Sembra una scelta modellata sui tempi attuali, che non hanno
niente o quasi di positivo o di incoraggiante. I libri, solitamente, svolgono
il ruolo di “incoraggiatori” al meglio, dato che aprono sempre la mente
spingendola a guardare e riflettere oltre la situazione del momento. Il titolo
mi ha colpito subito, perché ho sempre pensato che ottimismo e pessimismo
fossero caratteristiche intrinseche e quasi immutabili della persona, quasi
come il colore degli occhi o dei capelli. Nonostante si possa intervenire
abbastanza facilmente su questi, cambiandoli con lenti a contatto e tinture, è
difficile che occhi azzurri diventino verdi o neri nelle iridi, senza qualche intervento soprannaturale
o fantascientifico (tipo quello che capita nel film Face Off). O sei pessimista, o sei ottimista, ecco cos’ho sempre
pensato. In questo libro, però, la questione non è così bianco-nero,
luce-ombra. Esiste una tendenza a pensare positivamente o negativamente, nell’individuo,
determinandone così l’atteggiamento ottimista o pessimista, ma non si tratta di
nulla di immutabile o su cui non si possa intervenire. Infatti, il sottotitolo
è piuttosto chiaro, oltre che molto allettante:
Come cambiare la vita cambiando il
pensiero. A questo punto sono
decisamente affascinata e il libro mi riaccompagna a casa. E’ un libro intenso
sin dalle prime pagine: l’argomento è abbastanza complesso e l’approccio che sceglie
Martin Seligman è facile, ma non facilone; semplifica ma non sminuisce la
materia. Usa moltissimi esempi tratti dalla vita quotidiana, in cui ci troviamo
tutti, in ogni secondo del nostro tempo, ad ogni latitudine, con qualunque
temperatura e qualunque sia la lingua che usiamo per esprimerci. Il primo
aneddoto che usa per esemplificare i due modi principali per porsi nella vita
riguarda una giovane famiglia: padre, madre, bimba neonata. Il padre la guarda
orgoglioso e felice nella culla, la bimba si risveglia dal suo sonno, il
genitore le sorride e tenta di attrarre la sua attenzione chiamandola, non
ottenendo risposta. La chiama di nuovo, ma nessuna reazione dalla bimba, che ha
gli occhi aperti e si muove, ma non lo guarda. Il padre inizia ad angosciarsi.
Quasi di sicuro c’è qualcosa che non va. Batte le mani più forte per attirare l’attenzione
della bambina, ma ancora nulla. Ecco. Lo sapeva. La bambina è di sicuro sorda.
lunedì 30 aprile 2012
lunedì 16 aprile 2012
Tre atti due tempi – Un gioco pericoloso
Il protagonista che narra la vicenda è un magazziniere, padre di un calciatore giovane, ambizioso e sicura promessa, che sogna la serie A e una vita di soldi a pioggia e comodità infinite. Proprio inseguendo la sua ambizione, il giovane accetta di “vendere” la partita ad alcuni figuri poco chiari, che risulteranno poi avere collegamenti in alto, e in posti impensati. Il padre, soprannominato Silver, scopre quasi subito il gioco sporco, e ne rimane folgorato di dolore. E’ un personaggio, però, che è abituato a ricevere pugni in faccia e a contraccambiarli con forza, essendo stato un pugile in gamba in gioventù, passato attraverso gli stessi sogni di gloria e lo stesso contatto ruvido con la realtà fatta di scommesse truccate e soldi facili. Di fronte ad una situazione del genere, si può agire o subire. SIlver agisce, e lo fa in maniera creativa, astuta, cogliendo di sorpresa il lettore, che non si aspetta un guizzo brillante come quello, e lo stesso personaggio, che non si aspetta di trovare in se stesso un gusto per l’intrigo e la soluzione sottile, avendo sempre adoperato i pugni per sistemare i problemi. Tre quarti del libro è dedicato allo svolgersi di questa “risoluzione” al problema della partita truccata nel tentativo di sventare il crimine e di salvare l’”anima” (e soprattutto la fedina penale) del giovanotto ambizioso e impulsivo. Naturalmente, mi guardo bene dallo scendere nei particolari: è talmente ben congegnata e così poco prevedibile, che si può solamente assistere, facendo il tifo (siamo in tema) per Silver, e trattenendo il respiro ad ogni suo passo falso o esitazione. I colpi di scena sono finiti? Certo che no. Faletti non lascia riposare chi lo legge tanto facilmente, e non lo rassicura con un lieto fine completo. Anche solo una goccia d’amaro, ma questo arriva a intorbidare un angolo di tutta la fatica fatta per districarsi in una situazione complicata, criminosa e gigantesca. E’ quello che mi piace del modo di scrivere libri di Faletti: le situazioni possono anche essere al limite della fantasia più pura, ma hanno sempre spazio per i graffi degli artigli della realtà, per quanto più leggeri e meno sanguinari di quanto succede al di fuori dei libri.
