venerdì 31 agosto 2012

Vittima dei libri. E contenta di esserlo!

Giorni fa, su Facebook, ho visto questa immagine pubblicata in una pagina dedicata allo scambio di consigli di lettura. La frase mi ha fatto sorridere, oltre che annuire ad ogni parola. I libri sono davvero una droga in rilegatura pesante, che non fa correre rischi di overdose e che rende felici le sue “vittime”. All’antica, io ho parlato di “furore” di aver libri, dal titolo di quel testo del Settecento italiano che non smette mai di affascinarmi. E’ qui vicino a me sulla mia scrivania, tranquillo. Non mi ha ancora detto tutto, però, di quello che contiene. Non certo perché non si lasci aprire e leggere…ma c’è qualcosa di non detto, in questo libro, che mi spinge a cercarlo come se fosse l’oggetto di una caccia al tesoro. Forse è solo l’effetto della droga di libri che si rilascia nell’organismo. Quell’impulso a leggere scavando nelle frasi, quasi a cogliere quello che c’è sotto. Ogni tanto, quando chiudo un libro dopo averlo letto o anche solo per far riposare un po’ la vista (poco, non possiamo perder tanto tempo a far nulla, J), mi soffermo su una frase, una scena, un capitolo che ancora mi ballano in mente, chiedendo all’autore: cosa volevi davvero dire? Cosa ti ha spinto a scrivere così, di questo argomento? Faccio un “viaggio” anch’io, anche se con la mente, nel puro campo delle ipotesi più sparate, e senza l’effetto deleterio di sostanze estranee iniettate, sniffate, inghiottite.  Quanto mi piacerebbe che questo tipo di “droga”, fatta di rilegature di carta e cartone di forme e colori vari, che tengono insieme fogli scritti in tutte le lingue del mondo, venduta agli angoli delle strade, si diffondesse a macchia d’olio. Potremmo sentire parlare di grandi concentrazioni di “librina pura” consegnati, e non più sequestrati , dalle Forze dell’Ordine, a centinaia di giovani e non giovani che, sotto i loro effetti, diventerebbero più colti, più calmi, più sapienti, più riflessivi. Nessun rischio di overdose, nessuna degradazione fisica o spirituale, nessuna morte assurda. Utopia pura e anche spinta, vero? Non importa: non si può ancora dire se un giorno si avvererà o meno. Anche un Presidente nero alla Casa Bianca era pura fantascienza fino a qualche tempo fa...:-) 

domenica 12 agosto 2012

L’enigma della morte di Marylin Monroe – Una ricostruzione plausibile


Probabilmente perché gli autori sono docenti di materie scientifiche, lo stesso libro ha un approccio scientifico ma non freddo all’argomento. Mette in risalto alcune caratteristiche passate in secondo piano o completamente ignorate da altri giornali e scrittori che si sono occupati del misterioso decesso. Marilyn fu trovata morta nella sua villa di Los Angeles, che aveva acquistato mesi prima. Nel pavimento dell’ingresso, alcune mattonelle riportavano una citazione di San Paolo: “Cursum Perficio”, “ho terminato la mia corsa”, che suona piuttosto sinistro, come se fosse una premonizione  della fine del suo corso di vita. Leggendo anche le vicende di quei mesi, e la trascrizione di alcuni dei colloqui con uno dei suoi analisti, Marilyn stava finendo anche il corso stesso della sua analisi. Dopo essere stata in cura da diversi terapeuti, tra cui la stessa figlia di Sigmund Freud, l’attrice arriva alla conclusione di non averne più bisogno. Dopo mesi, anni, passati a scavare nelle lacune e nelle ferite della sua anima, a rivedere, rimescolare e a piangere sul rapporto nero con una madre inesistente e troppo lontana, a cercare di vivere nonostante tutte le angosce e le solitudini che questo le causava, Marilyn vede con lucidità che ha terminato. E non perché è guarita. Non si può andare oltre. Non si può risanare qualcosa che non è mai stato sano. E’ la conclusione che aleggia da alcune frasi dell’attrice, una consapevolezza lucida e sinistra che l’ha accolta e accompagnata fino alla morte. Se si segue questo filone di pensiero, è facile pensare che Marilyn davvero si sia suicidata perché sconvolta dal non poter più fare nulla per se stessa, e tutto questo avrebbe una sua logica. Eppure, gli autori mettono l’accento sulle mille stranezze della notte in cui l’attrice viene trovata morta.

