Un post che si potrebbe intitolare anche Storia della
Lettrice Orfana (oltre a Furiosa). E’ la sensazione molto comune che afferra
tutti i lettori che chiudono libri che hanno saputo trascinarli a vivere con
loro e dentro di loro fin dalla prima parola.
Storia (anche) di una Promessa Mantenuta, visto che in quest’estate
appena passata mi ero ripromessa di finire alcune collezioni di libri iniziate,
tra trilogie e tetralogie varie, qualche mese prima, e almeno per una di quelle
è stato così.
Non saprei dire cosa mi ha spinto di nuovo verso Elena
Ferrante, dopo i mesi passati dal primo libro letto, L’amica geniale, a parte
questa promessa. So che, dopo aver preso Storia del nuovo cognome, ho dovuto
prendere gli altri due in sequenza, un giorno dopo l’altro, per poter arrivare
a mettere una parola fine, pur se molto a malincuore. Conoscete tutti quella
sensazione del libro che vi chiama perentorio, anche se dovete leggerne altri
otto urgenti, lavorare, e occuparvi di altre cose in ordine sparso, per cui non
starò a dilungarmi oltre.
Con l’amica geniale, Elena Ferrante ci presenta due amiche,
Lenù e Lila, sullo sfondo di un rione turbolento di Napoli, negli anni ’50. In
Storia del nuovo cognome, le due ragazze sono adolescenti e avviate ciascuna
verso le proprie esperienze e scoperte.
Cominciano a delinearsi i cammini che
entrambe prenderanno, i loro caratteri si formano, si modellano, si spezzano e
si ricompongono in un gioco ciclico che non ha mai fine. Lila si sposa
sedicenne, con un ragazzo poco più grande di lei, commerciante avviato, ombroso
e devoto a questa moglie bizzarra, questa dea furiosa che si costringe a vivere
come una mortale. Lenù prosegue gli studi, s’innamora del ragazzo sbagliato,
Nino Sarratore, inaugurando un rapporto stillicidio che le peserà addosso fino
all’età matura.
In Storia di chi fugge e di chi resta, Lenù si laurea alla
Scuola Normale di Pisa, diventa scrittrice di successo, mentre Lila affronta al
rione tutte le conseguenze di aver compiuto scelte pesantissime e
controcorrente, nel pieno degli anni Settanta italiani, pieni di contestazioni,
guerre intestine, ribellioni, insofferenze, quando la violenza s’insinuava fin
troppo facilmente in alcuni ambiti politici un po’ troppo condiscendenti.
Nell’ultimo, Storia della bambina perduta, ci aspetteremmo
di trovare una sorta di bilancio e di resoconto di due vite straordinarie e
intensissime. Lenù si è sposata, ha avuto tre figlie da due uomini diversi, di
cui uno è la sua nemesi Nino Sarratore, Lila ha avuto due figli, ha distrutto e
ricostruito la sua vita e quella di chi le sta intorno decine e decine di
volte. Il finale, e soprattutto l’epilogo, rovesciano l’atmosfera da resoconto
che il romanzo stava assumendo. Le due protagoniste sono sessantenni, entrambe
con molta vita e molti, troppi avvenimenti alle spalle, sono stanche, sentono
qualcosa che sfugge, oltre ai giorni. La stanchezza che minaccia di spegnerle
entrambe, in un “e continuarono a vivere, se non felici e contenti, almeno
provandoci”, sparisce di fronte ad un pacco arrivato inatteso a Lenù, la famosa
scrittrice Elena Greco.
Non vado oltre, perché il contenuto del pacco rimescola le
carte riconnettendosi alle prime pagine dell’Amica Geniale.
Non accenno nulla agli eventi e a tutti gli intrecci di
relazione tra i personaggi, che sono veramente tanti, estesi e complessi. Alcuni
di questi cambiano nel giro di poche righe.
