La tappa della Sardegna del Giro Letterario d’Italia si è
concretizzata in un libro che ho amato moltissimo, dal volto misterioso e
liscio come una maschera levigata che non lascia appigli, e offre la stessa
espressione decisa e svuotata di emozione, da qualunque angolo la si guardi.
Basta scrutare un po’ meglio nel buio degli incavi per gli occhi per notare le
ombre infinite e le passioni che scalciano impedite dalle catene della
riservatezza, dei riti da rispettare, dal rifiuto di lasciarsi intimidire dal
giudizio altrui. L’accabadora del titolo è una figura mitica, misteriosa e
inquietante, il cui nome non viene pronunciato se proprio non si è costretti, e
in quel caso si fa a occhi e voci bassissimi. E’ l’ultima madre, colei che
accompagna i moribondi stremati da una vita che non vuole finire, che viene
chiamata con discrezione dalla famiglia altrettanto moribonda per compiere un
atto di terribile compassione difficile per liberare tutti. Entra ombra nera di
notte, nella casa lasciata opportunamente aperta, mentre tutti si chiudono
nelle loro stanze e nel silenzio più assoluto, e officia il suo terribile rito
liberatorio. Per questo, e l’estrema riservatezza che la caratterizza, l’accabadora
è temuta, amata e rispettata. Guai a chiamarla prima del tempo giusto, o spinti
dall’avidità piuttosto che dallo strazio: è una donna accorta, usa a studiare i
suoi simili vivi e morti, e capisce bene i sentimenti dietro gli occhi umani,
per quanto addestrati a nasconderli. Non s’inganna la morte, e non la si piega
ai propri fini. Se non è il momento, e non c’è compassione vera, l’accabadora
lascia la casa senza esitazione, con uno strascico di maledizioni per chi ha
creduto di sminuire il suo ruolo e il suo operato delicato. Queste sono le
caratteristiche di Bonaria Urrai, ricca e anziana sarta di Soreni, nella
Sardegna degli anni ’50. All’inizio del romanzo, compie un atto di vita: prende
a vivere con sé, come “fillus de anima”, l’ultima figlia di Anna Teresa Listru,
Maria, di soli sei anni, alleviando le condizioni economiche già molto povere
della prima e spalancando le porte di un’altra vita e un’altra casa alla
seconda. Maria è una bimba sveglia, silenziosa, intelligente e piena di
iniziativa. “Quando la vecchia si era
fermata sotto la pianta del limone a parlare con sua madre Anna Teresa Listru,
Maria aveva sei anni ed era l’errore dopo tre cose giuste. Le sue sorelle erano
già signorine e lei giocava da sola per terra a fare una torta di fango
impastata di formiche vive, con la cura di una piccola donna. Muovevano le
zampe rossastre nell’impasto, morendo lente sotto i decori di fiori di campo e
lo zucchero di sabbia. Nel sole violento di luglio il dolce le cresceva in mano,
bello come lo sono a volte le cose cattive.” (Michela Murgia, Accabadora,
pag.3, Einaudi)
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mercoledì 2 aprile 2014
giovedì 20 febbraio 2014
Cristo si è fermato a Eboli – L’odio triste e antico
LoreGasp
Il titolo di questo libro, terza tappa del Giro Letterario d'Italia, mi ha sempre incuriosito. Spesso l’ho sentito citare, anche in qualche film, con scherno e disprezzo verso il cosiddetto “problema meridionale”, chiamato anche il Mezzogiorno e in altri modi molto meno aulici, soprattutto da quando è emersa una certa corrente di pensiero politico (chiamiamola così, manteniamo un certo decoro nel blog). Alla spiegazione del titolo Carlo Levi dedica due pagine dense iniziali, ma la vera comprensione di queste sue parole si raggiunge spingendosi all’interno di questo romanzo, che io ho considerato agevole e difficile, attraente e noioso, magico e piatto, ottuso e intelligente, leggero e severo, ricco e desolante. “Noi non siamo cristiani, - essi dicono [i contadini lucani], - Cristo si è fermato a Eboli - . Cristiano vuol dire, nel loro linguaggio, uomo: e la frase proverbiale che ho sentito tante volte ripetere, nelle loro bocche non è forse nulla più che l’espressione di uno sconsolato complesso di inferiorità. Noi non siamo cristiani, non siamo uomini, non siamo considerati come uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancora meno che le bestie, i fruschi, i frusculicchi, che vivono la loro vita diabolica o angelica, perché noi dobbiamo invece subire il mondo dei cristiani, che sono al di là dall’orizzonte, e sopportarne il peso e il confronto. Ma la frase ha un senso molto più profondo , che, come sempre, nei modi simbolici, è quello letterale. Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia. [...] Cristo è sceso nell’inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell’eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli. “ (Cristo si è fermato a Eboli, pagg.3-4, Einaudi). Questa è la traccia e la mappa per addentrarsi nel mondo di questo romanzo, vera e propria esplorazione, fisica e umana. Carlo Levi è un laureato in medicina, torinese, che si trova a vivere in quel tempo difficoltoso e protervo che era il fascismo e in particolare gli anni della Guerra d’Africa.
