venerdì 5 dicembre 2014

Piccole e grandi scoperte#7 - Meglio un papà Più o un papà Come?

Oggi sono ritornata un po’ bambina e mi sono smarrita a leggere, dal mio solito fedele amico Il Libraio e da un articolo trovato su Repubblica, la recensione di questo piccolo e particola libro. Vi giro le mie ricerche.

Da Il libraio:
“Questo delicato albo illustrato racconta la storia di due bambini, nati in famiglie di diversa estrazione sociale, che confrontano e scoprono che i loro papà sono tipi molto diversi: uno possiede una macchina (con otto portiere) guidata da un autista, l'altro va al lavoro con due autisti e un'auto con così tante portiere che non le ha mai contate (la metropolitana). 
Uno ha enormi responsabilità e deve prendere importanti decisioni, l'altro ha nelle mani la vita di centinaia di persone ogni giorno (è infermiere). Uno possiede un giardino grande come un campo da calcio, l'altro frequenta il parco cittadino con lunghi viali e il laghetto con i cigni.

Dall'accostamento delle due vite diverse emerge però una verità comune: l'amicizia e il rispetto sono le cose più preziose!”


Dalla Repubblica:
“Edunque evviva Il mio papà : oggi al tema dei padri non si sfugge. Un tempo l'onnipresenza (e onnipotenza) materna li metteva sullo sfondo; ora emergono continuamente in primo piano, tra libri, dibattiti, film, serie tivù. Magari distinguendosi per moltiplicazione numerica (effetto delle famiglie allargate). O per inafferrabilità del ruolo. O per cangianti dinamiche coi figli. Se ne parla, se ne parla, se ne parla.
Dialogare con Il mio papà — titolo di un libricino acuto ed essenziale scritto da Stefano Mauri e illustrato con grazia meravigliosa da Costanza Prinetti — significa evocare il valore del bene comune.
Bianco e nero, povero e ricco, orgoglio e pregiudizi, fiducia e disinganno, politica della convivenza. Il mio papà confronta due piccoli amici con babbi diversi. L'uno ha forti responsabilità aziendali, l'altro ha in mano la vita di molte persone (fa l'infermiere). L'uno acquista biciclette a volontà, l'altro ne usa centinaia (grazie al bike sharing). L'uno possiede un parco di lusso, l'altro porta a giocare i suoi ragazzi in un giardino (pubblico) immenso e fiorito. L'uno va in vacanza alle Bahamas, l'altro viaggia a casa con la fantasia, leggendo storie avventurose.
Sintetizzato dalla prefazione di Gherardo Colombo, il senso del discorso sta nella differenza tra i papà Più e i papà Come. I Più pensano che amare i propri bambini sia dare loro le cose: tante, troppe. I Come credono invece che equivalga a dimostrare che ciascuno di noi è come gli altri, nel segno del reciproco rispetto. Se solo il mondo afferrasse l'importanza dei papà Come…”

lunedì 1 dicembre 2014

L'Amanita#47 - Alice nel Paese delle Meraviglie

Alice nel paese delle meraviglie

Lewis Carroll

Alice incanta non solo i più giovani ma anche gli adulti, che nel suo mondo meraviglioso scoprono un altro sé, pronto a sfidare ardui giochi linguistici, entusiasmanti trucchi psicologici, situazioni impossibili che mettono in discussione la realtà e svelano l’irresistibile fascino dell’assurdo. In un romanzo in cui la sospensione dell’incredulità è d’obbligo, il gusto del gioco non può essere dimenticato e va riscoperto con occhi che sappiano guardare al di là del consueto, perché qui è l’essenza della vita, e forse tra i sogni segreti di tanti c’è proprio la tana di un coniglio bianco in cui perdersi.


Ho sempre odiato questo libro.

Non mi piacque prima dei sei anni, quando che me lo lessero; sono una donna fortunata, già: chi legge qualcosa ad un bambino vale quanto un angelo che spalanca finestre su altri mondi.
Lo detestai al liceo, anche se non fu un’imposizione del programma scolastico e lo mollai senza rimpianti.
Lo so, non è un bell’esordio e chiedo scusa a chi ha tratto da Alice profondi insegnamenti. E se non fosse stato per il dottor “Bones” McCoy, non sarei andata a ripescarlo.

Cosa c’entra Star Trek?

A volte mi prende il famoso “s-ciupùn” e vado a ravanare tra i DVD della mia limitatissima videoteca (uno scaffale piccolo e corto). Ho scelto “telefilm a caso della prima serie ST” e tra questi c’è un episodio in cui McCoy ha un incontro ravvicinato con un grande coniglio bianco, che sembra uscito dal libro di Carroll.

E mi sono domandata – ahimé – il fatidico “ma perché?”.

Copio l’indice per chi, come me, ha rimosso la trama:

Nella tana del Coniglio. Un lago di lacrime. La Corsa Confusa e la storia con la coda lunga. Il Coniglio e la Lucertola. I consigli del Bruco. Pepe e Porcellino. Un tè da matti. il campo da croquet della Regina. La storia della Finta Tartaruga. La quadriglia delle Aragoste. Chi ha rubato le Paste? La testimonianza di Alice.

Continua a non interessarmi.

Eppure ha tutti gli elementi fantasiosi che di solito m’intrigano, non è scritto male ed offre molti spunti. La tana col tunnel strano, un mondo rovesciato, la semantica sconvolta, le leggi scombinate, l’apertura all’infinito…

Niente, non mi ha trascinato fra le sue pagine e non mi sono persa con Alice: ho attivato la SuperVicky per uscirne in fretta.

Nota positiva: ho ritrovato l’obliato Stregatto o Gatto del Cheshire, il suo sorriso alla Garfield – che è ancora motivo di scherzi fra me e Loredana – e la citazione del proverbio ripreso da T. S. Eliot e di conseguenza anche da A. Lloyd Webber (A cat may look at a king, che è all’inizio del musical: Can you look at a king?).

In compenso ho capito perché McCoy ha visto il Coniglio Bianco…
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