Dopo streghe, vampiri, gatti tuttofare, draghi, si torna con
i piedi per terra. E in una terra particolare, in Sicilia, negli anni ’60. Per
essere precisi, il libro si apre il 25 settembre 1963, con un lutto: muore
Rosalia Inzerillo, la Mennulara del titolo, cameriera della famiglia Alfallipe,
notabili del paese di Roccacolomba. L’inizio è piuttosto lento, quasi
sonnolento; il medico constata la morte della cameriera, avvenuta in un soffio,
in silenzio. Dopo averla comunicata alle persone che lo attendono in
anticamera, tutte animate da sentimenti diversi, prende avvio un
romanzo-concerto fatto di mille voci. Ciascuna di esse “canta una strofa”, per
proseguire la similitudine musicale, contribuendo a comporre la canzone della
vita della Mennulara, rimasta senza voce
per intervento della Natura. Una delle rievocazioni della figura di questa
donna controversa, in effetti, la ritrae bambina tredicenne mentre canta con
voce forte e intonata, dedicandosi con ferocia a raccogliere mandorle. “Mennulara”,
raccoglitrice di mandorle, è il soprannome che le è rimasto, da quella prima
occupazione giovanile, cercata con furore per poter aiutare il magrissimo
bilancio domestico, rimasto sulle spalle del padre a causa della malattia della
madre.
La Mennulara rivive nei racconti di volta in volta astiosi, ammirati,
invidiosi, sprezzanti delle persone del paese, a partire dai suoi stessi
ex-padroni, la sua famiglia, i conoscenti. Si delinea un ritratto di donna
forte, autoritaria, prepotente, impavida, in contro-tendenza con i suoi tempi,
il suo sesso, il suo ruolo. Gli Alfallipe, i suoi padroni, sono i classici
ricchi oziosi, preoccupati solo dei propri piaceri e di non essere infastiditi
mentre li perseguono. Adorano la ricchezza, ma non se ne occupano, non la
amministrano, perché lo lasciano fare agli altri, che possono sporcarsi mani e
tempo facendolo.
La Mennulara era una di questi amministratori, per quanto
fosse una semplice cameriera. Sotto il suo aspetto brullo di bellezza
impietrita e sfiorita, la Mennulara è dotata di un cervello pronto, brillante,
fatto per calcoli, un coraggio profondo, che la porta ad affrontare i suoi
ostacoli, che siano umani o sociali, e un insospettabile senso estetico, che le
fa apprezzare le cose belle, anche se nella solitudine gelosa del suo animo
sempre all’erta. Come il riccio elegante del libro di Muriel Barbery, la
cameriera semi-analfabeta (non ha mai voluto imparare a scrivere, mentre
leggere sì) apprezza la cultura, i lavori fatti bene con onestà, e i calcoli
amministrativi giusti, nonostante sia una semplice serva. Secondo le condizioni
sociali, lei è un’imperdonabile sovversiva: ha osato alzare lo sguardo e
pensare di poter essere qualcosa di più.
Ho citato Verga nel titolo, perché anche La mennulara è un
romanzo corale come i Malavoglia. Sono molte le persone e le famiglie che hanno
da esprimersi sul conto di questa donna, e non si risparmiano, per quanto molto
spesso al chiuso delle loro case, lontano dalle orecchie indiscrete. L’atmosfera
è più da complotto, da caccia al tesoro e da mistero da risolvere…sono tante le
cose che non tornano, nella vita e nella morte della Mennulara, e una di queste
è proprio l’annuncio mortuario che l’autoritaria cameriera ha imposto di far
pubblicare ai suoi padroni.
Verga, ecco perché non l’ho digerito!
RispondiEliminaIl personaggio che prende forma di “voce in voce” è straordinario, sì. Anche l’idea del testamento “in stile caccia al tesoro” ha un pizzico di umorismo vagamente pirandelliano.
Se non ricordo male, il romanzo non ha quel senso d’ineluttabilità opprimente che Verga emana, quel destino che incombe e contro il quale non vale neanche la pena lottare (infatti la Mennulara va contro ogni ruolo imposto, contro ogni etichetta).
Non mi è piaciuto lo stile, l’italiano usato: per i miei gusti era così pesante e poco scorrevole che “non mi passava più”.
Piano piano questa donna rivela la sua natura davvero machiavellica. Il modo in cui dispone le lettere che arrivano dopo la sua morte, riguardante il "vero testamento", ha qualcosa di inquietante, e mi ha ricordato alcuni romanzi gialli alla Agatha Christie degli anni '70. In più di un'occasione, mi è venuto da pensare: se questa donna avesse studiato (magari qualche anno più in là, e in un'altra regione), dove sarebbe arrivata? E' buffo dirlo di un personaggio di un libro, che non cresce e non si sviluppa oltre quelle pagine, però è una riflessione che ogni tanto mi nasce, vedendo caratteristiche simili.
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