giovedì 18 luglio 2013

Premi e riconoscimenti per il Furore di Aver Libri

Ci vuole un bel post di ringraziamenti, ogni tanto, dopo che arrivano riconoscimenti e premi.
Nei giorni scorsi, i votanti del blog hanno fatto in modo che entrassi in classifica nei motori di ricerca, come si può vedere nella colonna a lato, e questo mi riempie di gioia e di piacere. Ad ogni riconoscimento mi sento spronata a continuare e a fare meglio. Un grazie deciso e sonoro a tutti coloro che seguono e leggono il blog, e che l’hanno votato! J
Per restare in tema, stamattina ho ricevuto la graditissima sorpresa da parte di Cristina di Athenae Noctua, che mi ha segnalato per un altro Liebster Blog Awards. Grazie! Un ottimo modo per iniziare la giornata, per non parlare dello sprone che ricevo. Ho giusto un paio di idee in fermento che devo concretizzare, e che presto compariranno su questi schermi.
Nel frattempo, rispondo alle bellissime domande poste da Athenae Noctua:

1.     C'è un sito artistico, ambientale o architettonico italiano cui tieni particolarmente? Ora riesco a pensare a intere città, con le loro bellezze sparse tra cerchia di mura, basiliche, affreschi, mosaici: Ravenna, Parma, Volterra, Cremona, Urbino, Gubbio, Gradara. Se non ho citato altro, è perché la mia memoria è difettosa.
2.      Qual è la corrente artistica che preferisci? Rinascimento, senza dubbio, per pittura, scultura, architettura. Michelangelo è il dio che le concretizza. (sì, sono  fissata, non ho alcuna remora ad ammetterlo).
3.     Quali sono i tre libri cui sei più affezionato/a? Per quale motivo? E qui ripeto la mia ossessione: Il Signore degli Anelli perché i suoi anelli mi hanno incatenata, con il mio pieno consenso, e non ho alcuna intenzione di liberarmene. Il tormento e l’estasi, perché è la vita di un dio che si è fatto uomo e ha concretizzato la sua missione su questa terra in modo eccezionale. Il re e il suo giullare, perché mi fa vivere un periodo che m’interessa profondamente, per quanto mi irriti altrettanto profondamente.
4.     C'è un film che consiglieresti a tutti di vedere? La ricerca della felicità, di Muccino. E’ la storia della determinazione titanica di un uomo che non vuole farsi sconfiggere e che supera le sue prove una dopo l’altra, nonostante tutte le batoste che riceve.
5.      Per informarti sull'attualità, ricorri più a internet o a giornali, libri e televisione? Internet e libri, ma cum grano salis. Sono diventata allergica a televisione e giornali, troppo asserviti all’allarmismo e al pessimismo. Se ascoltiamo i telegiornali finiamo per imbottirci di ansiolitici e smettiamo di esercitare la nostra umanità.
6.     C'è un evento (fiera, festival, raduni ecc.) cui tieni a partecipare regolarmente? Il Salone del Libro...ho fatto una lunga pausa, ma ora mi piacerebbe riprendere la “tradizione”.
7.     Ti piacerebbe fare il/la blogger di professione o preferisci che la tua attività rimanga un passatempo? Mi piacerebbe molto essere una blogger di professione...ma la strada è lunga, lunghissima!
8.     C'è un avvenimento particolare che ti ha convinto/a ad aprire il tuo blog? Trovarmi con molto tempo libero quasi all’improvviso, e con una passione per libri, comunicazione e Internet che doveva essere incanalata...
9.     Chi/cosa è in grado di tirarti sempre su di morale? I libri non mancano mai di tirarmi su di moraleE un’amicizia preziosissima, di antica data.
10. C'è un post del tuo blog di cui vai particolarmente fiero/a? Quelli su Il tormento e l’estasi, e Uomini che odiano le donne. Sono libri che mi hanno scavato dentro un po’ più in profondità.
11.  Hai un motto o una citazione che ti rappresenta? Ne ho diversi. Volli, volli, fortissimamente volli (Alfieri). L’unica costante è il cambiamento (Buddha). Cadi sette volte, rialzati otto (proverbio giapponese).

