martedì 26 novembre 2013

Ragazze mancine – Mondi paralleli finiscono per incontrarsi

Ho già detto in lungo e in largo, soprattutto su Facebook, che adoro i romanzi di Stefania Bertola, al punto che li collezionerò, non appena riparate le crepe del mio tavolino di lettura. Promessa pronunciata, e subito disattesa. Prima ancora di poter mettere mano ai danni del suddetto tavolino, sono tornata a casa con l’ultimo libro dell’autrice, uscito da pochissimo, Ragazze mancine. Devo smetterla di fare promesse da marinaio di questo genere. Tutti i marinai di tutte le Marine del mondo sono rigorosi mantenitori di parole date, in confronto alle mie esibizioni nel campo. Quando sono andata alla presentazione del libro, sabato 16 novembre scorso, nella libreria La casa dei libri di Rivalta, non credevo di battere il mio record di promessa-infranta. Così è capitato, tuttavia, e me ne sono fatta una ragione. L’aver infranto fioretto e dignità, tuttavia, mi ha regalato una lettura veloce e godibilissima, che mi ha fatto riflettere e piegare dalle risate. Ancora una volta, le donne sono al centro dell’attenzione della Bertola, sullo sfondo di Torino. Sono due, talmente diverse l’una dall’altra, da dubitare persino che appartengano alla stessa razza, e allo stesso sesso. Una è Adele Molteni, bella signora trentaduenne, appartenente alla Biella-bene. Laureata, colta, dedita a nutrire il proprio spirito di piaceri intellettuali come letture, visite alle mostre più disparate, senza un giorno di lavoro all’attivo, grazie al marito benestante, produttore di lane e cachemire pregiati. L’altra è Eva Fasano, giovanissima nullatenente con figlia gattonante a carico, continuamente in movimento, da un lavoro precario all’altro, per mantenere la sua piccola famigliola personale senza padre. E’ un acrobata del precariato, Eva, e non se ne dispiace un momento: afferra il lavoro dove lo trova, fosse anche per un giorno solo, e si specializza in riciclo delle cose usate e rifiutate dagli altri, che lei trasforma per sé e sua figlia. Come possono incontrarsi due donne del genere, che condividono solo l’appartenenza allo stesso sesso?

