Quello che mi colpisce delle parole di Mineko, è l’enorme
importanza dei simboli, dei gesti, dei riti, che diventano davvero carne, e che
sono rispettati profondamente. I rapporti tra le persone non sono molto
spontanei: anche quando è bambina, Mineko impara a rivolgersi con rispetto,
mortificando i lati più grezzi e subitanei del proprio carattere, per onorare e
ringraziare i suoi maestri, e le persone che si occupano dei suoi abiti, del suo
vitto, permettendole di esprimere il suo talento di danzatrice. Tutti coloro
che vivono nel quartiere di Gion Kobu, vivono e lavorano solo in funzione della
propria missione: raggiungere ed esprimere la perfezione. Le domestiche lavano,
puliscono e purificano ogni punto della casa, come se ne andasse della propria
vita. E quando non svolgono i loro incarichi al massimo, sono travolte dalla
vergogna dei criminali. Ogni movimento della geiko e della maiko è fortemente
ritualizzato, codificato. Se qualcosa non è sistemato bene, se non viene
eseguito con il giusto movimento e la giusta grazia, la stonatura che ne deriva
si ripercuote sull’artista, ma anche su chi l’ha aiutata, formata e addestrata.
C’è un passo particolare che mi è
rimasto impresso, ed è il modo in cui si deve entrare in una stanza: “Ecco come dovevamo aprire i fusuma ed entrare
nella stanza. Bisognava sedersi di fronte alla porta poggiando le natiche sui
talloni, portando la mano destra all’altezza del petto e mettere le dita con il
palmo aperto sul telaio della porta o nell’incavo, se ce n’era uno. Si doveva
spingere la porta di pochi centimetri, facendo attenzione a non portare la mano
al di sotto del busto. Poi bisognava sollevare la mano sinistra dal grembo e
portarla all’altezza della destra. Continuare poggiando, con gentilezza, la
mano destra sulla parte inferiore del polso sinistro, discostare lievemente la
porta con il corpo, creando un’apertura grande abbastanza per passare. Quindi alzarsi
in piedi ed entrare nella stanza. Girarsi su se stesse e sedere di fronte alla
porta aperta. Usare le dita della mano destra per chiudere la porta appena
oltre la linea mediana, quindi usando la sinistra e aiutandosi anche con la destra, chiuderla
completamente. Alzarsi, girarsi, e andarsi a sedere davanti all’insegnante….”
(Mineko Iwasaki con Rande Brown, Storia proibita di una geisha, pagg.93-94) E questo è solo il modo per aprire una porta. Possiamo
immaginare altri movimenti come danzare, parlare, ridere, muoversi, usare il
ventaglio, che costituisce un mondo a parte nella galassia “geiko-maiko”.
Apparentemente queste donne sono bambole dipinte, ad altezza naturale, dai
movimenti piccoli e aggraziati. In realtà, sono carne e ossa intessute di
acciaio e fuoco, spinte da una determinazione senza fondo, un senso di missione
totale, e una capacità pressoché illimitata di recuperare dalle delusioni e dai
problemi. Subiscono un addestramento che le forgia in ogni aspetto del
carattere, quasi meglio dei soldati di qualunque esercito, e in più sorridono e
sono eleganti. Ecco il potere delle donne.
Già. Un addestramento marziale.
RispondiEliminaL’attenzione maniacale ed ossessiva fin dai dettagli.
È dallo scorso post che cerco di ripescare dalla memoria un particolare, anche legato al libro di cui ti ho parlato.
Sono andata a cercare, perché non riuscivo a metterlo a fuoco.
È appena un commento dell’autrice: ha trovato maggiore disponibilità a chiacchierare con le geishe più anziane, ormai “in pensione”. I riflettori non sono più puntati su di loro e si “lasciano andare” più facilmente ai ricordi e perfino ai commenti.
Ho in mente un paragone buffo: mi è capitato qualcosa del genere con parecchie suore. Le più anziane, ormai non più attive in parrocchie, comunità, ospedali o qualunque altra mansione, accantonano silenzio ed obbedienza per raccontare la loro esperienza. Ogni volta mi viene in mente quel film con Audrey Hepburn: “Storia di una monaca”. Un addestramento marziale…
E sono sicuramente tesori d'esperienza...soprattutto quando si vivono vite così piene di emozioni, stress, avvenimenti. Prima o poi si sente il desiderio di far conoscere cosa c'è dietro l'impegno profuso vestiti di un kimono, o di una divisa, di condividere con gli altri tutto il percorso fatto.
EliminaE'proprio vero, le geishe sembrano delle bamboline, ed invece se si scava nella loro storia ci sono anni e anni di sacrifici morali e corporali ( come ad esempio il fasciare i piedi stretti da bambine ,per non farli crescere eccessivamente e per permettere loro la tipica camminata )e di studi. Tutt'ora in Giappone esistono scuole e luoghi precisi di incontro.Oggi a differenza del passato il loro "lavoro" viene retribuito molto profumatamente...
RispondiEliminaCredo che fasciassero soprattutto i piedi delle bimbe nobili (e in Cina), perché tanto non avrebbero mai avuto bisogno di camminare da sole. Ci sarebbero sempre stati stuoli di servitori pronti a portarle dappertutto. Trascurando il fatto che queste povere donne soffrivano di dolori lancinanti da bambine e non sapevano praticamente stare in piedi da grandi. Che atrocità.
EliminaSembra che le geishe più abili siano pagate bene, oggi, ma sono molte di meno del passato, e non sempre i compensi ripagano i sacrifici per diventare un'artista. Stavo giusto leggendo un libro sulla condizione delle geishe moderne.