E ora, i blog che desidero premiare:

Toccherebbe a me, ora, creare 11 domande da sottoporre alle premiate, se hanno desiderio e tempo per partecipare.  Ho rielaborato un set precedente di domande...introducendo qualcosa che non avevo chiesto prima.

1.       Cosa ti piace fare, oltre a leggere?
2.       L’apparecchio tecnologico che preferisci?
3.       Preferisci acquistare libri o prenderli in biblioteca?
4.       Se fossi un regista, che film ti piacerebbe girare?
5.       Che genere ti piace?
6.       Se fossi Dio per una settimana (come capita a Jim Carrey nel film), cosa faresti per primo?
7.       Ti è mai capitato di voler riscrivere un libro che hai letto?
8.       Immagina di scrivere al tuo autore preferito, anche del passato. Cosa gli scriveresti?
9.       Quale espressione artistica preferisci, tra pittura, scultura, architettura?
10.   Quale genere musicale preferisci?

11.   Quale genere musicale vorresti cancellare dal pentagramma, se potessi?

Ancora grazie e buoni libri a tutti!

lunedì 15 luglio 2013

Il Cacciatore di Draghi – Una favola buffa e irriverente

Mentre Frodo comincia ad aver guai con i suoi cupi inseguitori, mi diverto con questa favola irriverente. Gli esordi di Tolkien sono avvenuti nel rispetto di una certa tradizione letteraria antica, e nella leggerezza. Lo Hobbit, del 1936, rievoca le battaglie epiche tra le razze guardandole dall’ottica di un popolo piccolo e bucolico, ansioso di mantenere le proprie tradizioni di convivenza pacifica, disinteressato a intrighi economico-politici. Il cacciatore di draghi, pubblicato tredici anni più tardi, è una favola in parodia delle grandi gesta degli uccisori di draghi delle tradizioni letterarie nordiche. E’la storia di Aegidius Ahenobarbus Julius Agricola de Hammo che, nonostante il lungo nome altisonante che lo qualificherebbe come un principe o un cavaliere di alto lignaggio, è un semplice agricoltore del villaggio di Ham, nel bel mezzo dell’Isola della Britannia. Per essere veloce, e per ridimensionare una storia che sembrava partita in alto, l’autore decide di chiamarlo con il suo nome “volgare”,  Giles. L’uomo, proprietario di un cane parlante, Garm, conduce la sua vita nella routine più semplice e ripetitiva, finché una passeggiata notturna effettuata da un gigante stupido e sordo, innesca una serie di avvenimenti che lo portano, da semplice agricoltore, a impavido e ricco cacciatore di draghi, e poi sovrano. Il gigante si perde nel corso della sua passeggiata, e viene avvistato da Garm che abbaiando come un forsennato, spinge il suo esasperato padrone a occuparsi di questa minaccia, pur essendo spaventato dalle dimensioni dell’enorme sempliciotto. L’eroica impresa, del tutto spontanea e non cercata, si sparge immediatamente per tutto il villaggio e nei dintorni, magnificando il coraggio e le gesta di Giles, fino alle orecchie del re, che lo invita addirittura a corte.

