedral, che non sono propriamente libri di lettura leggera. Per l’ombrellone
è meglio scegliere qualcos’altro, anche se sono entrambi parecchio interessanti
e ricchi. Murder in the Cathedral mi ha sempre colpito, perché è così…teatrale.
A parte il fatto che è davvero un dramma teatrale, la stessa ambientazione dell’assassinio
(una cattedrale, e per essere più precisi, la Cattedrale di Canterbury), l’identità
dell’assassinato (Thomas Becket, l’arcivescovo di Canterbury), nonché quella
degli assassini (alcuni tra i cavalieri più vicini al re, Enrico II d’Inghilterra)
contribuiscono ad elevare il “tono”. Non un curato di campagna tremebondo (e
qui difficile non ricordarsi il nostrano Don Abbondio…), non una chiesetta in
un paesetto sperduto in Svizzera, non un gruppo di teppistelli ubriachi, ma
nientemeno che un Arcivescovo, a Canterbury in Inghilterra, e quattro tra i
cavalieri più vicini al trono inglese del momento.
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Mi ricorda qualcosa sì: forse dovresti andare a rileggere i commenti del 15 febbraio, partiti dall’Eleganza del riccio e finiti sui gatti, passando per centomila gavette di ghiaccio. No, non sono “un fenomeno” per la memoria, ho la pagina stampata sotto gli occhi…
RispondiEliminaEliot ti sorprenderà davvero. Sai che non ho simpatia per la poesia, ma quella combriccola di “jellicle cats” - la cui consapevolezza ontologica è invidiabile - può regalare un insegnamento profondo.
Piccolo scherzo: mi regali il Rum Tum Tugger? No, sono indecisa… magari il magico Mr. Mistoffelees. Se non ricordo male l’unica differenza col musical è Grizabella - regalo del genio di A. L. Webber - che parte dal discorso sul nome per “andare verso l’alba di un nuovo giorno”.
Metafisica degna di Amleto, ma più allegra (e senza stragi: il Bardo “ne accoppa” più di Ryoko Ikeda!).
E anche quelli intorno ai primi post del blog, quando Eragon s'interrogava sul vero nome. Evidentemente, è una grossa preoccupazione umana quella di scoprire, imparare e custodire il nome delle cose e di se stessi.
EliminaEliot mi ha davvero sorpreso. Tant'è che mi sto ancora chiedendo cosa vuole dire attraverso tutti quei gatti dal carattere così diverso. :-)
Quando vedete un gatto assorto, irraggiungibile, in realtà è “rapito” dal pensiero del pensiero del pensiero del suo nome, ineffabile-effabile-effa-ineffabile nome… (citazione inesatta, non ho il libro sottomano: dallo scaffale alto è volato direttamente tra le mani di Loredana)
RispondiEliminaCredo la risposta sia - oltre a "Il nome di un gatto" - lo stesso Old Deutoronomy, il gatto che ha vissuto tutte le sue vite... e forse più delle sette vite del nostro modo di dire! Quando vidi il musical, prima di comprare il libro, pensai: certo che noi esseri umani siamo “tardi”, ci facciamo superare da un gatto! E non è una suggestione o un “raptus poetico”: ho vissuto con un gatto per anni, comandava lui in casa… ops, forse secondo Eliot dovrei dire che un gatto ha vissuto per anni con me!
Ricordi bene la citazione...io sono stata colpita da questa ripetizione di ineffabile così strascicata. Evidentemente, questo nome è talmente profondo e intimo da essere quasi completamente volatile. Devi sforzarti davvero molto per afferrarlo.
EliminaI gatti sono esseri misteriosi. Io non ne ho mai avuto uno, ma per qualche tempo sono stata a contatto con uno di questi esemplari. Eh, sì, ci battono proprio su tanti punti di vista...:-)