La ricetta del vero amore di Nicolas Barreau
Oggi sono in fase sfere rotanti, altro che libro piacevole e divertente! Loredana, mi affido alla tua saggezza.
Odio i libri di ricette.
Odio i programmi di ricette.
Detesto dover stare ore a tavola, tanto che i crampi vengono alle gambe. Poi salgono allo stomaco, ma non necessariamente per il cibo.
Odio le ricette “nouvelle cuisine”, gli accostamenti di ingredienti strampalati alla moda e disprezzo sommamente quelli che fingono di non essere ricettari ma lo sono, i libri che si danno arie intellettuali e poi parlano di roba che parte dalla bocca e comunque finisce nella fogna, gente che si ritrova a tavola e disquisisce sul modo migliore per cuocere un carpaccio (ma il carpaccio non è roba cruda?) e vanta abilità di sommeiller… eccheppalle!
In più sono allergica alle lagne sul “primo ammmmmore” adolescenziale o pseudo tale. Sì, questi sono studenti universitari – la Sorbonne passa per una famosa università, vero? – ma con queste vite sempre più lunghe, l’adolescenza si protrae fino ai cinquant’anni. Poi si passa di colpo alla demenza senile e ciò mi fa capire perché il mondo è quello che è…
Dicevo: perché ho letto questo, nonostante il titolo (la ricetta del vero amore… suvvia, siamo seri!) e l’autore francese-che-più-francese-non-si-può?
Gratis.
Devo aggiungere qualcosa? Sì: grazie a tutti gli amici che continuano a darmi libri e mi forniscono materiale per mugugnare.
Mi ha intrigato anche una frase sulla quarta di copertina:
Un giorno, curiosando tra le bancarelle dei libri usati lungo la Senna, si imbatte in un libricino rilegato in pelle. Un manuale del XVI secolo che contiene pozioni e strani infusi.
Insomma, mi aspettavo qualcosa di diverso.
Sì, Loredana, ti vedo: ti stai sganasciando dalle risate. Conviviale non è proprio l’aggettivo adatto a me.
Mi siedo a tavola solo per mangiare. Possibilmente senza menare tanto il can per l’aia. La gente che chiacchiera ore-e-ore-e-ore a tavola rovina la mia digestione.
Inoltre a me piacciono i gusti precisi e determinati. Agro-dolce, dolce-salato, amaro col retrogusto dolcemente speziato, amabile con un pizzico di acidulo-salmastro eccetera non fanno per me.
Se proprio devo essere sincera, le prime due o tre pagine scorrono abbastanza piacevolmente. Be’, no. Sinceramente i primi due o tre paragrafi scorrono. Poi comincio a sbuffare.
E non parlatemi del confronto “libri-cibo-per-la-mente”. Se qualcuno avesse la malsana idea di propinarmi questo argomento, ci pensi bene. Dopo aver fatto il suo lavoro, il cibo diventa cacca. E il cibo per la mente? Dove finiscono le scorie delle “celluline grigie”?
…e mi sto sganasciando sì. Non tanto per la questione dell’accostamento Amanita-conviviale che sembra quanto mai ossimorico. Senza dubbio perché portare un’amanita a tavola, nell’insalata o nel risotto, azzera la componente conviviale di qualunque pranzo, trasformandolo istantaneamente in un banchetto funebre. E anche perché, come hai ricordato tu, stare a tavola ore e ore provoca danni alla digestione. Io condivido questo punto di vista. I pranzi di nozze mi abbattono i punti vita più velocemente di qualunque mostro in circolazione.
Andiamo con ordine.
Non conoscendo il libro, e provando già un leggero prurito leggendo il titolo in questione, sono andata a cercare la sinossi.
“È perennemente in ritardo. È bella come il sole. È socievole, estroversa e… irraggiungibile.
L’amore di Henri Bredin – timido studente della Sorbonne, un po’ goffo e sempre puntuale – sembra del tutto senza speranza. Lui e Valérie Castel condividono la passione per gli stessi libri. Ma per Valérie, Henri è solo un compagno di studi e un buon amico, mentre per lui la ragazza con gli occhi acquamarina e il sorriso impertinente è la donna più charmante del mondo.
Quando Valérie trascorre le vacanze estive sulla Riviera ligure e perde la testa per un italiano, a Henri crolla il mondo addosso. Non ha nessuna possibilità contro quell’uomo affascinante, ricco e di dieci anni più grande di lui. O forse sì? Un giorno, curiosando tra le bancarelle di libri usati lungo la Senna, Henri si imbatte in un libricino rilegato in pelle bordeaux. Si tratta di un manuale del xvi secolo che contiene pozioni e strani infusi e promette di svelare niente meno che la ricetta dell’amore eterno, L’élixir d’amour éternel. Contrariamente a ogni logica, Henri decide di invitare a cena Valérie e di cucinare per lei un perfetto “Menu dell’amore”. Ma, tra tutte le sere possibili, quella è proprio la volta in cui la ritardataria Valérie decide di presentarsi nel piccolo appartamento di Henri in rue Mouffetard con largo anticipo... Un’incantevole e deliziosa storia sulle gioie e i dolori del primo amore e sui momenti magici della vita. Con otto “Menu dell’amore” dal libro personale di ricette di Nicolas Barreau.”