mercoledì 10 luglio 2013

Il racconto su Drakula voevoda – L’inizio storico del Dracula

Ogni tanto, mi sorge l’impulso di virare decisamente verso la direzione opposta a quella che sto percorrendo. Dracula non ha molta attinenza con Lady Susan e la questione femminile, o con Frodo che sta per capire in quale ginepraio si sta tuffando con quel bell’anello d’oro lasciatogli dal caro zio Bilbo. Ieri pomeriggio stavo guardando la mia vecchia libreria in casa dei miei genitori, che raccoglie la mia collezione libresca giovanile, riscoprendo vere e proprie perline. Una di queste è Il racconto su Drakula voevoda, di cui mi ero completamente dimenticata. E’ un gioiellino non solo per il contenuto, ma anche per l’aspetto. E’ uno dei libri di formato piccolino editi da Sellerio, con quella copertina di carta pesante ripiegata, di un informe colore grigio o blu, molto essenziale, su cui spicca, incollata, un’immagine solitamente di un quadro o di una stampa poco conosciuti, dei secoli passati. E’ uno di quei libri che a me piace immensamente tenere tra le mani come se fosse uno scrigno, e accarezzare come se fosse la lampada di Aladino custode del potentissimo genio. E’ un libro antico d’aspetto, per quanto non lo sembri affatto: stampato nel 1995, con un prezzo ancora in lire. Sulla copertina spicca un’immagine a tinte scure di un olio risalente al primo quarto del XVIII secolo, conservato al Museo Russo di Stato di San Pietroburgo. E’ un gentiluomo dal viso serio, con tratti marcati, e occhi profondi dall’espressione ferma e rapace. Le mani sono grandi, forti e suggeriscono una presa spietata, nient’affatto gentile. Un bel ritratto di Dracula, quello storico. Se non fosse per la foggia dell’abito che indossa, che a malapena s’indovina sullo sfondo scuro, e che è troppo moderna per l’epoca in cui visse davvero, non si avrebbero dubbi. E’ un piccolo gioiello, questo libro, perché parla di un frammento di storia umana, di un personaggio passato alla storia per la sua estrema crudeltà, raccontato da un monaco sconosciuto, di cui è rimasto solo un nome, Efrosin.

lunedì 8 luglio 2013

Lady Susan – Una donna...ingombrante e non convenzionale

Contemporaneamente all’Estate Tolkeniana, corre un’Estate al Femminile.  E’ un’estate in cui torno a certe mie origini per riprendere alcuni pezzi miei che avevo accantonato e trascurato, e da cui riparto per nuove strade, con una nuova visione, meditata, creata e attuata completamente da me. Uno dei pilastri di questa visione è la donna: la sua personalità, il suo modo di agire, il suo significato, il suo ruolo, la sua presenza. Cos’è una donna? Chi è una donna? Sono diversi anni che mi girano in testa queste domande inespresse. Le loro origini sono variegate, complesse. Affondano nella realtà, negli esempi che posso vedere in torno a me, e nei libri, classici, romanzi d’evasioni, saggi, che dipingevano cuori femminili forti, sconfinati, coraggiosi, ma anche deboli, frivoli, traditori, intriganti. Penso soprattutto ad alcuni romanzi e poemi del Settecento, in cui spesso si mettevano in luce gli errori e i difetti umani, con particolare insistenza su quelli femminili, che destavano particolare “scandalo”, e orrore. Choderlos de Laclos e la sua spaventosa Madame de Meurteil, Alexander Pope e la sua Belinda, sono i primi personaggi che mi vengono in mente. Restando nello stesso secolo di questi due autori, il XVIII secolo, mi sono fermata nel paese di uno di questi, la Gran Bretagna. In quegli anni, una giovane scrittrice crea personaggi femminili affascinanti, nati nel suo mondo di piccolissima aristocrazia, bucolico, riservato, gentile. In apparenza. Basta spostare le cuffiette ornate, sbirciare sotto le giacche sobrie dei gentiluomini per scoprire cuori da avventurieri, e spietatezze, seppur metaforiche, degne di scenari di guerra, duelli verbali condotti con la stessa sete di sangue di quelli combattuti con le lame, pur mascherati da maniere eccellenti e voci composte. La giovane scrittrice è Jane Austen. Una vita brevissima, la sua, durata solo 42 anni, spenta forse dal morbo di Addison, relativamente povera di avvenimenti, ma florida e ricchissima come produzione letteraria. Mi ha sempre colpito l’apparenza dimessa dei suoi scritti. Niente battaglie epiche, niente eroismi, niente scenari esotici, niente navi in tempesta, nessuna fanciulla minacciata da bruti/draghi/parenti cattivi, niente lacrime e svenimenti facili, niente segreti terribili, niente maledizioni secolari, niente vampiri malvagi, niente duelli all’alba. “Solo” una grande e piccola commedia umana. Una commedia che diventa il fulcro principale dei fiumi d’inchiostro versati da Balzac, che nasce poco più di vent’anni dopo, in un altro paese, ma che mostra lo stesso interesse per l’agire umano.

