lunedì 25 marzo 2013

Le sei mogli di Enrico VIII – Ciò che al re più aggradava.


La fortuna sentimentale non arride a Enrico VIII. Jane Seymour, la “pienamente amata” muore dodici giorni dopo aver dato al re il sospiratissimo erede maschio. Con tutta probabilità è stata la setticemia subentrata ad una febbre post-parto a portarsela via, oltre all’inettitudine quasi totale dei medici di corte, che non sono riusciti ad andare oltre rimedi della nonna e dall’efficacia inesistente per evitare l’evento luttuoso. Pur essendo colpito profondamente, Enrico VIII deve dare molto rilievo al suo ruolo istituzionale di monarca di un regno abbastanza turbolento, sotto la continua minaccia di vicini troppo invadenti e troppo pronti a farsi idee di conquista sull’isola britannica. Ricomincia la sua ricerca di una quarta moglie, affidando l’incarico ai suoi ambasciatori. Colpisce l’amarezza di una riflessione del re, probabilmente condivisa con il principale consigliere Thomas Cromwell: pur essendo potente, ricco, il primo uomo del suo regno, non può innamorarsi e sposare una donna scelta liberamente, seguendo il suo spirito. Arriva quasi a invidiare la sorte dei poveri che, al contrario di lui, possono seguire il loro cuore quando si tratta di scegliere una compagna di vita. E’ un esempio di quanto riesca ad essere sarcastica e anche equilibrata la vita: a qualcuno dona regni, bellezza e potere, e una scarsa capacità di gestirli con risultati soddisfacenti, mentre a qualcuno riempie la vita di sentimenti, di amore provato e diffuso, pur asciugandogli il portafoglio e riducendogli il luogo di abitazione. Naturalmente, le azioni di qualcuno tanto in vista quanto il re d’Inghilterra non passano inosservate.
All’epoca non esistevano mass media, men che meno una rete digitale, ma le informazioni e le notizie raggiungevano tutti gli angoli, pur mettendoci molto tempo. Interpellata da uno degli ambasciatori reali, la duchessa Cristina di Milano, candidata a ricoprire il ruolo di regina nei desideri di Enrico VIII, per la sua grande bellezza e intelligenza, risponde che se avesse due teste, una l’avrebbe volentieri donata al re. Le altre candidate, appetibili per qualità fisiche e di lignaggio, si affrettano a concludere le loro trattative di nozze con altri principi, per stringere altre alleanze. Comincia a crearsi un alone sinistro nella fama di Enrico VIII come collezionista di mogli. Questa ricerca si conclude, dopo mesi di trattative estenuanti, di ansie e di angosce esplose nei cuori degli ambasciatori e dei consiglieri del re, costretti a incassare rifiuti e a trasmetterli nel modo più blando possibile ad un iracondo impaziente quanto il re Tudor, e a sopportarne le sfuriate senza freni. Anna di Cleves, una principessa di un piccolo regno del Basso Reno, viene portata in Inghilterra per diventare regina. Enrico VIII  è impaziente, scalpita. Di lei ha visto solo il ritratto (piuttosto magnanimo) fatto da Hans Holbein, sente di esserne innamorato, prega ardentemente che questa regina sia quella definitiva, che gli darà altri figli (la discendenza e la successione al trono DEVONO essere assicurate prima di qualunque altra cosa), e che gli allieterà la vita. Tutti i suoi castelli in aria crollano di schianto la prima volta che posa gli occhi su di lei. Non gli piace assolutamente, vola a sfogare la propria rabbia e frustrazione sui suoi consiglieri, rei di averlo servito male, malissimo, impreca contro la propria sorte. Tuttavia, non può rispedire indietro la povera Anna, come se fosse una domestica inefficiente o un pacco di merce consegnato all’indirizzo sbagliato. La sposa ma, dopo poco tempo, dichiara nullo il matrimonio. Lui non riesce a consumare perché non sente nessun tipo di trasporto per lei, e la regina…non sembra essere la vergine che gli era stata presentata. A questo punto, si comincia ad avere una certa idea sul carattere del re, e anche a farsi scappare la pazienza con lui. Antonia Fraser, tuttavia, è delicata, in questo. Lascia parlare i contemporanei, più voci insieme, per ottenere un quadro completo della situazione, e poi offre nuovi spunti di riflessione e di domanda su eventi ormai fermi da secoli.  Il suo primo interesse sono le donne che si sono trovate a respirare e tremare sotto quella corona pesantissima, senza giudicare nessuno, nemmeno chi le ha sospinte a furia di accordi e negoziazioni, e chi le ha volute a tutti i costi, pensando di degnarle immensamente del suo favore reale. Lo scalpore suscitato da quest’ennesima malriuscita di un matrimonio Tudor si raddoppia non appena ci si accorge del favore del re per “quella ragazza, Caterina Howard, cugina del duca di Norfolk”. Com’è già capitato con Anna Bolena (di cui Caterina Howard era cugina, per una complessa rete di parentela che interessava metà corte), l’interesse e l’attrazione del re salgono al punto che qualunque altro pensiero nella sua testa viene disattivato. Riesce a sistemare il contratto matrimoniale con Anna di Cleves in un modo inusitato e creativo, ammirevole addirittura: la giovane renana rinuncia al trono, accetta il titolo e gli onori (anche concreti) di essere “buona sorella” del re, rinuncia anche a tornare a casa sua, e in cambio potrà tenersi la testa (non era beneficio scontato sotto Enrico VIII) e non preoccuparsi più di vitto e alloggio per tutto il resto della vita. Archiviata in fretta e senza spargimenti di sangue (e un sacco di pettegolezzi alle sue spalle) la questione Anna di Cleves, Enrico VIII, quasi cinquantenne, triplicato di peso e sempre più malato, si tuffa nella sua nuova storia d’amore con una giovanetta di nemmeno diciassette anni. E’ convinto, nel suo animo rimasto fermo agli anni dell’adolescenza, che questa giovane regina focosa possa finalmente dargli erede al trono (maschio) e felicità.  Passano pochi mesi (diciotto) dall’incoronazione della regina: Caterina Howard, dalle magnifiche stanze dei suoi appartamenti colme di regali da parte dello sposo innamorato, passa alla temibile Torre e poi al ceppo del boia. La causa di questa fine ingloriosa e triste è nella sventatezza della giovane età di Caterina, che non le impone un freno alla propria sensualità e alla propria forte inclinazione per gli uomini. Ed è molto facile trovare a corte uomini giovani, attraenti, ambiziosi e molto propensi a darsi da fare per ottenere una buona sistemazione, con le lusinghe o con favori più concreti. Caterina non sa vivere a corte, facendo attenzione a proteggersi dalla cattiveria e dall’istinto di sopravvivenza altrui, che non esita a buttarla in pasto all’ira del re per salvare la propria pelle. La sua passione per un gentiluomo dell’entourage del re ne provoca la disgrazia, e l’irreparabile caduta. Caterina Parr, l’ultima moglie del re, è l’unica che sopravvive e che, anzi, seppellirà il sovrano. Donna forte, sostenuta da un rigore interiore molto pronunciato, riesce a evitare ostacoli e pericoli nella convivenza con il re. Nemmeno lei è esente da accuse che, se non possono più appigliarsi alla sua mancata verginità perché è rimasta vedova poco tempo prima di rientrare tra le candidate al ruolo di regina, vanno a scavare nelle sue simpatie per la riforma e per i luterani, che tanto indispettivano il clero cattolico d’Inghilterra.

