venerdì 1 aprile 2016

Dialoghi con l'Amanita#19 - L’Amanita scettica – Milioni di farfalle di Eben Alexander

LoreGasp e L'Amanita

Ci risiamo. Neurino-mio sta berciando a squarciagola ho un po’ di traffico nell’anima, sopra pensieri e sensazioni.

Nonostante le aspettative non sono entrata in risonanza con questo libro; forse ho bisogno di un dialogo – al quale devo fare precedere alcuni chiarimenti.

Premessa n. 1: a prescindere dalla mia formazione fortemente cristiana di area cattolica, tendo ad evitare libri mistici, con visioni angeliche e paradisiache. La mia prima reazione quando in parrocchia mi hanno proposto una discussione di questo libro è stata: devo proprio? E l’insofferenza cresceva, perché ha entusiasmato molti e innervosito altrettanti altri. Capivo a prescindere sia gli entusiasti, sia gli irritati.

Premessa n. 2: l’insofferenza nasce dalla convinzione personale e discutibile che la fede può essere ragionevole, ma non razionale. Il nostro cervello – organo meraviglioso e stupefacente – è pur sempre materiale corruttibile, che invecchia e muore. Non può spiegare tutto, perché non può comprendere tutto (e poi, perché spiegare tutto? Che senso ha? Ma!) 

Anche quando frequentavo i corsi di teologia non avevo la smania di giustificare o provare tutto quello che studiavo: potevo confrontare le mie esperienze con le esperienze altrui, con la consapevolezza che erano tutte importanti e relative.

Posso però dire che il mio percorso è “il contrario” di quello descritto dal dott. Alexander: ero una credente morta e “recuperata”; affermazione che porta alla premessa n. 3: questo dialogo è frutto anche di un lavoro più vecchio con un altro compagno di studi, infermiere specializzato in cure palliative (cercava modi per “accompagnare” meglio i suoi pazienti), che nel 2000 mi aiutò ad affrontare la vita come una seconda opportunità e non come uno scarto; grazie a C. smisi di concentrarmi su ricordi e pensieri che potevano anche non esistere, ma indagai sulle sensazioni che “avevo dentro”. Per la cronaca: mi prestò i libri di E. Kübler-Ross, citata da Alexander, e altri come M. De Hennezel, E. Becker, C. Casalone (per segnalarne qualcuno “scientifico”).

Copertina: “Il paradiso esiste. Ci sono stato.” Il racconto di un neurochirurgo americano che ha scioccato il mondo.

Giro e leggo: Eben Alexander, neurochirurgo e professore alla Harvard Medical School, descrive il Paradiso. Il dottor Alexander è uno scienziato che non ha mai creduto alla vita dopo la morte eppure ne è stato testimone. Nel 2008 ha contratto un rara forma di meningite e per sette giorni è entrato in uno stato di coma profondo che ha azzerato completamente l’attività della sua corteccia cerebrale. Ma una parte di lui, ancora vigile, ha intrapreso uno straordinario viaggio verso il Paradiso.
Sono d’accordo con molte affermazioni del dottore, ma la puntina di scetticismo resta.

Ci conosciamo da oltre trent’anni (trenta, quasi una vita!), mi hai visto partire, tornare, cercare.

Mi hai visto morta.

Tu lo sai, Loredana. Tu c’eri quel gennaio 2000.

Elettroencefalogramma piatto. Il mio prezioso cervello s’era spento.

Morta e portata in sala operatoria per un tentativo estremo; tanto, peggio di morta non potevo essere, no? Morta, operata a cranio scoperchiato, coma, emiparesi del lato destro… la prospettiva: “Signora, nella migliore delle ipotesi sua figlia potrà stare sulla sedia a rotelle non del tutto orientata nel tempo e nello spazio (= paralitica e rimbambita)”. Invece…

E questo è uno dei motivi per cui evito i libri con malattie e con miracoli: ho già dato. Ho ascoltato “ricordi” di persone all’ospedale con me, confrontandomi con loro. Ho confrontato la mia assenza di “ricordi” con racconti di luce, custodi e perfino esperienze negative. Non dubito della loro veridicità: non si può cavillare su traumi, incidenti terribili e mesi di degenza per “rimettere insieme” cocci di ossa e anime. Il dolore è sacro.

Ho affrontato le domande di amici e conoscenti. Anzi, LA domanda: cosa succede “là”? Già, il nocciolo è questo: esiste la vita oltre la morte?

Come ho detto prima: non ho ricordi di quel periodo. Niente luci, né voli o angeli per me. Devo essere proprio una bestia grama ;-)!

E per una sistematica come me è fin ovvio: il cervello è spento. Morto. Come può aver registrato qualcosa? Del resto noi siamo più del nostro cervello. In quel periodo caotico e doloroso, l’amico C. è stato fondamentale. Il suo suggerimento: lascia perdere i ricordi. Concentrati sulle sensazioni: se davvero qualcosa in noi sopravvive e va oltre, nel profondo del tuo essere qualcosa è rimasto.
Eccome! E, mi rode ammetterlo, Dante ha ragione: non si può descrivere l’esperienza “dell’oltre” con parole umane.

Ma le descrizioni paradisiache del libro non mi tangono. Non raggiungono quella parte misteriosa che l’esimio dottore vorrebbe dimostrare scientificamente. Tutto tace.

Un aiutino? Qualche suggerimento?