mercoledì 20 novembre 2013

La strada verso casa (e verso le polemiche) - Guest Post#2

Non solo è tempo di Guest Post, di hashtag nuovi coniati a manetta, ma anche di polemiche. Bizzarro: non capita mai di sentirne; la Rete è solitamente così pacata nell'espressione delle sue idee. ;-) In questo caso, sono scaturite dall'inizio del nuovo reality di Rai3, Masterpiece, iniziato domenica 17 novembre. Io ero molto curiosa di capire come avrebbero fatto a rendere la scrittura, con la sua natura concreta e complicata, in un format televisivo, fatto soprattutto di immagini, di azioni, e di parole che volano. Sono abbastanza perplessa, dopo la prima puntata, perché molte cose sono state lasciate un po' sospese e trascurate, almeno secondo il mio gusto personale. Nutrivo qualche aspettativa, che è stata disattesa, ma essendo una questione strettamente personale, ritengo che ci sia ampiamente spazio per migliorare. In ogni caso, non sono molto addentro nella politica della trasmissione, e non ne decido io il palinsesto. Sul blog Sangue d'Inchiostro, parlo un po' più diffusamente della natura dei miei dubbi.
Tanto per seguire il filone delle polemiche, ecco un'altra pietra dello scandalo: Fabio Volo. Leggendo qua e là, in diversi blog, viene giudicato anche piuttosto pesantemente, e di conseguenza chi lo legge. Una sorta di anticristo del mondo della scrittura, autore di libri risibili, inconsistenti, beniamino di lettori altrettanto risibili e inconsistenti. Specchio disastrato e causa deleteria del degrado della nostra scarsità intellettuale contemporanea. Davvero? Un uomo solo è in grado di causare/spiegare la cronica deficienza di lettura nel nostro paese? Dev'essere molto potente. Meglio farvi attenzione. A parte le mie considerazioni sarcastiche, come per molti altri autori crocifissi e osannati allo stesso tempo (i primi nomi che mi vengono in mente: Dan Brown e Federico Moccia), anche Fabio Volo rientra in quella categoria un po' in chiaroscuro, di persone che hanno qualcosa da esprimere, e lo fanno parallelamente al mestiere che fanno di solito. Fabio Volo non ha la coscienza etico-politica e le convinzioni granitiche di Dante Alighieri, non ha l'immaginazione condita di umorismo di Ariosto, non ha il cuore poetico di Leopardi, non ha la veemenza frangiregole di Marinetti, o la capacità critica di Benedetto Croce. Sono più che d'accordo. Vogliamo crocifiggerlo, per questo? Volontariamente, non mi accosterei ai suoi libri. Come sanno i lettori compulsivi, furiosi, o semplicemente incalliti, "sento" se un autore fa per me, o no. Mi sono trovata in casa un paio di libri di Volo, perché mi sono stati regalati. Non mi sono trasformata in Hulk, e nemmeno ho subito mutazioni genetiche. Li ho letti, riposti negli scaffali, e...dimenticati. Semplicemente, Fabio Volo non  fa per me, poiché non è riuscito ad artigliare la mia attenzione sufficientemente a lungo da farmi pensare di aver bisogno delle sue parole. In libreria, oltrepasso tranquillamente le piramidi di Cheope costruite con i suoi libri, e mi dirigo verso gli scaffali in fondo, dove sicuramente trovo qualcosa che mi solletica. A schiere comprano i suoi libri, demolendo le suddette piramidi di carta scritta da lui? Bene. Io vado a scavare altrove. Sono responsabile della mia testa, del mio cuore e delle mie opinioni, e del cibo con cui decido di nutrirle. Ora chiudo con le mie sarcastiche considerazioni personali, e lascio la parola a Simona, che ha letto La strada verso casa di Fabio Volo, e ha alcune opinioni da esprimere.

"Ho finito di leggere l’ultimo libro di Fabio Volo e sono nel limbo dell’incertezza, un incrocio di due strade senza sapere quale è meglio percorrere: questo libro mi è piaciuto o non mi è piaciuto?
E’ un racconto che tieni incollati alle pagine per la smania di sapere come andrà a finire, quindi mi chiedo e mi dico: dovrebbe essere catalogato come un bel libro.
Non so rispondere a questo dubbio, posso dire che è un libro semplice, una lettura senza impegno per chi vuole passare qualche ora lontano dal mondo senza pensieri, ma è anche una lettura che può diventare impegnativa se ognuno ha voglia di soffermarsi su frasi che possono passare inosservate o se si ha la voglia di analizzare un po' più a fondo una “banale” storia di vita di due fratelli, che per tanto tempo non riescono a superare dolori e incomprensioni  incontrati sulla loro strada.
Spesso, leggendo, incontriamo riferimenti agli anni ’80 paragonati ai giorni attuali. Ed è proprio dietro a queste frasi che se vogliamo possiamo fermarci a riflettere, quasi a direi era meglio ieri o meglio oggi?
Si viveva meglio prima con la poca tecnologia, con le ricerche fatte con i compagni di scuola sulle enciclopedie, o meglio adesso che tutto è a una portata di click, tutta questa trasformazione come ci ha portati a essere e come ci ha trasformati nelle relazioni con chi ci sta a fianco?
Linguaggio non ricercato, descrizione di una vita come tante, evoluzione di un rapporto tra due fratelli dall’età adolescenziale all'età adulta con solide basi educative, l’affronto della ferita lasciata dalla sofferenza della perdita della mamma, fino alla libertà dell’anima per poter ricominciare a vivere.

