Jonathan Franzen. Jonathan FRANZEN. F-R-A-N-Z-E-N. Non è il
caldo eccessivo, non è la fine dell’estate, che hanno apparentemente cucinato i
miei neuroni. E’ l’emozione di aver a che fare con un autore acclamato,
criticato, osannato e amato da tantissimi lettori e blogger. Come scrissi su
Facebook qualche giorno fa, io non volevo leggere Franzen. Per i soliti motivi:
troppo famoso, letto, pubblicizzato. Io diffido in maniera automatica dai casi
editoriali e dalle mode del momento. La curiosità, però, c’era, eccome. Un paio
di anni fa presi La ventisettesima città, sempre di Franzen, approfittando di
un gruppo di lettura sorto apposta per leggere i libri di Franzen. Mi attirava
il titolo. Sapeva di storico, quasi epico, e anonimo al tempo stesso. Quando lo
cominciai, però, non fui presa e lo lasciai prima della metà.
Non era finita lì.
Il gancio aveva fatto presa comunque, per cui, sotto restava
il desiderio di leggere o quanto meno di risolvere il momentaneo impasse con la
lettura di Franzen.
Bene.
Ogni desiderio è un ordine, anche se non viene espresso, e
questa estate, un’amica gentilissima mi ha fatto la splendida sorpresa di
portarmi Le correzioni di Franzen all’ultima serata del ciclo Un libro, un
piacere!
E così, ebbe inizio la Storia Di Un’Adorazione Riluttante
(#storiadiunadorazioneriluttante).
La trama è piuttosto semplice. Al centro di questa galassia,
una famiglia americana, i Lambert. I genitori, Enid e Alfred, e i figli: Gary,
Chip(per), Denise. La città in cui vivono, e hanno vissuto, è St. Jude,
fotocopia letteraria di una delle tante città reali del Midwest americano.
L’azione si apre con la coppia di genitori, ciascuno occupato a nascondere
all’altro le proprie situazioni, i propri pensieri, le proprie scelte. Alfred è
affetto da Alzheimer, e Enid comincia a risentire di una vita passata a
“correggersi” per essere sempre nel giusto, e a dover fare attenzione alle
mosse e ai comportamenti del marito, in una casa chiaramente troppo grande e
ingombrante per una coppia simile.
La trama prosegue focalizzandosi sulle vite singole di
ciascuno dei protagonisti, con numerosi flashback perfettamente incrociati su
alcune situazioni particolarmente nodali e dolorose che hanno creato
conseguenze pesanti e importanti. E sull’intento principale e inarrestabile di
Enid, che caparbiamente, con un’ostinazione anche irritante, vuole riunire i
suoi figli per un ultimo Natale in quella casa troppo grande a St. Jude. Ci riuscirà?
Dovrete leggerlo, per saperlo.
Quello che mi ha letteralmente incantato e agganciato di
questo libro è la maestria di Franzen, in ogni momento, e in ogni punto del
libro. Ho parlato prima di flashback. Uno stesso evento viene ricordato in
tempi e modi diversi a seconda del personaggio al centro del capitolo: può
richiedere poche e distratte frasi, oppure lunghi e appassionati paragrafi, a
seconda dell’impatto sul carattere e sulla percezione dei tre fratelli o dei
genitori. Noi lettori, però, sappiamo sempre cosa sta capitando, e a che cosa
si stanno riferendo i Lambert, o i numerosi personaggini satellite che li
accompagnano. Noi abbiamo sempre le mille sfaccettature delle loro vite sotto
gli occhi, e ne siamo… arricchiti. Mai, nemmeno per un momento, possiamo dire:
che noia, ma di questo aveva già parlato quell’altro!
La noia subentra, ogni tanto. Un’altra espressione della
maestria dell’autore: lo stile. Pur rimanendo lui, l’autore onnisciente, entra
e si sdoppia nei personaggi. Qualcosa cambia, poche parole, la velocità dei
paragrafi, l’energia o la rabbia delle espressioni, o persino la mollezza e
sensualità, e noi sappiamo sempre chi sta parlando. Sappiamo che Franzen ha
abbassato la sua voce per parlare come Chip o Denise potrebbe fare, senza imitarli.
Mai. Piuttosto, va in playback.
Ho parlato di noia, poco fa. E’ stato un errore, una
confusione da parte mia, che scrivo sotto l’onda d’urto di un libro veramente
sentito nelle interiora?
No, la noia c’è. Quando c’è da annoiare il lettore, Franzen
non si tira indietro. Gary e Denise partecipano ad una conferenza di lancio di
un prodotto che potrebbe rivoluzionare le cure dell’Alzheimer. I relatori,
interessanti “caricature” di venditori della razza degli squali, camuffati da
benefattori dell’umanità, si lanciano in lunghe, articolate spiegazioni
tecniche sul funzionamento di certe sostanze nella chimica del cervello. Se non
si è particolarmente colpiti dall’argomento, o non si è tecnici del settore, si
rischia lo svenimento per noia, com’è capitato a me. Ma non è quella noia che
mi ha spinto, com’è capitato in altri casi, ad addormentarmi sul libro e a
catalogarlo come “insufficiente”. E’ quel sentimento strano, tinto, che ti
spinge a dire: ok, ok, bello tutto questo, ma cosa c’è dopo? Cosa farete, dopo?
E Franzen non si fa pregare, a dirci cosa c’è dopo. Magari
pagine e pagine più avanti… ma non manca mai il suo appuntamento con il
lettore. Lui non abbandona mai la scena. Prima, deve raccontarci minuziosamente
cosa stanno pensando e in quale modo stanno pensando i personaggi da cui ci ha
portato, ci deve far capire altre cose, altre sfumature, altri eventi… ed
eccolo accelerare improvvisamente, alzare il tono della conversazione, piantare
gli occhi dentro l’anima del prossimo personaggio che entra in scena, per poi
guardare verso di noi con un sorriso, come a dire: tu sai cosa voglio dire, in
realtà, vero? Perché lui sa che abbiamo detto, pensato, provato, urlato,
pianto, riso, preso decisioni, schiantato cuori e anime (a partire dai nostri)
esattamente nello stesso modo.
E le correzioni? Cosa vuol dire questo titolo da calvinisti,
da fervore religioso autopunitivo per essere degni di Qualcuno o Qualcosa?
Franzen sorride solo. Qui non risponde. Sa benissimo che,
leggendo il libro, potremo dare noi una definizione de Le correzioni. E ognuna
di queste sarà altrettanto valida delle altre.
Buon fine agosto!
RispondiEliminaGrazie, altrettanto.
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