La fortuna sentimentale non arride a Enrico VIII. Jane
Seymour, la “pienamente amata” muore dodici giorni dopo aver dato al re il
sospiratissimo erede maschio. Con tutta probabilità è stata la setticemia
subentrata ad una febbre post-parto a portarsela via, oltre all’inettitudine
quasi totale dei medici di corte, che non sono riusciti ad andare oltre rimedi
della nonna e dall’efficacia inesistente per evitare l’evento luttuoso. Pur
essendo colpito profondamente, Enrico VIII deve dare molto rilievo al suo ruolo
istituzionale di monarca di un regno abbastanza turbolento, sotto la continua
minaccia di vicini troppo invadenti e troppo pronti a farsi idee di conquista
sull’isola britannica. Ricomincia la sua ricerca di una quarta moglie,
affidando l’incarico ai suoi ambasciatori. Colpisce l’amarezza di una
riflessione del re, probabilmente condivisa con il principale consigliere
Thomas Cromwell: pur essendo potente, ricco, il primo uomo del suo regno, non
può innamorarsi e sposare una donna scelta liberamente, seguendo il suo spirito.
Arriva quasi a invidiare la sorte dei poveri che, al contrario di lui, possono
seguire il loro cuore quando si tratta di scegliere una compagna di vita. E’ un
esempio di quanto riesca ad essere sarcastica e anche equilibrata la vita: a
qualcuno dona regni, bellezza e potere, e una scarsa capacità di gestirli con
risultati soddisfacenti, mentre a qualcuno riempie la vita di sentimenti, di
amore provato e diffuso, pur asciugandogli il portafoglio e riducendogli il
luogo di abitazione. Naturalmente, le azioni di qualcuno tanto in vista quanto
il re d’Inghilterra non passano inosservate.
All’epoca non esistevano mass
media, men che meno una rete digitale, ma le informazioni e le notizie
raggiungevano tutti gli angoli, pur mettendoci molto tempo. Interpellata da uno
degli ambasciatori reali, la duchessa Cristina di Milano, candidata a ricoprire
il ruolo di regina nei desideri di Enrico VIII, per la sua grande bellezza e
intelligenza, risponde che se avesse due teste, una l’avrebbe volentieri donata
al re. Le altre candidate, appetibili per qualità fisiche e di lignaggio, si
affrettano a concludere le loro trattative di nozze con altri principi, per
stringere altre alleanze. Comincia a crearsi un alone sinistro nella fama di
Enrico VIII come collezionista di mogli. Questa ricerca si conclude, dopo mesi
di trattative estenuanti, di ansie e di angosce esplose nei cuori degli
ambasciatori e dei consiglieri del re, costretti a incassare rifiuti e a
trasmetterli nel modo più blando possibile ad un iracondo impaziente quanto il
re Tudor, e a sopportarne le sfuriate senza freni. Anna di Cleves, una
principessa di un piccolo regno del Basso Reno, viene portata in Inghilterra
per diventare regina. Enrico VIII è
impaziente, scalpita. Di lei ha visto solo il ritratto (piuttosto magnanimo)
fatto da Hans Holbein, sente di esserne innamorato, prega ardentemente che
questa regina sia quella definitiva, che gli darà altri figli (la discendenza e
la successione al trono DEVONO essere assicurate prima di qualunque altra
cosa), e che gli allieterà la vita. Tutti i suoi castelli in aria crollano di
schianto la prima volta che posa gli occhi su di lei. Non gli piace assolutamente,
vola a sfogare la propria rabbia e frustrazione sui suoi consiglieri, rei di
averlo servito male, malissimo, impreca contro la propria sorte. Tuttavia, non
può rispedire indietro la povera Anna, come se fosse una domestica inefficiente
o un pacco di merce consegnato all’indirizzo sbagliato. La sposa ma, dopo poco
tempo, dichiara nullo il matrimonio. Lui non riesce a consumare perché non
sente nessun tipo di trasporto per lei, e la regina…non sembra essere la
vergine che gli era stata presentata. A questo punto, si comincia ad avere una certa
idea sul carattere del re, e anche a farsi scappare la pazienza con lui. Antonia
Fraser, tuttavia, è delicata, in questo. Lascia parlare i contemporanei, più
voci insieme, per ottenere un quadro completo della situazione, e poi offre nuovi
spunti di riflessione e di domanda su eventi ormai fermi da secoli. Il suo primo interesse sono le donne che si
sono trovate a respirare e tremare sotto quella corona pesantissima, senza
giudicare nessuno, nemmeno chi le ha sospinte a furia di accordi e
negoziazioni, e chi le ha volute a tutti i costi, pensando di degnarle
immensamente del suo favore reale. Lo scalpore suscitato da quest’ennesima
malriuscita di un matrimonio Tudor si raddoppia non appena ci si accorge del
favore del re per “quella ragazza, Caterina Howard, cugina del duca di Norfolk”.