Gli anni ottanta sembrava avessero spazzato via tutto questo, insieme alla cura del risparmio. Quello che guadagnavi spendevi, e se non bastava potevi fare un leasing. La vita non era più costruirsi un futuro ma comprare un biglietto della lotteria. Forse è stato in quegli anni che le parole hanno iniziato a perdere il loro significato, e diventare maschere senza dietro un volto. Tutto era accrescitivo e superlativo.


A voi la scelta …. Leggere per riflettere o leggere come passatempo non impegnativo ….. quasi quasi ricomincio a leggerlo.

venerdì 15 novembre 2013

Ne parliamo a cena – Diverse cene delle beffe.

Mentre mi accingevo a scrivere il post, mi è venuto in mente un altro hashtag: #svoltacena. E’ già il secondo libro che leggo, nel giro di pochissimi giorni, che ha come presenza fissa sullo sfondo una riunione di esseri umani intorno ad un tavolo per cenare e, soprattutto, parlare, parlare, parlare.  Non è molto lontano il post che ho dedicato alle cene con risoluzione-misteri incorporata, dei Vedovi Neri, e subito mi capita tra le mani un libro in cui le commensali sono tutte donne. Parlavo di raggiungimento dell’equilibrio, se non ricordo male...Stefania Bertola ha molto in comune con Alessandra Montrucchio, l’autrice precedente. Anche lei di Torino, anche lei traduttrice, e anche lei impiegata nel mondo dei media; a differenza della seconda, Stefania Bertola si dedica ai testi per la televisione. Se volete conoscerla, suggerisco l’intervista fattale dalla Lettrice Rampante, nel suo blog, e di recarvi a Rivalta, Sabato 16 Novembre, presso la Libreria Casa dei Libri (via Umberto I, n°4) per la presentazione del suo ultimo libro, Ragazze mancine. Al centro di questo libro, ci sono le donne. E non solo perché si parla di cena, cucina, cibo. Non è la solita associazione di idee: alcune delle protagoniste non amano cucinare e se ne tengono anche abbastanza lontano. Si tratta di cinque cugine: Costanza, Sofia, Bibi, Irene, Veronica, le colonne portanti della storia, intorno alle quali gravitano una serie di personaggi, come mariti, figli, ex-mariti, amici, amanti, amiche, ciascuno dotato di una vita piuttosto problematica. Una volta al mese, le cinque donne sviscerano i propri problemi confidandosi, prendendosi in giro, litigando, riappacificandosi, riunendosi a cena a casa di una di loro, scelta ogni volta dopo lunghi conciliaboli frettolosi al telefono, in una pausa caffè, in piena notte, all’uscita dal supermercato.

