Dopo il dolore tra le spine della settimana scorsa,
l’ostrica di questa sera, per WeekendOut,
ha rilasciato una perla dolce e complessa, facendoci ritornare di nuovo sul
litorale campano, dopo averci portato in Argentina.
Parliamo di Francesca e Nunziata, romanzo d’esordio
di Maria Orsini Natale, ambientato
tra Amalfi e Napoli, nello spazio di circa un secolo, tra la fine del XIX
secolo, e il 1940. E’ il grande arazzo della vita di una famiglia di pastai, di
Zì Peppe della cascata, ad Amalfi, il cui capostipite è un uomo appassionato
del suo lavoro, che per lui è un’arte, quella di creare la pasta.
Il libro si apre con la nascita di Francesca, il 6 gennaio
1849, una delle prime nipoti del pastaio. Si comprende subito che il romanzo,
per quanto narrato in terza persona, viene visto tramite gli occhi e lo spirito
di questa bambina, che seguiamo mentre diventa donna. Arriva in un famiglia a
forte maggioranza femminile; il pastaio ha moglie e sette figlie, tra cui la
madre di Francesca, che ancora non è sposata: il fidanzato padre è Salvatore,
un marinaio sempre in navigazione, ma senza la proverbiale superficialità della
categoria. Torna sempre dalla sua donna, la madre di Francesca, e quando lo
giudica opportuno, chiude con le malie del mare per affondare le radici nel
luogo dove si crea la pasta molto apprezzata di Zì Peppe, per aiutarlo ad
espandere la sua attività.
I maccheroni e i vermicelli di Zì Peppe sono molto
apprezzati, arrivano alle alte sfere del Regno di Napoli, persino sulla tavola
di Re Ferdinando. Arrivano proposte interessanti di accordi e di collaborazioni
da parte di alti ufficiali, che aiutano il pastaio a trasferirsi da Amalfi a
Napoli per ingrandire la sua bottega; in questo modo, aumentano i clienti, i
traffici, il denaro. Francesca spicca subito nella schiera di donne che
attorniano il pastaio, che nel libro è sempre chiamato il nonno e raramente per
nome, perché è quella che coglie la sua sensibilità e il suo amore per
quell’alimento così semplice e nutriente come la pasta. Nonno e nipote sono
come Santa Lucia e Sant’Aniello, negli scherzi del parentado.
Il tempo passa, cambia tutta la situazione economica e
politica della futura nazionale italiana, e così crescono le fortune della
famiglia di pastai, che con Francesca e sua figlia Nunziata, s’intrecciano alla
stessa storia italiana, in un crescendo anche di colpi di scena e cambiamenti.
Non è il solito libro sulla storia di una dinastia
famigliare, che dalla sua semplice attività artigiana riesce a costruire un
impero, tramite alleanze, matrimoni, azioni più o meno azzardate, vincenti o
coraggiose. È un libro d’amore. E non è un libro “maschile”. All’inizio, la
presenza di questo nonno è prepotente, oscura tutto il resto. E’ circondato di
donne, ma è lui che agisce, decide, crea, lotta. Piano piano,
impercettibilmente, quasi, la sua presenza viene rimpiazzata da quella
altrettanto splendente e totalizzante, della sua nipote preferita, Francesca.
Assistiamo allo splendore del pastificio “Francesca Montorsi
e Figli”, curato e costruito dalla grande sensibilità della matriarca per le
condizioni migliori per fare la pasta. Il suo nome risuona dappertutto, tutti
conoscono la sua figura statuaria, il suo rigore e la sua competenza, i suoi
cappelli all’ultima moda, il suo gusto. Presto, allo stesso modo di soppiatto,
arriveremo a conoscere Nunziata, figlia adottiva entrata nella famiglia per un
ex voto, una promessa alla divinità.
Nunziata non è uscita dal corpo di Francesca, ma ne è l’esatta
replica, nel rigore da lavoratrice instancabile, nella competenza seppur priva
di magia della madre nel fare la pasta, nell’amore verso gli uomini meno
indicati, e nel riparare ai torti, aspettando pazienti l’occasione giusta,
spesso per anni lunghi e vuoti.
Dicevo che si tratta di un libro d’amore. Amore per la
pasta, che nelle mani di un uomo innamorato diventa arte pura, dolce, vita
pulsante. E’ innamorato di acqua e farina, che combina per fare i suoi
maccheroni irresistibili, innamorato di sua moglie e della sua famiglia tutta,
innamorato delle cose fatte bene, per l’amore di farle bene. Non è nemmeno un
amore che si esprime facilmente, il carattere del pastaio è forte, impetuoso,
prende fuoco facilmente. Lo stile stesso della scrittrice è tutt’altro che
facile: usa spesso termini aulici, le sue metafore sono ardite, ma s’impastano,
è il caso di dirlo, con la forza espressiva impetuosa del dialetto.
E’ l’amore di Francesca e Nunziata, per i loro uomini,
sempre diversi passi indietro rispetto a loro, per quanto la società voglia il
contrario. E’ l’amore di due donne per un lavoro per cui sono nate, hanno
fiuto, accoglienza e competenza, e che riescono a mantenere alto, nonostante il
progresso delle macchine che avanzano, scelte politiche contrarie, scelte
personali azzardate e talvolta sbagliate.
Sono donne di successo, grazie al fatto di essere donne e di
essere rimaste tali, senza copiare o scimmiottare gli uomini, che qui sono in
grado di fare poco, a parte qualcuno che mette il proprio ingegno al servizio
del bene comune.
Il mio consiglio? Leggete questo libro se volete sentire il
linguaggio dell’Amore. Lo sentirete ciascuno in modo diverso. Fate attenzione,
però. Questo non è un libro che si lascia riporre sullo scaffale senza farsi
sentire e desiderare. Diversi giorni dopo averlo finito, mi riecheggia ancora
in testa il ricordo della parlata forte e accorata di Francesca, e i brevi
discorsi dolci di Nunziata che, con la sua arrendevolezza e il suo silenzio,
riesce a smuovere plotoni di persone, fin troppo pronte a seguirla e ad
assecondarla.
Quando lo avrete finito, tenete uno spazio per rileggerlo, anche
solo qualche piccolo brano per volta. Vi aiuterà a non sentirvi più tanto soli.
sei veramente dispettosa!!!!
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