Com’è già capitato con Anna Bolena (di cui Caterina Howard era cugina, per una
complessa rete di parentela che interessava metà corte), l’interesse e l’attrazione
del re salgono al punto che qualunque altro pensiero nella sua testa viene
disattivato. Riesce a sistemare il contratto matrimoniale con Anna di Cleves in
un modo inusitato e creativo, ammirevole addirittura: la giovane renana
rinuncia al trono, accetta il titolo e gli onori (anche concreti) di essere “buona
sorella” del re, rinuncia anche a tornare a casa sua, e in cambio potrà tenersi
la testa (non era beneficio scontato sotto Enrico VIII) e non preoccuparsi più
di vitto e alloggio per tutto il resto della vita. Archiviata in fretta e senza
spargimenti di sangue (e un sacco di pettegolezzi alle sue spalle) la questione
Anna di Cleves, Enrico VIII, quasi cinquantenne, triplicato di peso e sempre
più malato, si tuffa nella sua nuova storia d’amore con una giovanetta di nemmeno
diciassette anni. E’ convinto, nel suo animo rimasto fermo agli anni dell’adolescenza,
che questa giovane regina focosa possa finalmente dargli erede al trono
(maschio) e felicità. Passano pochi mesi
(diciotto) dall’incoronazione della regina: Caterina Howard, dalle magnifiche
stanze dei suoi appartamenti colme di regali da parte dello sposo innamorato,
passa alla temibile Torre e poi al ceppo del boia. La causa di questa fine
ingloriosa e triste è nella sventatezza della giovane età di Caterina, che non
le impone un freno alla propria sensualità e alla propria forte inclinazione
per gli uomini. Ed è molto facile trovare a corte uomini giovani, attraenti,
ambiziosi e molto propensi a darsi da fare per ottenere una buona sistemazione,
con le lusinghe o con favori più concreti. Caterina non sa vivere a corte,
facendo attenzione a proteggersi dalla cattiveria e dall’istinto di
sopravvivenza altrui, che non esita a buttarla in pasto all’ira del re per
salvare la propria pelle. La sua passione per un gentiluomo dell’entourage del
re ne provoca la disgrazia, e l’irreparabile caduta. Caterina Parr, l’ultima
moglie del re, è l’unica che sopravvive e che, anzi, seppellirà il sovrano.
Donna forte, sostenuta da un rigore interiore molto pronunciato, riesce a
evitare ostacoli e pericoli nella convivenza con il re. Nemmeno lei è esente da
accuse che, se non possono più appigliarsi alla sua mancata verginità perché è
rimasta vedova poco tempo prima di rientrare tra le candidate al ruolo di
regina, vanno a scavare nelle sue simpatie per la riforma e per i luterani, che
tanto indispettivano il clero cattolico d’Inghilterra.
Una riflessione “al volo”. Ne “Il tormento e l’estasi” eravamo in Italia nel 1500 e Michelangelo aveva a che fare con un clero molto mondano (papi e cardinali erano i suoi “clienti principali”): nel libro incontriamo personalmente il Savonarola, che a Firenze fa una brutta fine, e giungono gli echi della scomunica di Lutero da parte di Leone X, il Concilio di Trento è citato…insomma, si coglie una specie di nota stonata nel mondo attorno all’artista.
RispondiEliminaEnrico VIII, uomo colto ed insaziabile (in tutti i sensi!), fa parte di questo mondo. Il re forse si sente ancora investito di una sovranità “superiore”, come una specie di eredità dell’antico “divine right of king” – cioè re per volontà divina – quasi un privilegiato… di fatto, ha il potere di far decapitare chi lo ostacola e scusa se è poco
;-)!
È un periodo di splendori e miserie. Un periodo in cui – niente di nuovo sotto il sole – la religione diventa un pretesto per “darsele di santa ragione”.
Prestigio. Denaro. Potere.
La fede è altro… Enrico VIII l’avrà capito?
Forse negli ultimi istanti della propria vita. O forse quando è morta Jane Seymour, l'unica regina che forse poteva stargli vicino nel modo in cui lui voleva. Non aver altra volontà che la sua, diceva il motto della regina. Io ne sono personalmente infastidita, ma nel XVI secolo una delle virtù desiderabili di una donna cosiddetta perbene era l'obbedienza cieca e silenziosa. Anna Bolena non brillava per mitezza di carattere, e finì al patibolo anche perché incapace di frenare la propria impulsività, che finì con lo stancare il re, che voleva una moglie devota e silenziosa, e non una compagna capace di tenergli testa. Caterina Howard non riuscì a frenare l'impulsività della propria giovinezza, e si lasciò intrappolare in una rete che disgustò il re, e la portò dritta al ceppo.
EliminaIn quanto al clero...una buona parte della rovina di Anna Bolena fu dovuta proprio agli intrighi del cardinale Wolsey, che la considerava pericolosa. Un cardinale (mi sfugge il nome, ora) tentò in tutti i modi di screditare Caterina Parr, per farla apparire sovversiva e pericolosa adducendo assurdi motivi di fede agli occhi del re, che però si rifiutò anche solo di arrestarla. Lo scontro tra cattolici e protestanti, che s'infiammò vieppiù, anche grazie all'azione di Enrico VIII di chiudere e spossessare i monasteri, faceva vittime ogni giorno, e decimò la corte negli anni. E continuò allegramente con la sanguinaria Maria...