mercoledì 13 novembre 2013

Cardiofitness – Il benessere del cuore

Un titolo rilassante, dopo la #svoltahorror. Alessandra Montrucchio e il suo Cardiofitness, un raggio di sole riposante dopo atmosfere disturbanti e disturbate, piene di rabbia, tradimenti, squallore, orrori indicibili. Saprete di più sulle mie ultime letture, in apposita sede. Conoscevo da parecchio Alessandra Montrucchio, grazie alla sua rubrica su Torino Sette, inserto del venerdì de La Stampa, CattiveRagazze, che seguivo sempre quando acquistavo il giornale cartaceo. Con la presenza sempre più prevaricante di Internet nelle nostre vite offline, e con altre questioni più pressanti, ho finito per dimenticare quel momento di contemplazione, in cui mi immergevo nelle vicende tragicomiche delle tre amiche, la Bionda, la Rossa e la Bruna, alle prese con lavoro, uomini, parità, rapporti sociali. Quello che mi attraeva maggiormente era leggere del rapporto che l’autrice aveva con Torino, la stessa città in cui vivevo io. Le vie del centro, i negozi, i locali, le persone che potevamo aver visto o avere “in comune” (anche per semplice presenza) acquistavano un’altra luce e un altro significato, nelle sue parole. Mi faceva venire voglia di tornare in centro e dare un’occhiata a quel pub in cui la Bionda (o una delle altre amiche) ne aveva combinata una delle sue, a captare un segno, una presenza, un soffio di qualcosa di indefinito. Lo stesso desiderio che si è intrecciato alla voglia di leggere il suo pensiero in uno scritto più ampio di una rubrica, e alla curiosità stuzzicata pesantemente dalla sinossi letta in copertina: Stefania, ventiseienne laureata torinese, sulla soglia di un mondo lavorativo che non sa ancora se respingerla o meno, si innamora di Stefano, liceale quindicenne, a disagio con se stesso e i suoi coetanei troppo semplici, omologati, televisivi, sullo sfondo di una palestra piuttosto conosciuta. Ehm. Cosa? Una versione di Humbert al femminile?! Cos’è, una prova, un test su chi scardina il numero più alto di pregiudizi e taboo? Messi da parte questi risibili commenti pregiudiziali, mi sono disposta a leggere con grandissima curiosità. E ho trovato una storia completa. Divertente, surreale, comica, seria, problematica, fantasiosa, verosimile, poco credibile (e per questo contraddittoria), viva, irritante. Come sono spesso le vicende in cui incappiamo tutti i giorni, tra uno schermo di pc, la spesa, il parcheggio mancato, le corse per arrivare in tutti i posti. Il teatro del libro è soprattutto la palestra, dove Stefania e il suo gruppo compatto e corazzato di tre amiche, al punto da essere note come Charlie’s Angels, vanno a sfogare stress, delusioni e frustrazioni, insieme ad una schiera di personaggi molto reali, tirati di peso dai posti che frequentiamo anche noi.

lunedì 11 novembre 2013

A spasso nel tempo - I libri e i flashback

Tempo di guest post, quello presente. Dopo la mia amica Simona e la sua lettura de Il primo gesto, è la volta di Marzia che presenta una questione interessante: i libri ricchi di flashback, e di richiami al passato. Talmente ricchi, da rischiare di disorientare il lettore...come se l'autore fosse saltato sulla DeLorean modificata di Marty McFly, trascinando anche il lettore con sé, e gli facesse fare un giro completo nel tempo, su e giù, avanti e indietro per tutta la durata del libro. A me piacciono i flashback e non mi disturbano particolarmente, anche se qualcuno mi mette un po' alla prova, come Joel Dicker. Nel suo caso, la sua "guida" disinvolta nel tempo (dal 1975, epoca dei fatti al tempo presente, 2006-2008) avrebbe potuto rivaleggiare con quella professionale di Michael Schumacher. :-) Mentre attendo i vostri pareri sui libri che vi scarrozzano avanti e indietro lungo la durata temporale della loro esistenza, vogliamo leggere cosa ne pensa Marzia?
Eccola:

"Uccellino del paradiso – Joyce Carol Oates

Il giardino degli incontri segreti – Lucinda Riley

La biblioteca dei morti – Glenn Cooper

Il dono – Toni Morrison

La bambina senza cuore – Emanuela Valentini

Tre madri – Sonia Lambert

L’isola delle farfalle – Corina Bomann

La Verità sul caso Harry Quebert – Joel Dicker

La luce alla finestra – Lucinda Riley

La danza delle falene – Poppy Adams

Il segreto della bambina sulla scogliera – Lucinda Riley

Traducendo Hannah – Ronaldo Wrobel

La lettrice bugiarda – Brunonia Barry

Il giardino dei segreti – Kate Morton (che sto finendo, scagliando fulmini verso l’autrice)

Diciamo da giugno 2012 ad oggi – e non sono neanche tutti, né in ordine di lettura: ho “mollato” altri libri senza schedarli – mi sono imbattuta in una serie di storie simili a puzzle. L’elenco è parziale, ho rimosso altri titoli.

Il primo può essere piacevole; il secondo – magari se è passato un po’ di tempo dalla lettura del primo – “può anche andare”; uno dopo l’altro non mi sta più bene.

Chiedo scusa per lo sfogo, ma sono stanca di libri che devo scomporre e ricomporre. Se desidero un puzzle, compro un puzzle. Ad un libro chiedo una storia che svaghi Neurino-mio senza farlo rimbalzare come una pallina da flipper tra i ricordi o le vicende altrui.