Amanita cara. Perché? Persino io, in questa sinossi che è comunque allettante, vedo chiari i segnali di Non-aprire-questo-libro-è-urticante-per-amanite-e-lettrici-furiose-varie. E tralasciamo la copertina. Francese da cartolina che più francese da cartolina non si può, e mi riferisco alla coppia in bacio con Tour Eiffel sullo sfondo. E’ il trionfo di una certa esaltazione di ParigiCittàDell’Amore, troppo luogo comune per poterne parlare ancora senza riecheggiare altre parole già dette e già scritte.
Il titolo: La ricetta del vero amore. Uh. Davvero? Passi per il termine ricetta; mi piace cucinare. “Vero amore”. E qui si scatena il prurito. Cos’è vero amore? E cos’è falso amore? Qualunque definizione che tenda a vestirsi da verità assoluta mi fa ridere, vi avverto. Perché poi mi diverto a smontarla con ferocia. “Amore eterno”. Ah, questo è un bel campo. Che sia eterno, ci sono pochi dubbi. Se non esistesse eternamente, e soprattutto non si rinnovasse eternamente, avremmo già trovato il modo di rendere questo pianeta un deserto inabitabile e mai più abitabile. Questo però, non vuol dire che risieda eterno in UNA sola persona, in UNA sola manifestazione. Tuttavia, noi sembriamo proprio partire dall’idea che l’amore eterno si debba incarnare forzatamente in una sola persona, in un solo modo. E quando non capita, si scatenano sofferenze e auto-torture indicibili, da cui non concepiamo nemmeno di uscire. Se finisce quello che credevamo un amore eterno, ci sentiamo reietti, finiti, esclusi da qualcosa che hanno tutti o che dovrebbero avere tutti.
Mai pensato che non debba essere per forza così? E se l’amore eterno fosse quell’energia che abbiamo dentro, che ci spinge a vivere e ad aprire gli occhi ogni mattina per ricominciare ogni volta, e non necessariamente un sentimento che ci lega e affianca ad una persona?
Non dico, ovviamente, che questa sia la verità o la realtà dietro l’espressione. È una chiave del mazzo. Una di quelle che potrebbe aprire serrature su mondi nuovi, magari più consoni a noi e al nostro essere noi. Sto divagando. Non sto diventando filosofica, però. Sto parlando di riflessioni tramutatesi in esperienza concreta e vissuta.
Tornando al libro e a te che ti sei sottoposta alla prova di leggerlo, carissima Amanita, nonostante le premesse per te urticanti.
Sarebbe interessante dare un’occhiata alle ricette del Menu d’amore del XVI secolo, per capire se si adattano all’alimentazione del secolo degli smartphone, e quali ingredienti si dovrebbero usare per risvegliare e consolidare un sentimento così misterioso e bizzarro come l’amore. Sembra persino un intento un po’ presuntuoso…o forse, è solo da attribuire al desiderio tutto umano e tutto cerebrale di capire quello che non si può capire, almeno non con la mente.
(A proposito di ingredienti: ci sono rane, nel menu? Nel tuo post non le ho sentite gracidare, come quando parli di qualcosa di francese, e mi è venuto il dubbio che i buffi animaletti fossero stati destinati ad altro.)
Libro e cibo. Non ti piace l’accostamento, ma una delle cose che capitano, mentre si legge, è quello di nutrirsene. Riteniamo che sia solo la mente coinvolta nel banchetto, ma non è proprio così. Proprio un paio di giorni fa parlavo di questo argomento con una lettrice della Pagina FB Del Furore D’Aver Libri. Fisicamente, il cibo diventa fertilizzante. E…metaforicamente? Il cibo delle celluline grigie, che fine fa? E’ una bella domanda, e pure divertente.
Di primo acchito, mi viene da rispondere che certe idee ritenute, diciamo così, poco belle, siano il frutto di quel processo avviato con la lettura. Le famose “scorie”. Non solo, ovviamente. Magari il libro era guasto di per sé…non possiamo escluderlo, esistono anche scritti esecrabili, in giro, che non meriterebbero uno sguardo, e che magari sono esaltati a testi del secolo.
In conclusione, credo che darò uno sguardo a questo libretto, per i motivi delle ricette, soprattutto. Mi sembra doveroso un ringraziamento, anche da parte mia, agli amici che ti passano i libri che meno sono nelle tue corde, che però ti danno spunti così interessanti di discussione! E guarda caso, sono tutti, o quasi, francesi…:-D
Una settantina di paginette, caratteri “comodi”, titolo e copertina lassativi… insomma, era perfetto per il bagno!
RispondiEliminaHo iniziato a leggerlo soprattutto perché il titolo originale è tedesco e mi ha depistato parecchio il “pozioni e strani infusi”.
Sarà che i libri cartacei – soprattutto regalati – hanno un tocco di ottimismo intrinseco? Si spera sempre che non siano poi così malvagi.
Sì, la copertina è abominevole. Ha aggiunto prurito a quello che già avevo. Ignoro i menu: saltati allegramente. Forse avevo paura di trovare le rane ;-)!
E i francesi... dovranno pur servire a qualcosa, no?
Il libro è già pronto con gli altri, ti arriverà prossimamente.
Perfetto! Ieri ho occhieggiato il libro da Feltrinelli: ed eccoti! Tra poco potrò conoscerti anch'io. Aveva tutte le caratteristiche di un libro lassativo, quindi.
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