Polvere sei e polvere ritornerai! Tuona un certo passo
biblico, che mi ha sempre turbato un po’. Mah, sarò poco ferrata sull’argomento,
ma non mi sento fatta di polvere…
"Polvere, gran confusione, un grigio salone, in quale
direzione io caccerò la... polvere dai miei pensieri?" cantavano i Decibel
di Enrico Ruggeri in un’altra vita.
No, nessuna di queste menzioni di polvere ha funzionato da
ispirazione per l’ultimo romanzo di Enrico Pandiani, uscito fresco e in corso
di presentazione a Torino, in metà Italia del Nord e tra due giorni al Salone
del Libro di Torino (#salto2018!! E riecco l’hashtag!).
E no, non è nemmeno la polvere da sparo, che nei suoi
romanzi abbonda.
Iniziate a tuffarvi in una storia complessa, originale,
cruda, rassicurante, molto attuale, senza esclusione di colpi, e naturalmente
polverosa.
Unico consiglio, però: se avete letto la produzione
precedente dell’autore, mettete da parte un momento Pierre Mordenti, i suoi
italiens, Parigi, il suo senso dell’umorismo, l’”uom di sasso” Le Normand.
Anche Zara Bosdaves e il suo irritante padre farfallone, le ore passate davanti
a Call of Duty, il suo assistente quasi indispensabile.
Tenete il fascino inarrestabile e il carattere combattivo
dei personaggi femminili che circondano il bel commissario italo-francese, il
mistero appesantito di dolore degli extracomunitari che ogni tanto increspa la
vita di François, il compagno della detective friulana, e spostatevi a Torino,
giorni nostri.
No, non andate verso il centro e i suoi portici, i palazzi
ottocenteschi, la collina sul Po e dietro la Gran Madre, con le sue iper-ville
contegnosamente nascoste dietro alberi e giardini grandi quanto un Parco
Nazionale.
Dovete impostare il navigatore verso il nord della città,
uno dei quartieri meno eleganti, che quando si nomina da queste parti ottiene
in risposta un sorriso tirato di cortesia e un rapido svuotamento dello
sguardo: Barriera di Milano. Il nome è associato all’edilizia popolare, a
casermoni camuffati da case, un aspetto dimesso, piatto e uniforme in generale.
Come se lo si osservasse tramite un velo di polvere, insomma. E’ la stessa
polvere che troviamo a casa del protagonista, Pietro Clostermann. La sua unica
compagnia include un gatto sornione dal nome imprevedibile di Gatto, e quello
che fa per vivere è… non vivere, lasciandosi ricoprire di polvere.
Qualcosa di estremamente grave è successo poco tempo prima nella
vita di Pietro, ex-responsabile della sicurezza di una società, che si è visto
fermare la vita di botto a causa di una sua decisione azzardata. Salvare
qualcuno ha condannato lui, trasformandolo nell’unico capro espiatorio di una
faccenda complessa, che alla fine del libro verrà rivelata quasi per caso. Come
accade, quando si spolvera a fondo una stanza o un mobile: ritornano in
evidenza brillante cose che giacevano nel dimenticatoio.
Quando entriamo in casa sua, però, Pietro è ben ricoperto
dal suo strato di polvere esistenziale e niente sembra poterlo riportare fuori.
Se non lo squillo del suo campanello. Ci siamo appena abituati a vederlo
ciondolare per casa, preparando distrattamente un Harvey Wallbanger (cocktail
creato negli anni ’50 dal nome di un personaggio di un film) per sé e un
filetto di nasello per Gatto, senza niente di veramente importante da fare,
quando suonano alla sua porta. Sulla soglia, una donna anziana, avvolta in una
tristezza talmente visibile, da essere diventata il suo vestito e il suo
aspetto consueti. Il suo nome è Rosa Massafra, è una vicina di casa di Pietro,
e cerca pace per se stessa e giustizia per sua figlia, Silvia Massafra, uccisa
in circostanze misteriose un anno prima.
La lentezza delle indagini di polizia sul suo caso, che
l’hanno a poco a poco fatta scivolare in un dimenticatoio crudele, anche se non
voluto, e l’essere rimasta sola, l’hanno spinta a rivolgersi a quell’uomo che
lei non conosce affatto, ma che è convinta che possa aiutarla a uscire dalla
sua tragedia personale. Ha fatto qualche domanda nel quartiere, ed è saltato
fuori che Pietro Clostermann è “del mestiere”, e quasi sicuramente ha qualche
asso nella manica che le può rivelare come e perché sua figlia è stata uccisa.