La diciannovenne Jane, che ha già al suo attivo tantissimi racconti, elabora con Lady Susan Vernon un personaggio di donna scomoda, disturbante, nell’arco di quarantuno lettere. La maggior parte di queste è scritta dalla stessa perfida Lady ad una sua amica e confidente, altrettanto perfida (forse un tantino più gelida). A queste si contrappongono le rimanenti, scritte da Catherine Vernon, la cognata della Lady, alla propria madre, e da Reginald De Courcy, suo fratello.  L’alternarsi dei punti di vista sulla stessa persona, o sulla stessa situazione, diventa una specie di gioco di specchi. Lady Susan è una donna amante dei piaceri, bella, affascinante, intelligente, scaltra, con un enorme talento sociale, ma quasi priva di mezzi. Il suo bell’aspetto, il suo stile, la sua conversazione briosa, sono le armi di cui si serve con calcolo per attirare gli sguardi e possibilmente un nuovo marito ricco che le garantisca una bella vita. Per perseguire il suo obiettivo, si disinteressa al limite dell’odio della propria figlia sedicenne, messa in un canto in un collegio con la scusa di curare un’educazione carente, e non esita a far “guerra” alle donne più giovani di lei, se incautamente le attraversano il cammino e minacciano di intralciare i suoi piani. Un temperamento da predatrice dissimulato da sorrisi angelici e comportamenti virtuosi, puramente di facciata. Sembra che a questo panzer in abiti Impero vada liscio ogni piano, impunita. Tuttavia, le marionette che ha così astutamente manovrato per tre quarti del breve romanzo, si risvegliano e scoprono di avere una propria testa e un proprio cuore, per cui, almeno una parte dei piani della cara Lady vanno in fumo. L’ho ammirata e detestata.

venerdì 5 luglio 2013

Lo Hobbit – Avventura, scoperta, formazione.

Mentre contempla la bella e placida Contea davanti alla sua bella casetta ordinata, stipata di cose buone da mangiare, Bilbo incarna un’altra bella tesserina lucida di questo mosaico bucolico, della bella vita e delle belle intenzioni. Da lì a poco, più precisamente all’ora del the, questo mosaico si sbriciolerà, portando via con sé un attonito ed esaltato (sotto sotto) Bilbo. Mentre il bollitore borbotta, suonano alla porta. Un nano, di nome Dwalin, vestito di mantello e cappuccio verde, e cintura d’oro, si presenta ed entra veloce, comportandosi come se fosse a casa propria. E’ il primo di una lunga serie di scampanellate e di relative presentazioni da parte di altri nani, vestiti più o meno come il primo, dai lunghi alberi genealogici e dai nomi importanti, che si dispone nel salotto di Bilbo a fumare, gustare the, caffè, bevande, dolci, birra, attingendo copiosamente dalla dispensa pur fornitissima del frastornato hobbit. Tredici nani, uno stregone (Gandalf chiude la fila) e uno hobbit formano una Compagnia di viaggio alquanto bizzarra (una sorta di prove generali per la Compagnia dell’Anello più tardi), con questa missione azzardata e pericolosa in mente: recarsi in un posto lontano, dal nome esotico di Montagna Solitaria, scendere nei suoi sotterranei, sbarazzarsi di un ingombrante drago sdraiato su un incommensurabile mucchio d’oro, recuperare così in un colpo solo un tesoro e la casa “natale” dei nani (tra di loro c’è Thorin Scudodiquercia, il discendente di un’antica famiglia reale, che rivendica il proprio trono).