Il rapporto tra queste due amiche geniali è il vero e unico
perno di questa tetralogia, anche quando sembra che lo scritto si concentri
solo su una. Per gran parte de Storia del nuovo cognome, Lenù sparisce sullo
sfondo, raccontando del rapporto perverso di Lila con suo marito e il rione in
cui lei volontariamente si è andata a rinchiudere, per un voto accettato
(inconsapevolmente, tant’è che la stessa scrittrice non lo sa) e portato avanti
da bambina. È il momento in cui Lila brilla più forte e più splendida. Acceca
tutti con la luce della sua intelligenza e della sua creatività che rifiutano
di farsi ricacciare in un’esistenza piatta, solo dedicata alla famiglia e tre
passi dietro a un uomo che non può capire la potenza d’Anima che ha accanto. Tuttavia,
il vero nemico di Lila non è il rione con i suoi equilibri di convenzioni non
scritte e accettate, di tradizioni maschiliste e di volontà di immobilismo.
È la
sua Anima ribelle, selvaggia che dilaga e straripa, abbattendo gli argini che
lei stessa s’impone, abbattendo gli argini di una società ancora tribale che la
vorrebbero stretta in rituali ormai fuori dal tempo.
Lila abbatte tutti i tabù, tutti i tentativi di stringerla
in uno stampo che non è suo. E pagherà anche il prezzo per tutte le rotture
effettuate per poter vivere come desidera davvero.
Lenù diventa parte del sistema, assiste compiaciuta alla
trasformazione della propria vita di ragazzina di un rione malfamato della
città più tormentata e contraddittoria d’Italia in scrittrice colta, affermata,
capace, brillante, moglie di un intellettuale apprezzato e di famiglia potente.
Paga anche lei un prezzo feroce, per aver voluto cambiare tutto di sé,
sottoponendosi a scontri umilianti, a infiniti esilii da amicizie e circoli
affermati.
Tuttavia, sono due vincenti. Pur se colpite da perdite
copiose, coperte di fango d’umiliazione, sono due dee che vincono. Ciascuna è
rimasta fedele a se stessa, onorando anche un’amicizia difficile, che si è
opacizzata molte volte, rischiando di spezzarsi altrettante, e che ha procurato
non pochi fastidi e imbarazzi a entrambe. Nessuna delle due, però, si è
lasciata schiacciare a lungo dai propri risentimenti o dalle manovre di
pesantezza altrui: si sono realizzate a prescindere dall’entità dei conti in
banca o dalle metrature delle abitazioni.
Lo stile di Elena Ferrante non è mai venuto meno all’intensità
dei sentimenti e alla complessità dei pensieri e delle situazioni che le due
amiche si trovavano ad affrontare. Qualche volta ho avuto l’impressione che
fosse difficile esprimere in parole tutti i colori e i fuochi delle emozioni
che agitavano le due donne, e che la stessa autrice stornasse il viso, o
sorvolasse come se facesse male.
Non poche volte sono rimasta colpita dalla saggezza cruda e
brusca con cui sottolinea il lato difficile e contraddittorio del rapporto tra
uomo e donna costretto a seguire l’antica e abusata regola che l’uomo comanda e
la donna obbedisce.
In un’occasione ho ammirato il coraggio di aprire uno
spiraglio su un nuovo modo di intendere il rapporto, ma dal lato maschile.
Elena Ferrante ha un’insospettata capacità di capire e rappresentare l’animo
maschile. Sembra che lo capisca e lo compatisca, essendo l’unica a vedere e a
rendersi conto di quanto sia schiacciato in una morsa di regole barbariche da
cui non riesce a liberarsi.
E questo me l’ha fatta amare maggiormente. Non condanna
solo, ma nel peggiore dei suoi personaggi maschili riesce a inserire una
scintilla di consapevolezza che dura molto poco, schiacciata com’è dalla patina
malavitosa di quell’anima, per far comprendere che niente, davvero, è mai come
sembra o come viene presentato.
Intenso, ben scritto, splendido sfondo napoletano, insomma: letteralmente "divorati" tutti e quattro, anche se l'ultimo è un po' lento.
RispondiEliminaVero, concordo. Una volta iniziato uno, non ho potuto fare a meno di leggere tutti gli altri, e gli altri tre in una botta sola. L'ultimo è più lento degli altri... forse la decadenza ha altri tempi, ed è anche vero che avevo l'impressione che l'autrice non volesse far finire subito l'intero rapporto che ormai si era stabilito con Lila e Lenù.
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