domenica 10 giugno 2012

Imparare l’ottimismo – Scontro di stili


Quello che mi colpisce, e molto positivamente, è che l’autore ha un approccio talmente pratico alla materia che parte a raccontare molto spesso di sé e delle sue stesse reazioni di fronte agli avvenimenti.  Seligman è attualmente uno psicologo stimato,  il fondatore di una “corrente” nuova, la psicologia positiva, autore di libri diventati best sellers, Presidente dell’APA (American Psychological Association) per diverso tempo in passato.  Ma non è nato in queste cariche alte, e non si è trovato coperto di onori per caso o in modo semplice. Essendo un innovatore, e un rivoluzionario da un certo punto di vista, ha avuto il coraggio e la forza di contrastare quelli che erano gli dei del momento nell’ambito della psicologia in America negli anni ’70, i comportamentisti. Secondo questa corrente di pensiero, gli esseri umani dovevano il loro comportamento unicamente a fattori esterni, e in modo più specifico, alle ricompense e alle punizioni ricevute nel corso della loro vita. La coscienza, il pensiero, la capacità di progettare, elaborare, creare, non contava nulla. In questo caso, il comportamento dell’individuo varia al variare dell’ambiente: se l’ambiente cambia e diventa positivo, allora anche l’essere umano diventerà positivo. E gli esempi sono anche molto semplici: la povertà diventa la vera causa della criminalità, secondo questo approccio. Una volta eliminata la povertà, anche i crimini scompariranno. La stupidità deriva dall’ignoranza: con l’aumento della scolarizzazione, anche questa verrà “curata” e scomparirà. Sono idee  che assomigliano pericolosamente a luoghi comuni e portano via una parte considerevole dell’interazione della vita. Dov’è la responsabilità individuale? Dov’è la capacità di reagire, di elaborare un evento e di trasformarlo, se necessario?
Da una parte questo approccio sgrava dalle responsabilità, ed è quasi “rassicurante”, ma dall’altra…diventa una coltre di ovatta che fa diventare ottusi, in modo pericoloso, anche. Questo è il primo pensiero che mi è venuto in mente. Seligman sorvola sui giudizi e procede a illustrare nei dettagli gli esperimenti condotti sui ratti a sostegno delle sue nascenti teorie, che avrebbe poi descritto a Oxford agli “dei” summenzionati.
L’episodio del discorso pronunciato dal giovane psicologo Martin Seligman nel 1975 ad Oxford, culla centenaria dell’istruzione di grado elevatissimo, di fronte all’OIimpo degli psicologi più autorevoli di quegli anni, è indicativo di un certo atteggiamento indomito. L’accoglienza durante l’esposizione dell’autore è positiva: vede nei volti degli ascoltatori una certa attenzione rispettosa, e anche cenni di assenso. Non in tutti. Uno, il più famoso e importante, non esita ad esprimergli anche con i gesti, il proprio dissenso. Finito il discorso, Seligman si sente porre obiezioni del tutto valide e concrete alle sue teorie, e per un momento si sente davvero inutile e incompleto come professionista. Invece di scoraggiarsi e di giudicarsi negativamente per aver tentato di rovesciare una posizione consolidata come quella comportamentista, ma chiaramente mancante, Seligman affronta in un secondo tempo il suo interlocutore, pur con una certa difficoltà.  Pur sentendosi piccolo e inutile (tanti anni di lavoro buttati via), e quindi rischiando di cadere nel pessimismo e nell’auto-svalutazione, Seligman trova la forza di cambiare segno al pensiero che lo stava attraversando, arrivando a chiedere al suo sfidante, uno degli psicologi più famosi e autorevoli del momento, di lavorare con lui per aiutarlo a costruire una teoria adeguata.  “Non potevo sapere all’epoca che la sfida di Teasdale [lo sfidante autorevole] mi avrebbe portato a ciò che volevo più di ogni altra cosa: utilizzare i nostri risultati per aiutare gli esseri umani sofferenti e bisognosi di aiuto”. (Martin Seligman,“Imparare l’ottimismo” –  Giunti, pag.43)

3 commenti:

  1. Probabilmente vado fuori tema, ma mi hai fatto pensare ad una “cosuccia” che ho imparato da Ada (la mia “padrona di casa” o coinquilina virtuale). Il motto “tu hai ragione e io non ho torto”. La prima volta che lo scrisse mi lasciò perplessa: ecco un modo elegante per scantonare, pensai. Invece c’è una profonda verità. Non è un modo per continuare a prevaricare, ma uno stile di vita rispettoso. Ognuno di noi ha una verità ed è una verità. Ma non è una verità assoluta: siamo tanti, tutti diversi, tutti con una ricchezza propria che entra in contatto con altre ricchezze. Ovviamente - come ottimismo e pessimismo - c’è il rovescio della medaglia: abbiamo ricchezze come abbiamo carenze e povertà. Penso Seligman consiglierebbe di concentrare la nostra attenzione sulle ricchezze…

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  2. E' l'approccio che gli studiosi di comunicazione chiamano win-win: in una conversazione, o meglio, in una negoziazione, gli interlocutori sono più interessati a scambiarsi le idee e i concetti, che a prevaricare l'uno sull'altro.
    Effettivamente, Seligman fa scoprire che si può puntare sulle proprie ricchezze.

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  3. Bene, sono contenta della tua visita, spero che ritornerai ogni volta che vorrai.

    Ben volentieri m'interesso di sapere se qualcuno ha libri che non legge più. Nel momento in cui darò una sistemata ai miei, e troverò volumi che non voglio più tenere, posso rivolgermi a te?

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