domenica 1 aprile 2012
Tre Atti e due tempi - La bizzarria
Ecco un autore che per me è stata un’autentica sorpresa, e molto, molto piacevole. Giorgio Faletti era noto per i suoi personaggi comici che a lungo hanno animato Drive In. Dopo un lunghissimo periodo passato a prendersi cura di sé, si è proposto come scrittore con Io uccido. Ed è stato subito un successo planetario, con un susseguirsi di edizioni, commenti, recensioni entusiastiche, ecc. E una lunga serie di libri (che ho quasi tutti), uno più bello e ampio dell’altro. Credo di poter dire che Io uccido è quello che mi ha colpito di meno, se lo paragono ai suoi successivi. Adoro lo stile di Faletti. Asciutto, fino a diventare arido qualche volta. Non lascia mai indifferenti. I suoi titoli sono sempre molto particolari, mai banali. Ha un uso delle frasi e delle parole, combinandole insieme a formare metafore o espressioni di stati d’animo, che non si ritrova spesso. Qualche volta mi sono ritrovata a rileggere due volte la stessa frase, soprattutto quando parla di una sensazione, analizzando parola dopo parola, e ascoltando cosa evoca. Quasi sempre incontra una sensazione o un sentimento che ho provato anch’io nel corso dell’esistenza. Niente di vero tranne gli occhi, Fuori da un evidente destino, Appunti di un venditore di donne…non sono titoli semplici. Ci puoi anche scherzare sopra. Niente di vero tranne gli occhi? Si parla di un oculista? Fuori da un evidente destino: cosa? Chi? Da quando il destino è evidente e come fai a starne fuori? Appunti di un venditore di donne: per commettere crimini è necessario prendere appunti? O lasciarli? Ammetto, sono domande senza senso che mi sono fiorite dentro ogni volta che prendevo in mano il libro in questione e leggevo il titolo. Non era pensabile che lo rimettessi a posto, dimenticandomene. Dovevo scoprire ogni volta cosa si nascondeva dietro quell’indicazione così bizzarra. La prima associazione che mi viene in mente riguarda il primo incontro tra Alice e il coniglio bianco nel Paese delle Meraviglie. L’animaletto che corre e sbuffa dicendo che è tardi, terribilmente tardi. Come si fa a disinteressarsi? Bisogna scoprire perché è tardi e per cosa. Allo stesso modo, io mi comporto con i libri di Faletti. Devo capire dove portano. Anche Tre atti e due tempi non si sottrae a questa regola. All’inizio ho pensato ad un’opera teatrale. Sì, ma tre atti e due tempi. C’è qualcosa che non mi torna. Ho scoperto subito che l’argomento era ben lontano dai teatri,ma si situava sui campi di calcio in Italia di una cittadina all’interno della serie cadetta, la serie B. I tre atti e i due tempi, però, scandiscono una “tragedia” di cui sentiamo parlare praticamente da sempre, ovvero il calcio scommesse. Questa volta l’occhio narrante è dentro, molto dentro la vicenda, anche troppo per i suoi gusti.
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