Se ti arriva l’aiutino, o il suggerimento, dillo. Lo attendo anch’io, perché ho più dubbi che altro, in materia.  Non conosco il libro che hai letto, e sono andata a cercarlo in Internet, mi sono soffermata su Wikipedia, che come al solito mi fornisce spunti e risposte. Questa citazione troneggiava in prima posizione, alla voce “Milioni di farfalle”:

« Io sostengo che il mistero umano è incredibilmente sminuito dal riduzionismo scientifico quando esso sostiene, in una sorta di materialismo promissorio, di poter spiegare tutto il mondo spirituale in termini di schemi di attività neuronale »
(John Carew Eccles, Nobel per la medicina 1963)

L’attività neuronale è forse quella che maggiormente si avvicina al mondo spirituale, ma c’è tutta una parte misteriosa che sfugge anche alla sua azione. E’ quella parte di noi che sfugge persino a noi. È un mistero, il grande boato sotto il nostro respiro, per riprendere e parafrasare una canzone di Irene Fornaciari.

Tuttavia, ritengo che questa citazione illustri abbastanza bene quello che penso. C’è di più, c’è molto di più di quello che qualunque attività cerebro-neuronale brillante possa fare.

Riprendo il tuo post dalle premesse.

N° 1, la formazione è analoga, ma praticamente evanescente nel mio caso, perché appiccicaticcia. Ho seguito il catechismo e tutti i passi perché non sapevo cos’altro fare, essendo bambina, e camminavo sul sentiero tracciato e ben delimitato da altri, senza metterlo in discussione. Non posso evitare di ricordare, però, un certo disagio e una certa domanda che aleggiava nei banchi in fondo, quando mi trovavo a contatto con preti e simili: ma che hanno questi a che fare, con me? E mi sforzavo di sentire la spinta verso il Padre, ma…la marcia non ingranava. Una volta cresciuta, la svolta buddista. Ma questo non vuol dire preclusione e rifiuto della mia formazione di partenza. Anzi, devo dire che forse capisco meglio alcune cose. E non disdegno di leggere di angeli. Sono sempre un po’ scettica, perché non si tratta di cose che ho sperimentato in prima persona, per cui mi domando quanto siano attendibili.

Tu sai, comunque, quanto io abbia canali aperti, quando si tratta di mondo spirituale, ma sono cosciente che esiste anche molta confusione, e anche qualche punta di truffaldineria, per cui sono sempre molto cauta.

N°2, condivido soprattutto il rifiuto di dover spiegare sempre tutto. Qualche volta, la spiegazione non c’è. O se c’è, è ininfluente. Sì, il nostro potentissimo cervello si corrompe e muore, al pari di tutta la materia organica. Perciò, è fallibile e può prendere cantonate.

Non credo che potrei accantonare tanto facilmente quel gennaio 2000, in cui cambiò così tanto. All’epoca non mi rendevo conto quanto…viaggiavo esterrefatta, incredula. Io ero qui, tu non potevi andartene “di là”. Non era previsto, non ne avevamo mai parlato! Ora è facile fare queste battute pessime, ma all’epoca riuscivo solo a pensare: “c’è un errore, c’è un errore. Qualcuno si è sbagliato. Io sono qui, lei deve essere anche qui. Se ci sono io, ci deve essere anche lei.”

Cosa succede di là? Qualcuno ha risposto. Dando quasi sempre risposte molto simili, e tacendo molto altro. Un mio compagno di fede sperimentò la morte e il ritorno, e ci raccontò la sua esperienza. Una parte. Disse chiaramente che molte altre cose sarebbero tornate con lui nella tomba, definitivamente, e non si sarebbero mai svelate. Penso che in quei momenti così unici e delicati, la maggior parte delle cose che si sperimentano, siano inconoscibili tramite i nostri normali processi mentali che vorrebbero spiegarli, analizzarli, scomporli ed etichettarli.

E’ il cuore (non il sentimentalismo) che comprende, e saggiamente tace, non facendo arrivare concetti chiari alle parole per esplicitarli. Così come accade per la fede, qualunque sia: puoi parlarne, puoi citarne i sacri testi, puoi metterli in pratica, li puoi dimostrare, ci puoi ragionare, ma o sei disposto ad affidarti, a occhi chiusi e a mente in pausa caffè, oppure no. Fede, fiducia: le loro radici si perdono nell’inconoscibile. Altrimenti, non è più fede, ma ragionamento.

Io leggo volentieri di angeli e di esperienze di viaggi astrali, o di ritorno dalla morte, ma sempre con una puntina di scetticismo, come te. Serve sempre, ed è naturale: viviamo in corpi limitati che hanno bisogno dei cinque sensi, perché il mondo in cui siamo lo richiede. Altrimenti, saremmo tutti nebulose di energie vaganti per qualche dimensione strana. 

Abbiamo, però, un portone che si spalanca su una dimensione interiore praticamente illimitata, dentro. Possiamo crederci, o no. Se ci crediamo, riusciamo anche ad aprire quel portone, e a portare un po’ di quello che abbiamo lì (Amore e saggezza, per esempio) in questo mondo, dando anche un contributo positivo, magari. Altrimenti…lasciamo chiuso il portone e seguiamo il sentiero tracciato da altri.


In conclusione? L’attività neuronale, brillante e spigliata anche all’eccesso, riesce a spiegare una parte, quella più raggiungibile, del mondo spirituale. Sono d’accordo con te: noi siamo molto, molto di più del nostro cervello.

2 commenti:

  1. Risposte
    1. Sì, ogni tanto lo penso. Siamo portoni, e canali, se ci permettiamo di esserlo. Non è nemmeno facile esserlo!

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