mercoledì 26 giugno 2013

Lo Hobbit - Dove tutto ebbe inizio

Mentre attendo che Il Signore degli Anelli torni a casa, per poter riannodare l’oscura conoscenza, rileggo Lo Hobbit, che idealmente è il primo passo del lunghissimo viaggio che porta lo hobbit Bilbo ad impadronirsi suo malgrado di un anello magico, a tirare fuori la parte più avventurosa e selvaggia del suo animo, a scontrarsi con un drago, e partecipare ad un’epica guerra tra razze. Quando sentii parlare per la prima volta di questa storia, che ho condensato in tre righe, mi fu raccontata come favola (ero bambina) e come parte integrante de Il Signore degli Anelli: pensavo davvero che fosse un solo libro. Per cui, passai i primi capitoli a cercare il drago, che ovviamente era già ampiamente morto e sepolto da un’altra parte, mentre l’Anello, l’Unico Anello, era già in scena in casa di Frodo. La prima volta che lessi Il Signore degli Anelli, lo feci con un senso di incompletezza. Cercavo un drago, e loro mi davano Nove Cavalieri Oscuri, che non smettevano di cacciare e terrorizzare il povero Frodo, finché non furono portati via da onde fluviali trasformate in cavalli bianchi invincibili. Volevo sapere chi diavolo era Gollum, e il perché di quel nome grottesco, e nessuno dei personaggi si sbilanciava più di tanto a rivelare qualcosa di questa creatura, dando per scontato e glissando come se niente fosse. Finché non vidi sul catalogo Euroclub Lo Hobbit, o La Riconquista del Tesoro, e non fugai tutti i miei dubbi. La lettura dei libri di Tolkien per me fu l’equivalente della ricostruzione di un mosaico, dopo aver cercato e rintracciato tutte le tessere. Credetti di aver finito la mia esperienza di Indiana Jones del settore, almeno per quanto riguardava i libri, ma poi scoprii un intero mondo all’Università, questa volta su Tolkien stesso. Non era “solo” uno scrittore. Studioso di un certo livello della lingua anglosassone, professore di lingua e letteratura inglese a Oxford, linguista, FILOLOGO e, quasi di conseguenza, glottoteta, o glossopoeta (creatore di linguaggi artificiali, in sintesi). Era uno scrittore demiurgo. Qualcuno che crea mondi, li popola di persone, e dona loro una vita, lingua, cultura proprie. Ero una matricola, già attratta e catturata dal corso di Filologia Germanica, e scoprire che l’autore del mio romanzo pilastro lo era stato a sua volta, e anche ad altissimi livelli, mi galvanizzò e spinse decisamente nella direzione appena abbozzata, che si sarebbe conclusa con una tesi nel campo. Scoprire quelle informazioni su Tolkien, la sua professione e il background culturale al di sotto dei suoi romanzi, me li fece comprendere maggiormente. Era fantasia viva, verosimile, molto più vicina. Le radici di Bilbo sono le stesse che hanno fatto crescere gli alberi della letteratura anglosassone e scandinava antiche, che hanno scelto uno sviluppo più originale, moderno. La trama de Lo Hobbit è piuttosto nota, al pari di molti classici di altri tempi, argomenti e lingue. In una regione di quel paese che è la Terra di Mezzo, vive una popolazione di esseri piccoli di statura, d’indole schiva e pacifica, dediti soprattutto alla vita bucolica a stretto contatto con la natura e ai piccoli grandi piaceri relativi alla buona tavola e alla condivisione con i vicini. Non amano intrattenere rapporti con le altre razze, e sono felicissimi di vivere tutta la loro vita nella loro amata Contea, tra amici e parenti che conoscono perfettamente. Non amano avventure: sono cose pericolose, da cui è necessario guardarsi. Dello stesso parere, almeno apparentemente, è Bilbo Baggins, uno degli Hobbit più rispettati e benestanti della Contea: quando lo sguardo del narratore si abbassa su di lui, è seduto davanti alla porta di casa sua, dopo un’abbondante colazione, intento a fumare la pipa.  