mercoledì 8 agosto 2012

L’enigma della morte di Marilyn Monroe – 50 anni dopo, un’indagine scientifica


Cinquant’anni fa, e più precisamente il 4 agosto 1962, veniva ritrovata morta Marilyn Monroe, attrice americana dal fascino e dal richiamo planetari. Lei era la Donna, la Dea della Bellezza, il Fascino personificato. Io l’ho “conosciuta” parecchi anni più tardi, proprio attraverso la sua morte, avvenuta in circostanze mai chiarite del tutto, e circondata da misteri, voci incontrollate, insabbiamenti. Un anno dopo  sarebbe morto in un attentato John Fitzgerald Kennedy, strettamente collegato a lei, sia in vita sia in morte, e poco dopo ancora Bob Kennedy, il “fratellino” ministro del Presidente, anch’egli vicinissimo all’attrice. I casi di Marilyn Monroe e John Kennedy, oltre ad essere collegati per i fatti che crearono, continuano ad essere legati e a rivaleggiare quasi, tra di loro, per quanto riguarda il sospetto e la mistificazione che sorsero intorno ai loro decessi. Per quanto riguarda Marilyn, la polizia arrivò in fretta ad una conclusione e ad un’archiviazione: probabile suicidio. Del resto, era difficile escluderlo categoricamente dalla lista delle possibili opzioni. La vita di Marilyn era un cristallo: la facciata lucida e splendente, fatta di bellezza, desiderio, soldi e fama, stesa a coprire a malapena un’interiorità piena di incrinature, che crollava facilmente sotto la pressione di una piuma. Riviste di ogni tempo, libri, servizi televisivi hanno ripercorso tutti gli eventi di quei trentasei anni di vita, fatti di abbandoni, affidamenti a estranei, violenze, carriera cinematografica strepitosa e declino.

lunedì 6 agosto 2012

La mennulara – Verga sì, ma con un tocco di Cluedo…


L’annuncio mortuario, così com’è stato scritto nelle volontà imperiose della Mennulara, deve comparire su certi giornali, in certi spazi ben determinati, ed è cura degli Alfallipe fare in modo che questo avvenga. Questa disposizione non è molto gradita da quasi nessuno della famiglia; si sentono, quasi tutti, presi in giro e sminuiti da una semplice “criata” che non ha mai saputo veramente stare al suo posto in vita e che, nemmeno da morta, mostra di conoscere l’importanza delle gerarchie sociali! A parte la madre di famiglia, legatissima alla cameriera perché completamente dipendente da lei, gli altri membri Alfallipe sono inviperiti e feriti nell’orgoglio, per cui decidono di fare di testa loro, contravvenendo alle loro abitudini di ricchi svogliati e incuranti, e fanno uscire un annuncio mortuario modificato a loro gusto. Si sente una certa atmosfera tesa, sotto questa decisione, una certa paura superstiziosa dell’ignoto e di cosa potrebbe accadere, contravvenendo alle volontà della morta. Temono che possa addirittura tornare dall’aldilà a rimproverarli…e in un certo senso aspettavo anch’io un colpo di scena medianico (di nuovo i vampiri??) con un ritorno dall’oltretomba. La suspense è forte…ma nessun vampiro, revenant o non-morto. Non per diversi giorni, almeno, finché non arriva una serie di lettere, scritte dalla Mennulara, rivolte alla famiglia, con una serie di istruzioni precise. Il particolare che suona macabro da storia horror è il fatto che le lettere della scrivente (o meglio, di chi le ha scritte sotto sua dettatura) arrivano dopo la sua morte, ma poi l’oscura mano artigliata del buio dell’ignoto svanisce sotto la luce quasi accecante della consapevolezza della cameriera. E qui l'atmosfera si stempera un po' nel giallo-cluedo.

giovedì 2 agosto 2012

La mennulara – Giovanni Verga negli anni ‘60


Dopo streghe, vampiri, gatti tuttofare, draghi, si torna con i piedi per terra. E in una terra particolare, in Sicilia, negli anni ’60. Per essere precisi, il libro si apre il 25 settembre 1963, con un lutto: muore Rosalia Inzerillo, la Mennulara del titolo, cameriera della famiglia Alfallipe, notabili del paese di Roccacolomba. L’inizio è piuttosto lento, quasi sonnolento; il medico constata la morte della cameriera, avvenuta in un soffio, in silenzio. Dopo averla comunicata alle persone che lo attendono in anticamera, tutte animate da sentimenti diversi, prende avvio un romanzo-concerto fatto di mille voci. Ciascuna di esse “canta una strofa”, per proseguire la similitudine musicale, contribuendo a comporre la canzone della vita della Mennulara,  rimasta senza voce per intervento della Natura. Una delle rievocazioni della figura di questa donna controversa, in effetti, la ritrae bambina tredicenne mentre canta con voce forte e intonata, dedicandosi con ferocia a raccogliere mandorle. “Mennulara”, raccoglitrice di mandorle, è il soprannome che le è rimasto, da quella prima occupazione giovanile, cercata con furore per poter aiutare il magrissimo bilancio domestico, rimasto sulle spalle del padre a causa della malattia della madre.
La Mennulara rivive nei racconti di volta in volta astiosi, ammirati, invidiosi, sprezzanti delle persone del paese, a partire dai suoi stessi ex-padroni, la sua famiglia, i conoscenti. Si delinea un ritratto di donna forte, autoritaria, prepotente, impavida, in contro-tendenza con i suoi tempi, il suo sesso, il suo ruolo. Gli Alfallipe, i suoi padroni, sono i classici ricchi oziosi, preoccupati solo dei propri piaceri e di non essere infastiditi mentre li perseguono. Adorano la ricchezza, ma non se ne occupano, non la amministrano, perché lo lasciano fare agli altri, che possono sporcarsi mani e tempo facendolo.
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