Le ferie sono finite e torno al passatempo preferito: leggo,
rileggo, mugugno… e poi ti coinvolgo.
1: perché sei in parte colpevole, nel losco ruolo di
spacciatri… ehm, amica che presta amabilmente parecchio materiale cartaceo.
2: leggere è cosa buona e giusta, ma lo spasso raddoppia con
la fase commento.
Piccola carrellata di titoli:
Claude Izner, La donna del Père-Lachaise. Titolo cimiteriale
affascinante, con accenno a promettenti risvolti esoterici… libro noioso (a
parte il fatto che è il secondo volume di una serie, grrr).
Alessandra D'Antonio, Una lunga notte. Dei due racconti, ho
letto solo il primo: troppo corto. Poi rettifico: no, troppo spietato e troppo
“sudico” (poi ti spiego).
Paolo Trombaccia Errico, Nei suoi occhi per sempre. Noioso e
melenso perfino per me.
De vulgari cazzimma. Sì, strappa qualche sorriso, ma...
Ti ho sentito, sai! “Benedetta donna, hai problemi con le
rane: perché insisti?” Hai mai assaggiato le rane impanate e fritte? Be’, io
non sono tipo da esperimenti culinari (il cibo mi serve per stare in piedi,
sono golosa solo di pizza e dolciumi - e neanche tutti), ma una bella frittura
di rane…
Seriamente. La tradizione francese, anche sotto forma di
serie televisive, vanta gialli di tutto rispetto. E poi cerco di non avere
pregiudizi. Il titolo e la quarta di copertina promettono bene; mi ha attirato
anche il fatto che Izner è lo pseudonimo di due sorelle. Ci ho provato e non
funziona. Amen.
Avevo anche già preventivato un dettaglio: la possibilità di
sparare spore!
Adesso il discorso diventa più tortuoso. Negli altri libri
ci sono diversi elementi di disturbo, che si sovrappongono.
Conosci il De vulgari cazzimma. Simpatico, sì. Peccato che,
per quanto bastardella-inside (ringrazio Cati per l’epiteto affettuoso), la bastardaggine
fine a stessa scatena il mio Attila. Posso capire chi agisce per ottenere
qualcosa, ma una cazzimmata (sic!) per il puro gusto della cazzimmata mi fa
entrare in fase sfere rotanti. Ti lascio immaginare com’ero a fine lettura…
E con le mie origini variegate, non amo un certo tipo di
mentalità “sudica” (contrario di nordica). Ogni volta che penso alle mie
parenti, la voce di un lontano zio riecheggia: “tu, donna, devi stare al tuo
posto”. Angelo del focolare. Casa e figli. Mutismo e rassegnazione. Per
qualcuna funziona ancora così. Argh! No, no, no, meglio evitare.
“Una lunga notte” è un libro piccolo, ma tosto. A prima
vista il problema principale è la forma narrativa. Non stravedo per i racconti,
mi servono soprattutto durante il gran tour delle ASL.
In questo caso la trama, con la sua ambientazione, incide:
Napoli, malavita, nessuna speranza di riscatto. Mi arrivavano folate di aria
arroventata e puzzolente, lezzo di paura, sogni infranti e disperazione. Non
c’è lieto fine qua. Addio funzione catartica.
Quest’opera scaraventa il lettore in un altro mondo, anzi,
un’altra realtà. È un libro malato, specchio di una realtà putrefatta e
fatiscente; se posso, preferisco evitarla.
Sì, Loredana, forse mi avevi avvisato: guarda che è
indigesto.
Lo è davvero.
Il problema è mio. È giusto che esistano libri così. Perché
la vita e l’essere umano sono anche questo. Ma vivo già tutti i giorni
situazioni complicate e ho un’esigenza: il libro è svago, deve distrarmi e
portarmi fuori da una vita già malaticcia.
Bene, ho già fatto abbastanza confusione; qualcosa da
aggiungere?
… giusto un paio di cose. :-)
Partendo dalle rane. Ehm, no, mai assaggiato una rana, in
qualunque ricetta. A parte la mia recente e bizzarra svolta vegetariana (tutto
mi aspettavo, tranne di smettere davvero di mangiare carne, per cui non ho mai
stravisto in ogni caso), non riesco a concepire la rana come un animale da
mangiare. Non per questioni di criminalità, come sostengono le frange
vegetariane più militanti, ma proprio perché esistono cose che per la mia mente
sono non-negoziabili e non accettabili. Sarei più disposta a credere, senza
dimostrazione scientifica, che la terra è piatta, con buona pace di Galileo.