sabato 22 giugno 2013

Inizia l'Estate Tolkeniana

Non poteva mancare, tra le mie ossessioni furiose. Ci penso da quando ho aperto il blog, un anno fa. John Ronald Reuel Tolkien. E il suo Il Signore degli Anelli, naturalmente. Penso di aver già detto in un altro post come ho conosciuto prima il libro, sentendomelo raccontare da bambina da una supplente particolarmente in gamba e creativa, che aveva azzeccato un buon metodo per tenere a bada e soggiogati una schiera di bambini a lei sconosciuti, al di sotto dei dieci anni, senza ricorrere a minacce o a violenze. Quando riuscii a mettere le mani sul libro, qualche anno dopo, era estate e la scuola stava finendo. Lo lessi e lo rilessi. E anche l'estate dopo. E quella ancora dopo. Credo che fosse il mio rito personale per sancire l'inizio dell'estate, che durò almeno dieci anni o poco più. Forse fu l'Università a interrompere la tradizione, e tutte le altre esigenze che si sono presentate, distogliendomi dal mio librone, che era sempre lì ad aspettarmi. 

Quest'anno, complice Marzia e la sua richiesta di portare a termine la lettura de Il Signore degli Anelli, che non la convinceva troppo, da diversi anni, ho ripensato al mio rito personale e mi sono chiesta: perché non riprenderlo? Ed essendoci anche il blog, ho l'occasione per parlare di un autore che per me è stato importante, al punto da dedicargli una pagina tutta per lui. E con questo post, scritto a due voci con Marzia, dichiaro ufficialmente aperta l'Estate Tolkeniana. ^___^

La parola a Marzia...

Le manie di una lettrice furiosa

Tempo fa, nel post dedicato al Salone del Libro, dichiarai ufficialmente:
la mia annosa controversia con Il Signore degli Anelli è risolutivamente conclusa; ho portato a casa il volume unico, un bel “tomone ciccio” di cui ho già notato una revisione nella traduzione.
Il libro di Loredana è qua sul mio scaffale da qualche mese ormai.
E non per la prima volta: io e Loredana scherzavamo sul fatto che il suo libro si sarebbe sentito a suo agio fra i miei, ormai conosce bene me ed i miei scaffali.
Adesso è ora di restituirlo.
Buffo: mi sento a disagio.
Possibile? Siamo abituate a scambiarci i libri, perché stavolta provo questa sensazione strana? Di abbandono?
Insomma, ho la mia copia dove il famoso “coniglio al ragù” di Sam, che turbava i miei sonni, è diventato uno stufato di coniglio!
Sì, turbava i miei sonni: sono ferrarese da parte di padre, il ragù è nel nostro DNA assieme alla pasta all’uovo, le lasagne, i tortellini, i “cappellacci” (tortelloni di zucca), il salame all’aglio, la salama da sugo ed il panpepato di Natale… insomma, cosa c’entra il ragù col coniglio? Si usa la carne del coniglio per fare il ragù? O tanto per non farsi mancare nulla, gli Hobbit condiscono riccamente anche il coniglio, alla faccia del colesterolo?
Per non parlare del burro che è nominato spesso, assieme alle grasse abitudini alimentari di Sam &C…
O i misteriosi “Rifugi Oscuri” che nella mia copia diventano i “Porti Grigi”.
Sto guardando il librone “vissuto” di Loredana.
Ricordo che gliel’ho chiesto (ancora) in prestito per superare un momento difficile.
Ero talmente “storta” che avevo bisogno di qualcosa che impegnasse ed assorbisse tutta la mia attenzione. Che mi distogliesse dai crampi e facesse dimenticare che le gambe cedevano più del solito.
Ha assolto pienamente, tenendomi incollata al divano anche per leggerlo.
Ecco perché ora provo una certa nostalgia proprio per quel libro.
Quel volume – proprio “lui” – mi ha regalato molto.
Mi piace anche il mio, con la sua copertina scura e sobria. Ma saluto con gratitudine un amico.

Sembro una maniaca?

Sono una lettrice furiosa! 
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