Il titolo di questo libro, terza tappa del Giro Letterario d'Italia, mi ha sempre incuriosito. Spesso l’ho sentito citare, anche in qualche film, con scherno e disprezzo verso il cosiddetto “problema meridionale”, chiamato anche il Mezzogiorno e in altri modi molto meno aulici, soprattutto da quando è emersa una certa corrente di pensiero politico (chiamiamola così, manteniamo un certo decoro nel blog). Alla spiegazione del titolo Carlo Levi dedica due pagine dense iniziali, ma la vera comprensione di queste sue parole si raggiunge spingendosi all’interno di questo romanzo, che io ho considerato agevole e difficile, attraente e noioso, magico e piatto, ottuso e intelligente, leggero e severo, ricco e desolante. “Noi non siamo cristiani, - essi dicono [i contadini lucani], - Cristo si è fermato a Eboli - . Cristiano vuol dire, nel loro linguaggio, uomo: e la frase proverbiale che ho sentito tante volte ripetere, nelle loro bocche non è forse nulla più che l’espressione di uno sconsolato complesso di inferiorità. Noi non siamo cristiani, non siamo uomini, non siamo considerati come uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancora meno che le bestie, i fruschi, i frusculicchi, che vivono la loro vita diabolica o angelica, perché noi dobbiamo invece subire il mondo dei cristiani, che sono al di là dall’orizzonte, e sopportarne il peso e il confronto. Ma la frase ha un senso molto più profondo , che, come sempre, nei modi simbolici, è quello letterale. Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia. [...] Cristo è sceso nell’inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell’eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli. “ (Cristo si è fermato a Eboli, pagg.3-4, Einaudi). Questa è la traccia e la mappa per addentrarsi nel mondo di questo romanzo, vera e propria esplorazione, fisica e umana. Carlo Levi è un laureato in medicina, torinese, che si trova a vivere in quel tempo difficoltoso e protervo che era il fascismo e in particolare gli anni della Guerra d’Africa.
domenica 2 febbraio 2014
Il ragazzo selvatico – Poesia pura
Inizio a dire che non amo molto la poesia. I libri di
raccolte di poesie sono le ultime cose che leggo, e solo quando sono costretta.
Ritengo di non essere lirica d’animo a sufficienza per apprezzarle, nonostante
mi lasci colpire spesso e volentieri dalle emozioni. Questo libro, che
rappresenta la seconda tappa del Giro d’Italia Letterario, mi sta insegnando
una nuova definizione di poesia. E’ una poesia che percepisco nello stile
semplice e suggestivo e nel soggetto principale del libro, la montagna. Il sottotitolo
racchiude già l’essenza dello scritto: Quaderno di montagna. La voce narrante,
che con tutta probabilità appartiene allo stesso Paolo Cognetti, parte a
raccontare di un momento in cui anche lui, come un illustre compatriota vissuto
secoli prima, si ritrovò nel mezzo di cammin di sua vita, ché la diritta via
era smarrita. Trent’anni o poco più, sfibrato da una vita in corsa sempre
uguale, con voglia di progetti rasente lo zero, con troppe zavorre alle
caviglie, Paolo decide di ascoltare un’antica passione, un’antica voce che urla
rauca nel suo essere, che lo spinge fuori dalla città per piombarlo in un amore
provato da sempre, quello per la montagna e la sua vita. Ha una discreta somma
di risparmi, tanti libri da leggere, un desiderio lancinante di ritrovare la
voglia di scrivere andata persa sotto pensieri e preoccupazioni da logorio
della vita moderna. Apre la porta di una baita chiusa da diverso tempo, ed
entra in una nuova dimensione, fatta di silenzio innaturale di notte,
innumerevoli rumori e fruscii di vita durante il giorno, altri ritmi,
apparentemente lenti e misurati, rapporti umani stringati ma molto intensi con
i suoi occasionali vicini di casa (per modo di dire: non ci sono vie lastricate
di marciapiedi, palazzi combacianti e appiccicati l’uno all’altro, ma valli e
vallette, piccoli boschi o crinali a separarli), e rapporti sui generis persino
con gli animali che ogni tanto si fanno vivi nei suoi dintorni: una lepre
occasionale, i cani pastore delle mandrie, qualche cerbiatto predatore di erba
fresca. Ho letto questo libro in
silenzio. E non mi riferisco solo al silenzio esterno (niente radio,
televisione o brusio umano da pullmann/treno), ma anche a quello interno.