Dirigendoci verso il campo delle rane “letterarie”, mi è
anche più chiaro perché le leggi così volentieri. Come farebbe un’Amanita,
senza spore? Un’altra cosa che non esiste in Natura. :-)
Per la carrellata, su alcune cose sono d’accordo, per altre
un po’ meno. La mentalità del Sud si vede bene nei romanzi e racconti ambientati
a Napoli. In almeno uno dei racconti vedo un raggio esiguo di luce, con il
piccolo Angelo e la sua alzata d’ingegno. Non sono certo sufficienti a
dissipare il buio e la pesantezza della cappa in cui la città si è lasciata
rinchiudere. Se questa cappa un giorno si distruggerà, apparirà il gioiello
splendente che c’è al di sotto. E manderà una luce straordinaria intorno; ora è
sepolto troppo in profondità, sotto cumuli di immondizia di tutti i tipi. E non
parlo solo di quella fisica.
Il De Vulgari Cazzimma non è pensato per far ridere di
felicità. È la risata tinta di cattiveria e di sarcasmo, tipica dei generi “misti”…
quelle frecciate più o meno cattive, che però sono espresse talmente in modo
originale e colorito, da muovere al sorriso o alla risata. Non è però un
apprezzamento, la cazzimma. Termine tipico della zona di cui sopra, che è così
mista. Pulcinella non è una maschera spensierata, del resto.
Per quanto riguarda la mentalità “sudica” che hai descritto
così bene, fino a poco fa mi provocava lo stesso effetto che deve sentire il
toro infilato di banderillas che si vede sventolare il panno rosso davanti. Ora
riconosco che è… finita. Volenti o nolenti, qualcosa è cambiato in generale,
per quanto ci siano ancora persone che credono e incarnano questo atteggiamento
chiuso. Non sanno ancora che “chiuso” qui significa anche “finito”. Ci vorrà
ancora tempo, non è certo né immediato né facile, il tutto. A partire dalle
stesse donne, che non si riconosceranno più nelle parole “mutismo e
rassegnazione”.
In conclusione, mi sembra di averti destabilizzato con le
mie ultime dosi. Non sono libri divertenti o particolarmente leggeri, è vero. Qualche
tempo fa li avrei considerati un po’ depressivi. Ora li considero… tinti,
misti, sul filo, sul confine. Rispecchiano una curiosità verso le emozioni e i
sentimenti meno nobili e quelli più difficili da distinguere, perché non sono
netti. Avevo bisogno di mettermi alla prova portando fuori la difficoltà di
emozioni e sentimenti che sentivo io, dentro. E allora ho usato i libri come
terapia. Mi sono fatta spiegare da alcuni di loro perché mi capitava di pensare
o di reagire in modo così bizzarro di fronte a tante situazioni in cui mi sono
trovata dentro. E ho applicato l’unica medicina al mondo che non ha
controindicazioni, si può assumere in piccolissime o grandissime quantità, non
è eccessivamente costosa e può occupare scaffali interi o lo spazio ridotto di
un tablet.
Quella cura è finita, e posso dire che… ha funzionato!
Direi che per te hanno avuto funzione catartica.
RispondiEliminaIo ho sparato spore.
Sono stati utili :-D!
Hai scovato un’altra immagine interessante; più che un’amanita, così mi “sento” molto zia Jane… sensazione decisamente piacevole.
Sì, sicuramente hanno avuto la loro utilità. :-D
EliminaL'ho trovata in Rete, ma quando ho cercato un autore e un titolo, non ne sono venuta a capo. E' stata usata in connessione con Darcy ed Elizabeth, per cui è un'illustrazione molto "Jansenite". E' la prima cosa che ho pensato io, guardando le due ragazze. Molto sorelle Austen, sì.
Dimenticato un pezzo: “sudico” non è un mio neologismo. È di Mia Euridice, blog “la favola di Orfeo”.
RispondiEliminaNeologismo interessante. Sudico mi ha fatto pensare subito al sudore, più che altro... è il caldo! :-D
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