Iniziamo a parlare di nomi, allora. La prima poesia s’intitola
proprio così, Il nome dei gatti. Sembra una faccenda da poco…ma è davvero così?
Si potrebbe girare la domanda a qualche proprietario, o meglio, a qualche
co-inquilino umano del suddetto animale. Eliot non pensa che sia una questione
facile, e inizia: “ E’ una faccenda difficile mettere il nome ai gatti;/niente
che abbia a vedere, infatti/ con i soliti giochi di fine settimana…”(Eliot, Il
libro dei gatti tuttofare, pag. 5, Bompiani). Ed espone poi la sua teoria. I
gatti, in realtà, non devono avere solo un nome, ma tre. Uno, domestico,
tollerato dall’animale (aggiungo io, questa è una mia impressione), di uso “comune”.
Probabilmente per dare all’umano l’illusione di possesso sulla bestiola. Il
secondo, è il nome che il gatto considera più appropriato per sé e che lo fa
incedere sussiegoso e ben pieno di sé. Almeno, secondo i suoi canoni…Eliot ne
dà qualche esempio, come Mustrappola, Tisquass, Ciprincolta (originali inglesi:
Munkustrap, Quaxo, Coricopat), “nomi che vanno bene soltanto ad un gatto per
volta”. (ibidem) E questi sono i nomi che identificano ogni gatto, esattamente
come i nomi umani identificano le persone tra di loro (e noi abbiamo anche i
cognomi, per sconfiggere le omonimie), e in qualche modo le modellano.
E’ finita qui? Certo che no. Ecco che Eliot attira l’attenzione
sul NOME, su quello che niente e nessuno del mondo degli uomini può trovare, ma
che IL GATTO CONOSCE. E usa le maiuscole, per ribadire che gli esseri umani
sono esclusi da questo. E qui Eliot parla della meditazione assorta del gatto
nel suo “ineffabile effabile effineffabile profondo e imperscrutabile ed unico
NOME”. (Of the thought, of the
thought, of the thought of/his name:/His ineffable effable/Effanineffable/Deep
and inscrutable singular Name.)(ibidem) I veri nomi sono imperscrutabili,
segreti, difficili, profondi, unici, e preziosi. Non a caso sono sepolti nelle
profondità poco accessibili delle anime, sia umane (e qui mi lego a Eragon) sia
feline. Chi conosce il vero nome di qualcun altro, ne diventa il padrone
assoluto perché s’impadronisce della sua stessa matrice d’esistenza, ed ecco
perché viene celato così bene. E il gatto lo conosce…e lo custodisce nel
silenzio dei suoi occhioni sgranati.
Ti piace la sintesi “il nome è essenza”?
RispondiEliminaScherzavo con Ada sull’ebraico “shemen”, che ha valenza ontologica (sempre a livello Bignami: riguarda l’essere in quanto essere).
Ma ha anche un altro significato, legato all’olfatto. Come “essenza” in italiano: rimanda all’ambito cosmetico e dei profumi.
In effetti, ora che mi ci fai pensare, ha sempre colpito anche me questo doppio significato di "essenza". L'essenza di un profumo è il suo cuore, quello che lo identifica. Così come l'essenza umana va ritrovata molto probabilmente nel suo cuore...questo mi fa venire in mente un famosissimo libro, Il Profumo, di Patrick Süsskind. Ne parlerò qui...abbiamo visto com'è facile intrecciare le cose, pur non volendolo. :-)
Elimina