Ci risiamo. Neurino-mio sta berciando a squarciagola ho un po’ di traffico nell’anima, sopra
pensieri e sensazioni.
Nonostante le aspettative non sono entrata in risonanza con
questo libro; forse ho bisogno di un dialogo – al quale devo fare precedere
alcuni chiarimenti.
Premessa n. 1: a prescindere dalla mia formazione fortemente
cristiana di area cattolica, tendo ad evitare libri mistici, con visioni
angeliche e paradisiache. La mia prima reazione quando in parrocchia mi hanno
proposto una discussione di questo libro è stata: devo proprio? E
l’insofferenza cresceva, perché ha entusiasmato molti e innervosito altrettanti
altri. Capivo a prescindere sia gli entusiasti, sia gli irritati.
Premessa n. 2: l’insofferenza nasce dalla convinzione
personale e discutibile che la fede può essere ragionevole, ma non razionale.
Il nostro cervello – organo meraviglioso e stupefacente – è pur sempre
materiale corruttibile, che invecchia e muore. Non può spiegare tutto, perché
non può comprendere tutto (e poi, perché spiegare tutto? Che senso ha?
Ma!)
Anche quando frequentavo i corsi di teologia non avevo la
smania di giustificare o provare tutto quello che studiavo: potevo confrontare
le mie esperienze con le esperienze altrui, con la consapevolezza che erano
tutte importanti e relative.
Posso però dire che il mio percorso è “il contrario” di
quello descritto dal dott. Alexander: ero una credente morta e “recuperata”;
affermazione che porta alla premessa n. 3: questo dialogo è frutto anche di un
lavoro più vecchio con un altro compagno di studi, infermiere specializzato in
cure palliative (cercava modi per “accompagnare” meglio i suoi pazienti), che
nel 2000 mi aiutò ad affrontare la vita come una seconda opportunità e non come
uno scarto; grazie a C. smisi di concentrarmi su ricordi e pensieri che
potevano anche non esistere, ma indagai sulle sensazioni che “avevo dentro”.
Per la cronaca: mi prestò i libri di E. Kübler-Ross, citata da Alexander, e
altri come M. De Hennezel, E. Becker, C. Casalone (per segnalarne qualcuno
“scientifico”).
Copertina: “Il paradiso esiste. Ci sono stato.” Il racconto
di un neurochirurgo americano che ha scioccato il mondo.
Giro e leggo: Eben Alexander, neurochirurgo e professore
alla Harvard Medical School, descrive il Paradiso. Il dottor Alexander è uno
scienziato che non ha mai creduto alla vita dopo la morte eppure ne è stato
testimone. Nel 2008 ha contratto un rara forma di meningite e per sette giorni
è entrato in uno stato di coma profondo che ha azzerato completamente
l’attività della sua corteccia cerebrale. Ma una parte di lui, ancora vigile,
ha intrapreso uno straordinario viaggio verso il Paradiso.
Sono d’accordo con molte affermazioni del dottore, ma la
puntina di scetticismo resta.
Ci conosciamo da oltre trent’anni (trenta, quasi una vita!),
mi hai visto partire, tornare, cercare.
Mi hai visto morta.
Tu lo sai, Loredana. Tu c’eri quel gennaio 2000.
Elettroencefalogramma piatto. Il mio prezioso cervello s’era
spento.
Morta e portata in sala operatoria per un tentativo estremo;
tanto, peggio di morta non potevo essere, no? Morta, operata a cranio
scoperchiato, coma, emiparesi del lato destro… la prospettiva: “Signora, nella
migliore delle ipotesi sua figlia potrà stare sulla sedia a rotelle non del
tutto orientata nel tempo e nello spazio (= paralitica e rimbambita)”. Invece…
E questo è uno dei motivi per cui evito i libri con malattie
e con miracoli: ho già dato. Ho ascoltato “ricordi” di persone all’ospedale con
me, confrontandomi con loro. Ho confrontato la mia assenza di “ricordi” con racconti
di luce, custodi e perfino esperienze negative. Non dubito della loro
veridicità: non si può cavillare su traumi, incidenti terribili e mesi di
degenza per “rimettere insieme” cocci di ossa e anime. Il dolore è sacro.
Ho affrontato le domande di amici e conoscenti. Anzi, LA
domanda: cosa succede “là”? Già, il nocciolo è questo: esiste la vita oltre la
morte?
Come ho detto prima: non ho ricordi di quel periodo. Niente
luci, né voli o angeli per me. Devo essere proprio una bestia grama ;-)!
E per una sistematica come me è fin ovvio: il cervello è
spento. Morto. Come può aver registrato qualcosa? Del resto noi siamo più del
nostro cervello. In quel periodo caotico e doloroso, l’amico C. è stato
fondamentale. Il suo suggerimento: lascia perdere i ricordi. Concentrati sulle
sensazioni: se davvero qualcosa in noi sopravvive e va oltre, nel profondo del
tuo essere qualcosa è rimasto.
Eccome! E, mi rode ammetterlo, Dante ha ragione: non si può
descrivere l’esperienza “dell’oltre” con parole umane.
Ma le descrizioni paradisiache del libro non mi tangono. Non
raggiungono quella parte misteriosa che l’esimio dottore vorrebbe dimostrare
scientificamente. Tutto tace.
Un aiutino? Qualche suggerimento?
