Siamo accanto a Michelangelo, quando parla, si muove,
respira l’arte che vive in lui, e se ne fa impadronire, quando questa pulsa
potente e vuole esprimersi usando le braccia e lo spirito infaticabili del suo
involucro di carne. In alcune pagine, l’autore è stato talmente profondo nel
descrivere le sensazioni e i sentimenti di quest’uomo grandioso, da farci identificare
totalmente con l’artista. Uno dei momenti più importanti della sua carriera
spettacolare è stato quando Michelangelo si appresta a scolpire il celeberrimo
David. E’ un’immagine talmente nota, da essere diventata universale. Non è più
una scultura, è l’immagine dell’uomo. E che uomo! Michelangelo ha circa 26 anni
quando “incontra” il blocco di marmo in cui si nasconde lo sguardo serio e i
boccoli sodi del David. Ed è anche un blocco particolare: non è fresco di
taglio, appena uscito di cava, ma è un ammasso informe, già aggredito e
sbozzato da altri artisti illustri, come Agostino di Duccio e Bernardo Rossellino,
qualche decennio prima. Entrambi l’avevano abbandonato abbastanza presto,
ritenendo che da quella pietra non si potesse ricavare nulla, perché fragile e
non di qualità eccelsa. Sicuramente non credevano che si sarebbe potuta
modellare nella figura di Re Davide, come voleva la committenza, considerandola
insufficiente per le dimensioni finali. Michelangelo vede tutto questo: il
marmo già sbozzato, la vena pietrosa fragile in alcuni punti, un progetto
iniziato male e lasciato tristemente a metà.
Ma vede soprattutto qualcosa che
nessun altro, nemmeno gli artisti che lo avevano preceduto, era riuscito a
vedere: il corpo liscio e lo sguardo determinato di un giovane David, che si
appresta ad affrontare un avversario molto più forte e temibile di lui. E’ quel
giovane re biblico, impegnato in un compito impossibile, a chiamare
Michelangelo ad un compito altrettanto impossibile. Per quanto molti cerchino
di scoraggiarlo, e qualcuno lo minacci pure (Firenze, per quanto culla d’arte,
era anche un nido di vespe politiche: la famiglia dei Medici non era poi così
benvoluta, e niente di quello che accadeva in città era disgiunto dalla
politica, nemmeno la scultura di una statua), Michelangelo non si lascia
minimamente distrarre dalla sua missione. Il suo carattere cupo e poco
estroverso gli permette di chiudere le orecchie alle invidie e agli influssi
negativi esterni, e si dedica anima e corpo alla sua opera, giorno dopo giorno.
Non è un compito facile: il blocco di marmo ha davvero una vena fragile
interna, e il povero David rischia di diventare zoppo e senza braccio in almeno
due occasioni. Michelangelo deve risolvere il problema dell’equilibrio: il
gigante potrebbe non essere in grado di stare in piedi, una volta scolpito.
Inoltre, deve essere trasportato nella sua collocazione finale, e non è un
fuscello da spostare agevolmente. A questo si aggiunge l’atmosfera di curiosità
crescente per quell’opera realizzata in riserbo (per quanto era possibile,
viste le dimensioni e l’eco suscitata dalle sue difficoltà), le critiche degli
altri artisti, le contestazioni politiche (e ci risiamo). Nonostante questo, lo
spirito michelangiolesco è forte, forte, non si lascia scoraggiare; pur a denti
stretti, sfogando la sua collera così facile da suscitare, riesce a completare
quasi tutta la statua prima che venga collocata in Piazza della Signoria. Un
gruppo di teppisti, opportunamente istruiti, prende a sassate la statua, per
danneggiarla nonostante le protezioni previste, senza però causare danni. Tuttavia,
dopo l’assalto, che indispone e sgomenta Michelangelo, si verifica un altro
evento inatteso: il basamento del David viene letteralmente coperto da
biglietti. Sono biglietti di stima, di ringraziamento, di lode alla statua, di
incoraggiamento: uno di questi afferma di poter credere nuovamente negli
uomini, guardando il David. E’ l’apoteosi e Michelangelo ha trionfato
indiscutibilmente: ha reso qualcosa di impossibile, in cui nessuno credeva, in
qualcosa di meraviglioso, e non solo esteticamente (il David è diventato una
sorta di canone marmoreo di bellezza maschile), ma anche spiritualmente: è il
trionfo dello spirito umano che crede. Non importa in cosa crede: in una
religione, in una filosofia, in un obiettivo: quando esiste fede, fiducia, gli
ostacoli vengono affrontati e superati.
Il trionfo dello spirito umano che crede.
RispondiEliminaChe bella affermazione, Loredana!
Se ripenso alle difficoltà enormi che ha dovuto superare per poter realizzare un'opera eterna e universale, non posso far altro che ammirare in silenzio la potenza dei nostri spiriti quando li incanaliamo verso cose di valore...perché non lo facciamo sempre?
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