2 commenti:

  1. Una riflessione “al volo”. Ne “Il tormento e l’estasi” eravamo in Italia nel 1500 e Michelangelo aveva a che fare con un clero molto mondano (papi e cardinali erano i suoi “clienti principali”): nel libro incontriamo personalmente il Savonarola, che a Firenze fa una brutta fine, e giungono gli echi della scomunica di Lutero da parte di Leone X, il Concilio di Trento è citato…insomma, si coglie una specie di nota stonata nel mondo attorno all’artista.
    Enrico VIII, uomo colto ed insaziabile (in tutti i sensi!), fa parte di questo mondo. Il re forse si sente ancora investito di una sovranità “superiore”, come una specie di eredità dell’antico “divine right of king” – cioè re per volontà divina – quasi un privilegiato… di fatto, ha il potere di far decapitare chi lo ostacola e scusa se è poco
    ;-)!
    È un periodo di splendori e miserie. Un periodo in cui – niente di nuovo sotto il sole – la religione diventa un pretesto per “darsele di santa ragione”.
    Prestigio. Denaro. Potere.
    La fede è altro… Enrico VIII l’avrà capito?

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    1. Forse negli ultimi istanti della propria vita. O forse quando è morta Jane Seymour, l'unica regina che forse poteva stargli vicino nel modo in cui lui voleva. Non aver altra volontà che la sua, diceva il motto della regina. Io ne sono personalmente infastidita, ma nel XVI secolo una delle virtù desiderabili di una donna cosiddetta perbene era l'obbedienza cieca e silenziosa. Anna Bolena non brillava per mitezza di carattere, e finì al patibolo anche perché incapace di frenare la propria impulsività, che finì con lo stancare il re, che voleva una moglie devota e silenziosa, e non una compagna capace di tenergli testa. Caterina Howard non riuscì a frenare l'impulsività della propria giovinezza, e si lasciò intrappolare in una rete che disgustò il re, e la portò dritta al ceppo.
      In quanto al clero...una buona parte della rovina di Anna Bolena fu dovuta proprio agli intrighi del cardinale Wolsey, che la considerava pericolosa. Un cardinale (mi sfugge il nome, ora) tentò in tutti i modi di screditare Caterina Parr, per farla apparire sovversiva e pericolosa adducendo assurdi motivi di fede agli occhi del re, che però si rifiutò anche solo di arrestarla. Lo scontro tra cattolici e protestanti, che s'infiammò vieppiù, anche grazie all'azione di Enrico VIII di chiudere e spossessare i monasteri, faceva vittime ogni giorno, e decimò la corte negli anni. E continuò allegramente con la sanguinaria Maria...

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