LoreGasp
La mia caccia alle perle WeekendOut
mi ha riportato di nuovo sull’isola di Capri, dove siamo andati per conoscere
l’amore segreto di Neruda qualche settimana fa. Stasera ci torniamo, andando
anche a ritroso nel tempo, fino all’anno 1934, che dà il titolo ad un
fortissimo romanzo di Alberto
Moravia.
Il protagonista è un giovane intellettuale italiano di nome
Lucio, che sta passando un periodo di profonda e scomoda introspezione. Tutto
nasce da una domanda che rivolge a se stesso: «È possibile vivere nella
disperazione e non desiderare la morte?» cui tenta di dare una risposta
guardandosi attorno, cercando un rapporto con gli altri e la natura. E’ una domanda
che non nasce in Lucio di per sé, ma arriva da molto lontano, e da un grande
nome: Goethe, che la fa balenare ne Le
affinità elettive.
La risposta arriva quasi subito, o almeno una parte, sul
traghetto che lo porta da Napoli a Capri, dove incrocia lo sguardo
profondamente triste di una bella turista straniera. Lucio ne rimane colpito,
la segue al momento dello sbarco, per scoprire che è sposata e che alloggia nel
suo stesso albergo.
Riesce a scoprire che è tedesca e si chiama Beate: da quel
momento inizia un rapporto-inseguimento tra i due (o meglio tre, perché il
marito di lei è sempre presente, vigile geloso ma trascurato) fatto soprattutto
di sguardi, di silenzi e di tentativi di comunicazione con quei silenzi. Lucio
è sempre più intrigato ed attirato, soprattutto nella sua parte intellettuale,
dall’idea di dare una risposta concreta alla domanda di Goethe. La sua fantasia
si spinge addirittura a chiamare in causa un esempio tragico e nobile, nel
doppio suicidio di Heinrich von Kleist e della sua amica Henriette Vogel.
Non è la prima volta che nella narrativa campana si insinua
lo spirito germanico: tra le terre campane (soprattutto quelle cariche di
energia dirompente come il Cumano, o le isole) e quelle boschive e gelide della
Germania, si crea spesso un legame forte, spesso.
Le cose, tuttavia, non vanno come sperato: Beate torna in
Germania all’improvviso, lasciando il posto ad una gemella, Trude,
completamente diversa da lei. Una personalità opposta: tanto era silenziosa e
disperata Beate, tanto è vulcanica, piena di vita e di sberleffi Trude. Lucio
viene nuovamente coinvolto in un rapporto a tre, con la presenza della madre
ambigua delle due, con risvolti anche molto amari.
Niente è come sembra, in questo libro. E’ un gioco perenne
di parole, facciate, recitazioni; è più un dramma teatrale, che non un romanzo
vero e proprio. Non è un romanzo facile, di sentimenti e sensazioni facili: il
potere intellettuale, qui, è lasciato libero, e come spesso accade, trae
conclusioni molto amare, trancia giudizi. L’amore qui è un gioco, un gioco
amaro.
Non è un libro per tutti. Moravia è un autore duro di
descrizioni e sentimenti, per lui niente è lineare, e c’è poca solarità, poca
speranza e una certa amarezza di vivere, inclusi in una forte complessità. Lo
consiglio ai lettori più equilibrati, quelli che riescono a mettere un filtro
di ottimismo soprattutto di fronte alle considerazioni più amare degli
scrittori. E’ buono prendere atto che esistono alcune cose negative, ma il
pessimismo spesso risulta fuorviante.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.