Capita, ogni tanto, che il libro che si sta leggendo faciliti altre riflessioni
in sottofondo, poiché la nostra mente fantastica è in grado di ospitare milioni
di pensieri, immagini e ricordi tutti in una volta. In questo caso, mi sono
disposta ad ascoltare e basta. Tutte le domande o le riflessioni che nascevano,
venivano zittite e rimandate ad altro momento: durante la lettura era
importante per me, cogliere lo spirito di quelle parole semplici e rotonde, di
quei sentimenti calmi e corroboranti al tempo stesso. L’autore parla di un
tormento, di un blocco nella sua vita, che riesce a sciogliere piano piano, pur
sentendosi sconfitto, immergendosi in un’altra vita e nel mettersi continuamente
alla prova sullo sfondo di un ambiente che non fornisce tanti aiuti, che è
meraviglioso ma esige una conoscenza approfondita ed elastica per poterci
sopravvivere e per poterne godere. Se amate la montagna, e ogni volta che
potete vi immergete nei suoi silenzi, troverete un fratello in questo libro. Altrimenti,
potrebbe essere un po’ difficile apprezzarne la mancanza di azione
(spericolata, almeno) e le descrizioni profonde e molto sentite di paesaggi,
animali e piccola vita apparentemente semplice.
domenica 26 gennaio 2014
La paga del sabato – Un incompiuto di razza
Questo libro rappresenta la prima tappa del Giro d’Italia
Letterario, sponsorizzato e organizzato da Paola di Se una notte d’inverno
un lettore. Cominciamo dal Piemonte con Fenoglio, un nome importante e di peso dalle parti di Alba e delle
Langhe, e per la letteratura italiana novecentesca. Di solito, nei programmi
scolastici arriva a far parte di quegli autori che si studiano all’ultimo anno,
in quinta, magari un paio di settimane prima dell’inizio dell’esame di
maturità, quando le menti studentesche sono concentrate sullo spauracchio e
sullo sforzo di ricordare eventi e libri scritti secoli prima, e si interessano
poco di chi è venuto dopo il 1910. Personalmente, almeno, ho constatato che è
così, e ho scoperto con questo libro di essermi persa un pezzo del nostro
tesoro. E’ un libriccino piccolo, svelto, carico di un mondo poco conosciuto,
per quanto si apra a pochi chilometri da Torino. Fenoglio lo scrive insieme ad
un’altra opera, Ventitre giorni della
città di Alba, ma viene pubblicato postumo solo nel 1969. Il personaggio
principale è Ettore, un giovane partigiano che, con la fine della guerra, si
ritrova a fare i conti con una realtà pacificata e da ricostruire che non sente
sua. Il suo elemento è la guerra, la durezza, l’esibizione dei muscoli e della
forza per intimidire, schiacciare, piegare alla propria volontà. In casa si
scontra quotidianamente con una madre che lo copre di disprezzo per non essere
riuscito a trovare la sua strada, e per non sapersi piegare alle nuove
necessità di trovarsi un lavoro, una moglie, costruire casa e famiglia, come il
resto della società si dedica a fare faticosamente, per archiviare il periodo
spaventoso della guerra. Ettore, però, appartiene a quella schiera di persone
che prosperano nei conflitti grazie ai propri lati distruttivi che tirano fuori
per prevaricare gli altri. Suo padre è quasi inesistente: un uomo medio, preso
dal lavoro e dalla responsabilità di occuparsi della famiglia, che non si
accorge (o non vuole accorgersi) del disagio e del rifiuto del figlio di fare
finalmente il bravo ragazzo. Conformarsi alle regole della buona convivenza e
della società normale (la bella confezione
trova-lavoro-sposati-fai-figli-e-sii-normale) lo spaventa talmente tanto, che
il primo giorno di lavoro “regolare” in fabbrica, non riesce nemmeno ad
entrare.
domenica 29 dicembre 2013
Ritorno alla vita...digitale. Con un Giro d’Italia letterario, un GdL, una rivista online, un premio.