Se ti arriva l’aiutino, o il suggerimento, dillo. Lo attendo
anch’io, perché ho più dubbi che altro, in materia. Non conosco il libro che hai letto, e sono
andata a cercarlo in Internet, mi sono soffermata su Wikipedia, che come al
solito mi fornisce spunti e risposte. Questa citazione troneggiava in prima
posizione, alla voce “Milioni di farfalle”:
« Io sostengo che il mistero umano è
incredibilmente sminuito dal riduzionismo scientifico quando esso sostiene,
in una sorta di materialismo promissorio, di poter spiegare tutto il mondo
spirituale in termini di schemi di attività neuronale »
|
(John Carew Eccles, Nobel per la medicina 1963)
|
L’attività neuronale è forse quella che maggiormente si
avvicina al mondo spirituale, ma c’è tutta una parte misteriosa che sfugge anche
alla sua azione. E’ quella parte di noi che sfugge persino a noi. È un mistero,
il grande boato sotto il nostro respiro, per riprendere e parafrasare una
canzone di Irene Fornaciari.
Tuttavia, ritengo che questa citazione illustri abbastanza
bene quello che penso. C’è di più, c’è molto di più di quello che qualunque
attività cerebro-neuronale brillante possa fare.
Riprendo il tuo post dalle premesse.
N° 1, la formazione è analoga, ma praticamente evanescente nel mio caso,
perché appiccicaticcia. Ho seguito il catechismo e tutti i passi perché non
sapevo cos’altro fare, essendo bambina, e camminavo sul sentiero tracciato e
ben delimitato da altri, senza metterlo in discussione. Non posso evitare di
ricordare, però, un certo disagio e una certa domanda che aleggiava nei banchi
in fondo, quando mi trovavo a contatto con preti e simili: ma che hanno questi
a che fare, con me? E mi sforzavo di sentire la spinta verso il Padre, ma…la
marcia non ingranava. Una volta cresciuta, la svolta buddista. Ma questo non
vuol dire preclusione e rifiuto della mia formazione di partenza. Anzi, devo
dire che forse capisco meglio alcune cose. E non disdegno di leggere di angeli.
Sono sempre un po’ scettica, perché non si tratta di cose che ho sperimentato
in prima persona, per cui mi domando quanto siano attendibili.
Tu sai, comunque, quanto io abbia canali aperti, quando si
tratta di mondo spirituale, ma sono cosciente che esiste anche molta
confusione, e anche qualche punta di truffaldineria, per cui sono sempre molto
cauta.
N°2, condivido soprattutto il rifiuto di dover spiegare
sempre tutto. Qualche volta, la spiegazione non c’è. O se c’è, è ininfluente.
Sì, il nostro potentissimo cervello si corrompe e muore, al pari di tutta la
materia organica. Perciò, è fallibile e può prendere cantonate.
Non credo che potrei accantonare tanto facilmente quel
gennaio 2000, in cui cambiò così tanto. All’epoca non mi rendevo conto quanto…viaggiavo
esterrefatta, incredula. Io ero qui, tu non potevi andartene “di là”. Non era
previsto, non ne avevamo mai parlato! Ora è facile fare queste battute pessime,
ma all’epoca riuscivo solo a pensare: “c’è un errore, c’è un errore. Qualcuno si
è sbagliato. Io sono qui, lei deve essere anche qui. Se ci sono io, ci deve
essere anche lei.”
Cosa succede di là? Qualcuno ha risposto. Dando quasi sempre
risposte molto simili, e tacendo molto altro. Un mio compagno di fede
sperimentò la morte e il ritorno, e ci raccontò la sua esperienza. Una parte.
Disse chiaramente che molte altre cose sarebbero tornate con lui nella tomba,
definitivamente, e non si sarebbero mai svelate. Penso che in quei momenti così
unici e delicati, la maggior parte delle cose che si sperimentano, siano
inconoscibili tramite i nostri normali processi mentali che vorrebbero
spiegarli, analizzarli, scomporli ed etichettarli.
E’ il cuore (non il sentimentalismo) che comprende, e
saggiamente tace, non facendo arrivare concetti chiari alle parole per
esplicitarli. Così come accade per la fede, qualunque sia: puoi parlarne, puoi
citarne i sacri testi, puoi metterli in pratica, li puoi dimostrare, ci puoi
ragionare, ma o sei disposto ad affidarti, a occhi chiusi e a mente in pausa
caffè, oppure no. Fede, fiducia: le loro radici si perdono nell’inconoscibile.
Altrimenti, non è più fede, ma ragionamento.
Io leggo volentieri di angeli e di esperienze di viaggi
astrali, o di ritorno dalla morte, ma sempre con una puntina di scetticismo,
come te. Serve sempre, ed è naturale: viviamo in corpi limitati che hanno
bisogno dei cinque sensi, perché il mondo in cui siamo lo richiede. Altrimenti,
saremmo tutti nebulose di energie vaganti per qualche dimensione strana.
Abbiamo, però, un portone che si spalanca su una dimensione interiore
praticamente illimitata, dentro. Possiamo crederci, o no. Se ci crediamo,
riusciamo anche ad aprire quel portone, e a portare un po’ di quello che
abbiamo lì (Amore e saggezza, per esempio) in questo mondo, dando anche
un contributo positivo, magari. Altrimenti…lasciamo chiuso il portone e
seguiamo il sentiero tracciato da altri.
In conclusione? L’attività neuronale, brillante e spigliata
anche all’eccesso, riesce a spiegare una parte, quella più raggiungibile, del
mondo spirituale. Sono d’accordo con te: noi siamo molto, molto di
più del nostro cervello.
...forse "il portone" siamo noi?
RispondiEliminaSì, ogni tanto lo penso. Siamo portoni, e canali, se ci permettiamo di esserlo. Non è nemmeno facile esserlo!
Elimina