lunedì 22 agosto 2016

Le correzioni – Jonathan Franzen. Storia di un’adorazione riluttante

LoreGasp

Jonathan Franzen. Jonathan FRANZEN. F-R-A-N-Z-E-N. Non è il caldo eccessivo, non è la fine dell’estate, che hanno apparentemente cucinato i miei neuroni. E’ l’emozione di aver a che fare con un autore acclamato, criticato, osannato e amato da tantissimi lettori e blogger. Come scrissi su Facebook qualche giorno fa, io non volevo leggere Franzen. Per i soliti motivi: troppo famoso, letto, pubblicizzato. Io diffido in maniera automatica dai casi editoriali e dalle mode del momento. La curiosità, però, c’era, eccome. Un paio di anni fa presi La ventisettesima città, sempre di Franzen, approfittando di un gruppo di lettura sorto apposta per leggere i libri di Franzen. Mi attirava il titolo. Sapeva di storico, quasi epico, e anonimo al tempo stesso. Quando lo cominciai, però, non fui presa e lo lasciai prima della metà.

Non era finita lì.

Il gancio aveva fatto presa comunque, per cui, sotto restava il desiderio di leggere o quanto meno di risolvere il momentaneo impasse con la lettura di Franzen.

Bene.

Ogni desiderio è un ordine, anche se non viene espresso, e questa estate, un’amica gentilissima mi ha fatto la splendida sorpresa di portarmi Le correzioni di Franzen all’ultima serata del ciclo Un libro, un piacere!

E così, ebbe inizio la Storia Di Un’Adorazione Riluttante (#storiadiunadorazioneriluttante).

La trama è piuttosto semplice. Al centro di questa galassia, una famiglia americana, i Lambert. I genitori, Enid e Alfred, e i figli: Gary, Chip(per), Denise. La città in cui vivono, e hanno vissuto, è St. Jude, fotocopia letteraria di una delle tante città reali del Midwest americano. L’azione si apre con la coppia di genitori, ciascuno occupato a nascondere all’altro le proprie situazioni, i propri pensieri, le proprie scelte. Alfred è affetto da Alzheimer, e Enid comincia a risentire di una vita passata a “correggersi” per essere sempre nel giusto, e a dover fare attenzione alle mosse e ai comportamenti del marito, in una casa chiaramente troppo grande e ingombrante per una coppia simile.

La trama prosegue focalizzandosi sulle vite singole di ciascuno dei protagonisti, con numerosi flashback perfettamente incrociati su alcune situazioni particolarmente nodali e dolorose che hanno creato conseguenze pesanti e importanti. E sull’intento principale e inarrestabile di Enid, che caparbiamente, con un’ostinazione anche irritante, vuole riunire i suoi figli per un ultimo Natale in quella casa troppo grande a St. Jude. Ci riuscirà?

Dovrete leggerlo, per saperlo.

Quello che mi ha letteralmente incantato e agganciato di questo libro è la maestria di Franzen, in ogni momento, e in ogni punto del libro. Ho parlato prima di flashback. Uno stesso evento viene ricordato in tempi e modi diversi a seconda del personaggio al centro del capitolo: può richiedere poche e distratte frasi, oppure lunghi e appassionati paragrafi, a seconda dell’impatto sul carattere e sulla percezione dei tre fratelli o dei genitori. Noi lettori, però, sappiamo sempre cosa sta capitando, e a che cosa si stanno riferendo i Lambert, o i numerosi personaggini satellite che li accompagnano. Noi abbiamo sempre le mille sfaccettature delle loro vite sotto gli occhi, e ne siamo… arricchiti. Mai, nemmeno per un momento, possiamo dire: che noia, ma di questo aveva già parlato quell’altro!

La noia subentra, ogni tanto. Un’altra espressione della maestria dell’autore: lo stile. Pur rimanendo lui, l’autore onnisciente, entra e si sdoppia nei personaggi. Qualcosa cambia, poche parole, la velocità dei paragrafi, l’energia o la rabbia delle espressioni, o persino la mollezza e sensualità, e noi sappiamo sempre chi sta parlando. Sappiamo che Franzen ha abbassato la sua voce per parlare come Chip o Denise potrebbe fare, senza imitarli. Mai. Piuttosto, va in playback.

Ho parlato di noia, poco fa. E’ stato un errore, una confusione da parte mia, che scrivo sotto l’onda d’urto di un libro veramente sentito nelle interiora?

No, la noia c’è. Quando c’è da annoiare il lettore, Franzen non si tira indietro. Gary e Denise partecipano ad una conferenza di lancio di un prodotto che potrebbe rivoluzionare le cure dell’Alzheimer. I relatori, interessanti “caricature” di venditori della razza degli squali, camuffati da benefattori dell’umanità, si lanciano in lunghe, articolate spiegazioni tecniche sul funzionamento di certe sostanze nella chimica del cervello. Se non si è particolarmente colpiti dall’argomento, o non si è tecnici del settore, si rischia lo svenimento per noia, com’è capitato a me. Ma non è quella noia che mi ha spinto, com’è capitato in altri casi, ad addormentarmi sul libro e a catalogarlo come “insufficiente”. E’ quel sentimento strano, tinto, che ti spinge a dire: ok, ok, bello tutto questo, ma cosa c’è dopo? Cosa farete, dopo?

E Franzen non si fa pregare, a dirci cosa c’è dopo. Magari pagine e pagine più avanti… ma non manca mai il suo appuntamento con il lettore. Lui non abbandona mai la scena. Prima, deve raccontarci minuziosamente cosa stanno pensando e in quale modo stanno pensando i personaggi da cui ci ha portato, ci deve far capire altre cose, altre sfumature, altri eventi… ed eccolo accelerare improvvisamente, alzare il tono della conversazione, piantare gli occhi dentro l’anima del prossimo personaggio che entra in scena, per poi guardare verso di noi con un sorriso, come a dire: tu sai cosa voglio dire, in realtà, vero? Perché lui sa che abbiamo detto, pensato, provato, urlato, pianto, riso, preso decisioni, schiantato cuori e anime (a partire dai nostri) esattamente nello stesso modo.

E le correzioni? Cosa vuol dire questo titolo da calvinisti, da fervore religioso autopunitivo per essere degni di Qualcuno o Qualcosa?


Franzen sorride solo. Qui non risponde. Sa benissimo che, leggendo il libro, potremo dare noi una definizione de Le correzioni. E ognuna di queste sarà altrettanto valida delle altre. 

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