I libri si chiamano l’un con l’altro. Basta poco,
pochissimo. Il 1987 di Nessuno come noi di Luca Bianchini ha fischiettato verso
un altro libro della Cintura d’Orione, che si è subito messo in evidenza: Trabant
89, di Sergio Vigna. Due anni di differenza, due mondi opposti, un’atmosfera
diversa e un monte di cambiamenti.
Siamo di nuovo in Piemonte, per sottolineare il luogo di
nascita, Torino, di Marisa, una delle protagoniste principali del libro. L’altro
è suo marito Guglielmo, autista di autobus di linea, onesto lavoratore e sostenitore
fedele dell’ideale del comunismo, fervente ammiratore della sua applicazione
nei Paesi dell’Est. Li conosciamo brevemente prima di partire con loro per le
vacanze estive ad agosto, programmate e cercate con tanta accuratezza durante l’anno,
soprattutto da Guglielmo. La destinazione scelta riguarda proprio i paesi del
blocco sovietico, e soprattutto Berlino Est, con il suo angosciante muro
famoso.
E’ soprattutto lui ad essere entusiasta di questa scelta:
non vede l’ora di toccare con mano la realtà di un governo del popolo, una
concretizzazione dell’ideologia in cui crede con sincerità. Marisa, la moglie,
è più scettica, e forse un pochino stanca di questo suo idealismo, dovuto anche
alla sua estrazione medio borghese di figlia di imprenditori; tuttavia, in nome
del suo affetto e del suo legame collaudato, si convince presto ad accompagnare
il marito meglio che può, almeno nell’entusiasmo, in un viaggio pieno di
incognite.
Incomincia la loro avventura in camper, attraversando la
Cecoslovacchia, visitando Praga e dintorni, stabilendosi nei campeggi fuori
città e… toccando davvero con mano la realtà di quei paesi. Non sembra dorata
come sulla carta, però. Marisa è la prima ad accorgersene, Guglielmo è ancora
foderato nel suo idealismo. Questo non gli permette di vedere fino in fondo l’arretratezza
dei paesi che attraversano, e di ascoltare la principale lamentela mormorata
dalle persone che incontrano: non essere liberi di scegliere dove andare. C’è
una certa rassegnazione chiusa e silenziosa negli ucraini, polacchi e cechi che
campeggiano insieme a loro, e che li guardano con attenuati sospiri di invidia
perché la bella Croma con cui viaggiano trainandosi un camper inimmaginabile
lì, parla di un mondo e di possibilità che a loro sono precluse. Non c’è
ostilità: passato il primo momento di imbarazzo macchinoso, Marisa e Guglielmo
trovano sempre il modo di scambiare parole, anche in lingue stentate, e di
farsi conoscere.
L’atmosfera, però, diventa realmente pesante quando entrano
nella DDR e in Berlino Est. I posti di polizia aumentano, i visi dei militari
sono torvi, respingenti, duri. I passanti sono silenziosi, si muovono come
fantasmi. Nei pressi del famoso Muro, tutto è congelato in un immobilismo che
sa di allarme perenne. E in un fortissimo senso di angoscia e di desiderio di
libertà, che si scontra ogni secondo con quei km di cemento armato che tagliano
in due un’intera città.
Marisa tornerebbe volentieri a casa, Guglielmo comincia a
pensare che non può più far finta di nulla di fronte a quello che vede. E all’improvviso,
la situazione precipita.
Mentre sono a Berlino Est, vengono avvicinati da una ragazza
diciannovenne, Annerose, figlia di un’italiana e un funzionario governativo del
post, che finirà per coinvolgerli in un’avventura pazzesca, da film. Annerose
vuole fuggire ad Ovest, e ha bisogno di aiuto. Passare dall’altra parte del
muro è vietato, e punito con severità inaudita e inamovibile.
Marisa e Guglielmo finiranno per farsi coinvolgere, grazie
soprattutto al cuore materno di lei, che si libera improvvisamente di tutto il
sottile sarcasmo polemico del suo rimarcare continuamente la reale situazione
di oppressione di quei paradisi del comunismo, per correre in aiuto di una
ragazza angosciata e in cerca di riscatto.
E finiscono dritti dritti in un film di spionaggio.
Attirano l’attenzione della Stasi, e sono risucchiati in un
gioco complesso di ruoli altamente pericoloso, in cui non possono fidarsi di
nessuno. Nemmeno di se stessi.
Fino all’ultimo, seguiamo con il fiato sospeso la sorte di
questi due italiani partiti per una vacanza alternativa e finiti in una storia
brutta di spie, sospetti, fughe pericolose. Passiamo da una rivelazione ad una
ritrattazione, ad un dubbio e ad una certezza, che si rivela una bugia.
Il libro, partito come un ricordo di viaggio, accelera
improvvisamente e si allarga. Arriva a dare una sbirciata, anche più di una,
nei retroscena poco dorati del comunismo applicato nell’Europa dell’Est. Non fa
considerazioni politiche di merito, non premia un atteggiamento o non condanna
nessuno, ma sottolinea con attenzione come stanno davvero le cose. Diventa più
sfumato e ambiguo, quando si tratta di raccontare cosa c’è nel cuore delle
persone, e quanto cambia con velocità. Dubitiamo di aver compreso davvero la
natura dei personaggi che ci eravamo abituati a etichettare in un modo, per
scoprire che c’è molto di più, e qualche volta anche di completamente
inaspettato.
Torneranno a casa Marisa e Guglielmo? Annerose riuscirà a
prendersi una vita diversa?
Dovrete arrivare all’ultima pagina per scoprirlo. Nel
frattempo, godetevi il viaggio…
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