domenica 10 luglio 2016

Una lunga notte – Maurizio De Giovanni, Alessandra D’Antonio

LoreGasp

Davvero lunga, ma in ottima compagnia. Due voci per esprimere tante versioni dell’anima e della vita napoletana.

La prima è quella che “…con una forte inflessione napoletana, vi porta in giro per il quartiere dove vive il giovane Angelo.”, come dice Alessandra D’Antonio nella sua “Precisazione, e non prologo”. Ed è quello che avviene sul serio. Apriamo la porta ed entriamo nel bar dove lavora il sedicenne Angelo, come garzone. Ascoltiamo i discorsi degli interlocutori che chiedono il caffè, discutono soprattutto di calcio e delle ultime scelte dell’allenatore, puntualmente sbagliate. Si sa che questo è il paese dei 60 milioni (suppergiù) di allenatori di serie A/CT della Nazionale, a seconda se si stia esaminando il campionato di calcio della divisione maggiore, o gli Europei o i Mondiali.

Strettamente legata alla passione e al tifo calcistico, tiriamo in superficie quella per le scommesse…cui si lega, a sua volta, una delle tante attività poco legali di una certa malavita. Il titolare del bar, il Gran Caffè, Don Gennaro, adora scommettere. Per lui è uno stile di vita, una versione tutta sua della chiaroveggenza, una sfida al futuro, al destino, un tentativo di mettere alla prova la sua conoscenza degli animi umani. Non lo fa per soldi. La posta in gioco possono essere una colazione, un caffè, un pacchetto di sigarette.
Angelo lavora sodo nel suo bar, ascolta tutto e parla poco o niente. È molto preso dai suoi sogni, dal suo desiderio di costruirsi una vita ricca e liscia, al contrario di quella in cui si è trovato in quel quartiere popolare, pieno di persone che faticano immensamente a mettere insieme pranzo e cena, e a impedire che il lavoro di una vita o il tetto di casa voli via nelle mani di qualcun altro improvvisatosi protettore. Non si sa esattamente da cosa.

Parrebbe scivolare via così, la sua vita, intorno ai tavolini del Gran Caffè da servire o da pulire, ma qualcuno ha osservato con attenzione l’ardore della sua passione calcistica e dei suoi sogni giovanili di costruzione, valutando esattamente quanto potersene servire per i propri scopi. Due giovani prestanti e ben vestiti, ben accompagnati da belle ragazze di alto livello decorativo, si avvicinano un giorno ad Angelo, dicendogli che i suoi talenti (?) e la sua voglia di fare hanno attirato l’attenzione di qualcuno di potente, che ha deciso di premiare i suoi sforzi, offrendogli l’accesso a quella vita dorata e liscia che Angelo tanto desidera.

Naturalmente…in cambio di un favore. Uno di quelli piccoli.

Angelo deve solo avviare una scommessa nel bar di don Gennaro, convincendolo ad entrarci…e loro gli daranno una mano. L’ignaro e appassionato sedicenne acconsente, felice, la testa che gira per tutta quell’abbondante fortuna che gli si è tuffata in braccio all’improvviso. Non vede la coda nera tra i lustrini dorati, dell’aver appena stretto la mano al diavolo. Don Gennaro, burbero ma smaliziato e all’erta, sì. Non in tempo a sufficienza, ma l’occhiata al baratro che gli si è appena aperto davanti basta ad angosciarlo.

La situazione sembra senza via di uscita, e Angelo se ne accorge all’improvviso, con suo immenso rimorso e pentimento. Tuttavia, un attimo prima che il diavolo venga a ritirare il suo premio…qualcosa cambia. Il garzone ha sedici anni, è inesperto, ma questo non significa che il suo cuore non abbia risorse di coraggio e di astuzia. La lunga notte si trasforma in alba, alla fine.

Maurizio De Giovanni si concentra su una notte più lontana nel tempo, e anche più dolorosa. È il 23 novembre 1980, in Irpinia la terra si anima e provoca danni immensi. A Napoli crollano edifici, soprattutto quelli più lesionati, le abitazioni in tufo. Il titolo del racconto è quasi provocatorio, irriverente: Scusi, un ricordo del terremoto dell’Ottanta? Come se fosse un avvenimento da ricordare, almeno con piacere e nostalgia. Le risposte sono diverse, alcune persino ironiche, divertenti. Altre ciniche, e una dolorosa. E’ il dolore delle ferite apparentemente cicatrizzate. Quelle che sembrano chiuse, stinte, hanno quasi un aspetto sano. È sufficiente, però, strofinare accidentalmente la cicatrice, e questa risponde immediatamente con una puntura intensa, anche se di breve durata. Sono qui, ehi, ciao…risponde. No, non aver paura, non ti lascio solo. Non mi faccio sentire tanto, ma io sono qui, eh? Non mi muovo.

Si sorride a denti stretti, lasciando passare il dolore improvviso, per poi ricordare che sono comunque passati 36 anni da allora…e quello che stava per essere, non è mai stato. Non ha mai avuto occasione di essere, troncato prima di svilupparsi. Cosa resta? La forza di chiudere senza soffermarsi a pensare a cosa poteva essere, e prendere altre strade.

E' un libro breve, raccoglie due racconti che sono davvero due perle di quella collana preziosa che è la narrativa napoletana. Sarò anche influenzata dal titolo della rubrica radiofonica che ho tenuto per Radio Piazza Live, per WeekendOut, ma è l'immagine che mi si forma in mente se penso a questo libretto leggero di peso fisico, ma amplissimo di respiro. Leggetelo di notte, come ho fatto io: vi connetterete meglio alla sua piccola, grande anima.

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