Oggi ricorre il “compleanno” di un gigante italiano, uno dei
pochi personaggi della nostra storia che riescono ancora a farci tenere la
testa alta, quando parliamo di Italia: Michelangelo Buonarroti, nato il giorno 6 marzo 1475 a Caprese, in Toscana. Quando si
pronuncia il suo nome, si dice tutto: David, Cappella Sistina, Pietà, Giudizio
Universale, Rinascimento, Toscana, Medici, ecc. In una parola, in un nome,
evochiamo secoli e oggetti di splendore artistico che hanno pochi rivali nel
mondo, e quelli che ci sono, sono quasi tutti italiani come lui. Da quando “l’ho
conosciuto a scuola”, è diventato uno dei miei artisti preferiti: la potenza
fisica delle sue figure dipinte che sembrano balzar fuori da un momento all’altro,
il respiro e la carne fortissima delle sue statue (e non perché di marmo: sotto
quelle forme c’è vita, scorre sangue e pulsano muscoli di pietra) mi hanno
sempre affascinato e zittito in contemplazione, anche solo attraverso le
fotografie. Mi sono sempre domandata che razza di spirito avesse il creatore
umano di quella bellezza carnosa e potentissima, insopportabile nella sua capacità
di esprimere la parte divina dell’uomo . Soprattutto, era consapevole di essere
un uomo che creava come una divinità? Ho trovato le risposte in questo
splendido libro massiccio. Lo lessi al tempo del liceo, più volte, facendo
concorrenza al Signore degli Anelli. Irving Stone era riuscito nel miglior
intento possibile per uno scrittore: far vivere e pulsare un personaggio nella
carta di un libro. Facciamo conoscenza con un Michelangelo ragazzino, un
tredicenne che studia la propria faccia con le capacità di stima di un mastro
costruttore: nota le sproporzioni della fronte, della bocca e del mento, e si
rammarica perché “qualcuno avrebbe dovuto usare un filo a piombo”. Si sa che
gli adolescenti sono specializzati nell’individuare i propri difetti,
ingigantirli e farli mostruosi, ma questo ragazzino non pensa e non agisce in
modo comune.
Per quanto poco soddisfatto del suo aspetto, non è il suo problema
principale. Lui vuole creare, vuole scolpire, vuole lasciar sfogo al tormento
creativo che si agita in lui subito. Del resto, il giovane nasce nella Toscana
medicea, quando si trasferisce a Firenze e conosce i Medici e gli artisti,
affermati e in erba, che vivono attorno al Magnifico Lorenzo, respira
soprattutto quell’aria di creazione, di espressione del proprio divino. Si fa
notare subito, l’irruente ragazzino, e non solo perché fa a botte con un
ragazzone più grosso di lui che lo tormentava (e facendosi anche spaccare il naso,
evento che gli peggiora di molto il profilo), ma perché aggredisce come un
indemoniato i blocchi di pietra che gli mettono davanti per studiare e
imparare. La prima volta che il suo maestro prova a dargli istruzioni su come
fare per scolpire, rinuncia subito a fargli seguire le regole: Michelangelo si
ricopre in pochi minuti di polvere di marmo, preso dallo sforzo di liberare una
testa di fauno dal resto del blocco di pietra che lui, il suo creatore, poteva
vedere e sentire. E’ come cercare di fermare un vulcano in eruzione: è un’impresa
possibile? No, ed è perfettamente inutile. Da quel momento, si è perfettamente
calati nella Firenze del tempo, al punto da essere in una Second Life dedicata
interamente alla città e ai suoi abitanti. Si resta vicini a Michelangelo, si
scolpisce con lui, si sente la sua fatica, l’espressione del suo tormento
creativo che lo rapiva completamente, la fatica che faceva a rapportarsi con
gli altri. Sensibilissimo al richiamo del marmo e delle figure intrappolate all’interno,
rabbioso, scorbutico al limite dell’arroganza, poco incline a piegarsi all’autorità,
e poco avvezzo a farsi catturare dall’adulazione altrui. A grandi linee, questo
è il carattere che traspare dalle parole di Irving, e che noi conosciamo bene,
perché arriviamo a interagire con Michelangelo. Lo seguiamo mentre cammina tra
le strade fiorentine, passo dopo passo, ciottolo dopo ciottolo, vedendo gli
edifici che vedeva lui, ascoltando le parole che ascoltava lui, giudicando gli
altri artisti che man mano conosceva (Leonardo, Il Ghirlandaio, Raffaello
Sanzio…), sentendo i suoi sentimenti di ammirazione, invidia e imitazione per
le loro opere.
Ricordo male o la lettura fu consigliata dalla prof. di italiano?
RispondiEliminaPerò ricordo il dettaglio che ancora oggi mi fa “impazzire”: noi avremmo avuto davanti “un pezzo di marmo”, Michelangelo “vedeva” il suo David o una pietà… come se quel blocco di pietra avesse un’anima.
Penso di sì...fu lei a parlarne, e noi abbiamo prontamente seguito il consiglio.
EliminaMichelangelo era nato per creare, o meglio, per essere la magnifica levatrice di altrettanto magnifiche creature vive contenute nella pietra. E poi ne diventava il genitore: le modellava, le curava, le proteggeva, le perfezionava e poi le offriva al mondo nel loro splendore completo. Se penso alle sue opere, e a quello spirito di creatore/levatrice/allevatore, mi riconcilio con gli altri esseri umani. E' la dimostrazione che il divino esiste nei nostri sacchi di carne instabili e mutevoli.