E’ passato
diverso tempo dal mio ultimo post. Talmente tanto che mi sembra di essere stata
via un anno intero...immergersi in altri progetti, di tutt’altro tenore, fa
questo effetto, quando si ripensa alle occupazioni di prima. In ogni caso,
rieccomi tornata in vita digitale, con una serie di segnalazioni da fare e
qualche breve riflessione. Breve perché questo è un periodo di bilanci, di
sguardi indietro per vedere cos’è capitato, la strada percorsa, o i libri
letti, nel caso dei book blog in Rete. Io non mi soffermo molto sui bilanci,
perché poi mi coglie una specie di nostalgia per il tempo passato, che poi si
rivela nociva. Almeno, nel mio caso. Per quel che riguarda la prima
segnalazione, abbiamo niente di meno che un Giro d’Italia Letterario. Paola del blog Se una notte d’inverno un lettore ha avuto la splendida idea di leggere la nostra
letteratura regione per regione, in un vero e proprio percorso. Al posto delle
bici, usiamo i libri dei nostri autori più significativi, e i nostri account
Facebook, partecipando all’evento qui, a
partire da Domenica 5 gennaio 2014.
L’estrazione a sorte ha decretato che iniziassimo con il Piemonte, e più
precisamente con La paga del sabato
di Beppe Fenoglio (titolo scelto dopo proposte e votazioni da parte dei
partecipanti). Volete ulteriori
informazioni? Tuffatevi in questo link.
La seconda
segnalazione riguarda un bellissimo gruppo di lettura, un GDL ospitato su
Facebook: Gruppo di
lettura scratch-made: leggiamo Neil Gaiman. Maria del bellissimo Start from Scratch Blog,
ha avuto la splendida idea di creare un gruppo di lettura dedicato a Neil Gaiman, un autore che mi gira
intorno da anni, ma che non ho mai afferrato completamente, essendo io perennemente
distratta da altri scrittori, altri libri, altri argomenti. Finché non si è
deciso ad entrare in casa mia portato di peso da Marzia (non tanto Neil Gaiman
in persona, quanto due suoi titoli, che presto compariranno su queste pagine),
e infilato nel mio pc da Maria. Lunedì 6
gennaio 2014 iniziamo con Buona
Apocalisse a tutti, scritto a quattro mani con Terry Pratchett. Volete
partecipare, e avete un account Facebook? Correte alla pagina segnalata sopra.
Volete partecipare, e non avete un account Facebook? Su queste pagine furiose
comparirà la mia recensione, per cui potete comunque inondare di commenti. In
questi giorni di relativa calma pubblicherò anche il mio articolo su Follie di
Brooklyn, di Paul Auster, che ho letto grazie ad un altro GdL, promosso sempre
da Maria su Facebook. Anche per Auster valgono le stesse parole che ho scritto
per Gaiman. Ormai è chiaro che, per farmi leggere autori che desidero da anni
senza mai toccare, è necessario infilarmi in un gruppo di lettura. In quel
caso, non si scappa: o leggo l’autore, o leggo l’autore. E finalmente, aggiunge
il mio innato Furore Libresco.
La terza
segnalazione riguarda Eclettica, la
rivista-blog online che raggruppa diversi blogger, tra cui la Furiosa
Scrivente, che condividono la loro passione per libri e cultura. Siamo al
secondo numero, che è veramente ripieno di grandissimi articoli, uno più bello
dell’altro. Per il volto dell’orrore, ho scelto di parlare di Chiara Palazzolo e della sua
meravigliosa trilogia di Mirta-Luna,
mentre per la biblioteca inglese, mi sono lanciata su uno dei miei miti di
sempre, la regina Elisabetta I,
rivissuta nella bellissima biografia romanzata di Margaret George.
Pur lontana dagli
schermi digitali, Chiara di Paroledi Cioccolato mi ha tributato un altro premio, il Liebster
Award qui
accanto, evento che mi fa sempre un enorme piacere e che mi convince, tutto
sommato, di essere riuscita a trasmettere qualcosa di me e della mia passione
libresca al di là del mio monitor. Come da regolamento, dovrei rispondere alle
domande di Chiara, proporne altre e segnalare altri blog da premiare. Per
mancanza di concentrazione non riesco a farlo ora, ma riuscirò a ricambiare!!
Uno dei miei buoni propositi per il 2014 è proprio quello di migliorare
decisamente l’organizzazione del tempo e del lavoro da fare. Vedremo alla fine
cosa sarà capitato...
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