venerdì 26 agosto 2016

Andrej Longo – L’altra madre. La difficoltà di uno stesso ruolo, da lati diversi.

LoreGasp

Leggendo il titolo, si può pensare che si tratti di una di quelle storie così complicate di “uteri in affitto”, o di adozioni più o meno legali e accettate. Niente di più lontano dal reale contenuto. Il libraio esperto che me l’ha consigliato, pur non conoscendomi affatto, ha individuato un altro di quei romanzi-iceberg, semplici storie all’apparenza, che nascondono pozzi profondissimi di emozioni e sentimenti.

Torniamo a Napoli, una città che abbiamo visitato parecchie volte, nell’ultimo anno e mezzo. Siamo alle prime ore di una giornata qualunque, in un quartiere qualunque, abitato da persone normali, prese nella loro routine. Entriamo in un bar e ammiriamo i movimenti veloci di un garzone sedicenne, Genny, che sforna caffè e cappuccini al minimo respiro dei clienti. Non distraetevi con Angelo, l’altro coetaneo che lavora anch’egli in un bar, dove s’incrociano scommesse su qualunque cosa faccia parte del creato. 
Dopo il lavoro e un paio di giri con amici, anche discutibili, Genny torna a casa dove la madre quarantenne, giovane d’aspetto ma scarsa di salute, contribuisce al mantenimento famigliare cucendo orli su orli di pantaloni su commissione. Un quadro quieto di normalità routinaria e quieta.

In un altro punto della città, una donna quasi della stessa età della madre di Genny, Irene, avvia la sua vita quotidiana: sveglia presto al mattino, corsa di allenamento, preparazione della colazione per Tania, la figlia adolescente, vestizione dell’uniforme, e via al lavoro, al Commissariato di Polizia della zona.

Tutto apparentemente normale. A parte qualche scossa, tipo il figuro poco raccomandabile con cui Genny va a prendere una birra e che gli propone un affare dubbio, e l’affacciarsi sulla scena di un boss preoccupato di poter continuare i suoi affari senza poliziotti in giro, tutto è normale.

Un paio di giorni dopo, la normalità si rovescia.

Queste quattro persone, che difficilmente si sarebbero incontrate nella realtà, si trovano legate le une alle altre in un gioco crudele avviato dalla Morte. I giocatori che rimangono, sono costretti a passare un altro livello, in cui, il dolore della perdita si trasforma quasi istantaneamente in un desiderio totalizzante di vendetta, cercata a tutti i costi, passando sopra qualunque uniforme, regola, buon senso.

Ora tocca alle madri.

Quella che cerca vendetta, per poter vivere almeno qualche ora senza piangere e cercare di farla finita, dà fondo a tutte le sue energie e a tutto il raziocinio che ancora le rimane, per mettere in atto il suo piano. Riesce a catturare da sola la sua preda, e decide di occuparsene da sé, senza il coinvolgimento di nessuno, né Polizia, né Stato, né società. È una madre ferita, e basta. Tutto quello che può essere stata svanisce di fronte a quello che è diventata nello spazio di pochi giri del sole. Non c’è spazio per altro. Dicono che non esista una furia infernale pari a quella di una donna respinta, ma dimenticano di mettere in guardia dall’insensatezza di ferire una madre nei suoi affetti.

Inseguendo la sua preda, è inevitabile che la vendicatrice finisca per scontrarsi anche con sua madre. L’altra madre. Per un momento, non si sa chi sia davvero l’altra madre. Quella che cerca vendetta per quello che le è stato tolto? Quella che cerca d’impedire che le venga tolta la stessa cosa? A seconda di quale lato della scena scegliamo per la nostra poltrona di spettatori, cambia il ruolo, e il nome della madre vicino al termine “altra”.

La Morte ancora entra in gioco. Non per risolvere. E’ un intervento già pianificato e programmato da molto, era necessario che maturassero ancora un po’ i tempi, e che gli eventi di contorno diventassero ancora più interessanti.

Il finale non è poi scontato. Lo scontro delle madri ha lasciato segni, il veleno intossicante della vendetta ha prodotto cambiamenti e trasformazioni. Quando si beve grandi sorsate di quel liquido che sembra così dolce e profumato, ci si dimentica che le conseguenze non sono mai leggere. O ci si trasforma, o si soccombe. La madre vendicatrice lo scopre a proprie spese.


Leggetelo, se volete vivere in un libro veloce e movimentato come un film. Lo stile è scorrevole, il dialetto napoletano smorza l’erompere di sentimenti pesantemente tinti, invece di esasperarli come è già capitato in altri libri. Se lo iniziate, dovete finirlo. Ogni piccolo paragrafo è un fotogramma, e per quanto esistano programmi in grado di mettere in attesa un film, rivelandosi un’indubbia comodità quando si ricevono telefonate intempestive o si deve andare in bagno, premere il tasto pausa qui rischia di far perdere vita e movimento. E poi… avete visto di cos’è capace una madre che si vendica, vero?

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