I Giudici, ovvero un resoconto più credibile
dell’insediamento nella terra promessa.
Qua la soap si fa intrigante (tradimenti, inganni, stupri –
già quando va bene le donne sono considerate merce di scambio – diatribe anche
fra le varie tribù) ma andiamo con ordine.
L’idea principale è che Israele è il popolo di Dio, perciò è
il Creatore stesso a guidarlo. Se Israele vuole crescere e prosperare non deve
far altro che seguire la legge di Mosè (i dieci comandamenti e tutte le pedanti
interpretazioni scaturite dalla Torah). Le sue pecorelle, però, sono un po’
dure di comprendonio: si mescolano alle altre popolazioni, le imitano, le nuove
generazioni scelgono compagne/i “locali”, seguono altri culti. Comincia il
ritornello: “gli Israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore” (ergo
al Capo “prendono i cinque minuti”), che compare in tutta la storia narrata dal
Primo Testamento.
A volte Dio ispira qualche pastore per riportare il suo
gregge sulla retta via. Così leggiamo le imprese di questi “giudici”, imprese
che spesso finiscono con qualche bella strage approvata dal redattore: qua c’è
il famoso Sansone (e tutti i filistei, che fanno ancora una fine “pulita”:
altri nemici sono allegramente bruciati o trucidati senza tanti complimenti,
con somma soddisfazione del cronista). E diciamo anche che Sansone non deve
essere chissà quale perla d’uomo: tutti i guai nascono dalla sua infatuazione
per le furbette straniere, che lo infinocchiano allegramente.
Il giudice Gedeone risulta più simpatico: prima di muovere
guerra contro Madian, come gli suggerisce un misterioso angelo del Signore,
chiede qualche prova: Dio tace da tempo, meglio essere proprio sicuri prima di
cercare altri guai. Convinto, guida un piccolo esercito alla vittoria e regala
quarant’anni di pace al paese; ma alla sua morte tutto ricomincia.
Interessante la figura della profetessa Debora, alle prese
con un vicino cananeo un tantino invadente (soltanto novecento carri di ferro,
armati di tutto punto). Grazie alle sue ispirazioni e ai consigli saggi che
elargisce, ci sarà ancora un periodo di pace.
La lista è lunga, a volte anche noiosa perché segue un unico
schema: presentazione del giudice, la sua famiglia, la durata della sua carica
con eventuali imprese e l’ubicazione della tomba.
Spesso mi coglie un pensierino birbante. Oggi si parla tanto
di tolleranza ed inculturazione. Bei concetti, sì. Ma tollerare significa
perdere la propria identità?