Pietro non ha intenzione di aiutarla, all’inizio. Vuole solo
non-vivere, ricoperto dalla sua polvere. Non è capace, non è “uno del
mestiere”, non è Superman, non è nessuno di bravo e competente, non sa aiutare
sé stesso, figuriamoci se può fare qualcosa per qualcun altro. L’angoscia
dolorosissima e altrettanto silenziosa di Rosa, però, lo hanno smosso ben più
di quello che gli piacerebbe ammettere, almeno al momento.
Quasi contro la sua volontà, Pietro si mette in moto.
All’inizio si tratta di fare qualche domanda in giro, senza scoprirsi troppo.
Non può fare niente di ufficiale, non è un poliziotto e non ha titoli di alcun
genere per mettersi a fare indagini. Potrebbe finire in guai ancora peggiori di
quelli che ha già sperimentato fino a quel momento. Insomma, che male può
provocare mai fare qualche domanda su un caso di un anno prima, che quasi tutti
hanno ormai dimenticato?
Un po’ di male, come scoprirà Pietro da vicino, lo fa. E
dovrà stare attento, molto attento, che quel male non lo porti ad un capolinea
definitivo. L’uomo scopre un intero mondo malato e bieco, dietro certi
capannoni del Lungo Dora cittadino, e dietro le apparenze piatte e squallide di
certi palazzi, di certe anonime società di import-export. Un mondo che ha le
tinte scure e sporche dello sfruttamento della prostituzione, della buona fede
di chi cerca una vita migliore per sé e finisce in incubi desolanti e senza
fine, di spietatezza senza ritegno, senza limiti. Tutto questo, mentre nella
stessa città, nei quartieri e nelle case accanto, altre persone vanno a
lavorare, passeggiano per rilassarsi, incontrano gli amici, allevano figli e
vivono in famiglia in totale libertà e relativa spensieratezza.
In questo viaggio nel fango umano, tuttavia, non mancano
piccole perle lucide. Una bellissima giovane donna dal nome gioiosamente
improbabile, che non vi rivelo perché vi rovinerei una grandissima sorpresa, si
affianca a Pietro nella sua ricerca dell’assassino di Silvia. Ha i suoi motivi
fondamentali, come riscattare un passato angosciante e fangoso. E non solo. Il
suo arrivo nella vita di quest’uomo apparentemente finito equivarrà
all’esplosione di una supernova e lo vedrete bene, da subito.
Quasi nello stesso tempo, un uomo di colore, Sebastião,
entra nella vita di Pietro, poiché la sua ricerca personale s’intreccia molto
stretta con le piste seguite dall’improvvisato detective. Tutti e tre, con le
loro vite spezzate e ricomposte alla bell’e meglio, s’imbarcano su acque
torbide e velenose per rispondere al dolore senza fine di una madre, ritrovare
tregua e una nuova dimensione in sé stessi e nel mondo.
Quando entrate in casa di Pietro, scoprirete che non vorrete
abbandonarlo più. Lo seguirete nei suoi spostamenti un po’ goffi per la città,
gli ricorderete di preparare il cibo del Gatto e vi stupirete, se per caso non
si procura le arance per il suo drink preferito. Lo guarderete cambiare,
svegliarsi, rispolverare se stesso e i suoi talenti, farete il tifo per lui.
Non vi importerà se non sarete coinvolti nelle sparatorie di Mordenti, o nelle
scazzottate in cui Zara si destreggia con le sue mosse di aikido. Vorrete solo
continuare a seguirlo e sperare che non si cacci troppo a fondo nei guai… La
bravura dell’autore, qui, si rivela proprio nel fatto che non sentirete la
mancanza di questi altri due personaggi, più forti e reattivi, più brillanti. E
nemmeno delle ambientazioni eleganti e profumate dei piani alti, o dei quartieri
prestigiosi.
Vorrete, anzi, ascoltare e leggere altre parole, altre
storie come questa, capaci di farvi entrare in un’altra città all’interno della
vostra città. È normale, però: è solo l’effetto dell’essere esposti allo stile
e al flusso narrativo di Enrico Pandiani.
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