Non amo le classificazioni, le etichette e tutta la suddivisione in sottogeneri che pare di moda oggi, però...
Cari scrittori (correttori, editori e chiunque si occupi della pubblicazione di un libro), vi prego di segnalare "nelle vostre creature” eventuali presenze di: flashback, ricostruzioni storiche, alternanze di presente e passato, flussi di coscienza di Joyciana memoria ecc.: per i prossimi mesi non desidero incappare in storie a strati."

venerdì 8 novembre 2013

Il primo gesto - Guest Post#1

Inauguro un altro hashtag, che potrebbe diventare una rubrica fissa, chissà, con il Guest Post. Non è un nome originalissimo, ma è quello che emerso quando mi sono seduta davanti al mio blog per scrivere. Un'altra cara amica, Simona, appartenente alla schiera delle lettrici furiose, ha scritto i suoi pensieri a proposito de Il primo gesto, opera di Marta Pastorino, scrittrice genovese di nascita ma torinese di adozione e vita. Lascio a lei la parola:

Il primo gesto è un romanzo dalle parole semplici e ricercate. Il racconto di una vita con scelte difficili, come tante oggi, ma con la ricerca di uno spiraglio di luce.
Piccoli cambiamenti, che portano a percorrere una via di una libertà interiore. Chi ha avuto la fortuna di assistere alla presentazione del libro sa che il romanzo vero è scritto nei primi due capitoli e che le successive pagine danno una “breve” spiegazione quasi a dover chiarire l’accaduto.
Anna personaggio principale, a cui tutto ruota intorno, è una ragazza scappata di casa senza aver finito gli studi, alla ricerca della sua libertà, quella libertà che la sua famiglia non le aveva permesso di avere, facendola quasi sentire un peso.
Dai flashback che troviamo nel nostro percorso di lettura, riusciamo a mettere a paragone i rapporti tra “mamma” e “figlio” con sfaccettature diverse: Anna con la mamma ha un rapporto difficile, schivo e sfuggente; Graziella con la mamma Maria cerca di recuperare il tempo perso in passato; il figlio di Anna che non riuscirà ad avere un rapporto con le propria madre perché abbandonato dopo il parto;  Giovanni con la mamma Graziella che non sente come figura materna, perché cresciuto dalla nonna Maria in un rapporto diventato morboso, quasi non fosse nipote ma figlio.

Pensavo che la vecchia fosse pazza, per l’amore che ancora aveva per suo nipote e per tutto quello che gli era appartenuto, che lei aveva conservato come cimeli di un museo, ma allo stesso tempo ne ero attratta. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per me.

Pensavo alla solitudine di Graziella, che non aveva cresciuto il figlio, e al suo desiderio smodato di riprendersi almeno la madre, alla fine della sua vita, quando Maria non riusciva più a dirle di no.

Sarà proprio questa decisione drastica di Anna parallela alla morte di Maria, che l’autrice porta il personaggio alla ricerca di una via di uscita.
Si può cambiare la propria idea del tempo, ed era per questo, forse, che ho incontrato la signora Maria. Nella sua casa silenziosa e semibuia ho imparato la calma dei vecchi. Quel tempo è diventato mio, mentre lei si girava in continuazione verso il passato, io sono stata nel presente.
Una via di uscita che cercherà in tre cose fondamentali: riconoscersi nelle pagine dei libri, la grandezza e l’importanza di un abbraccio, la scoperta del corpo tramite la danza sensibile.
Riconoscersi nelle pagine aperte a caso di un libro, quei libri che spesso Maria le ha insegnato ad aprire e a leggerne degli estratti.
Le chiedevo di raccontarmi di sé, quand’era di buon umore. “Che cosa vuoi che ti dica” rispondeva, “prendi un libro e leggilo, ci troverai qualcosa di me.”
Il valore di un abbraccio, la sofferenza di quello non dato a suo figlio, quello bisognoso di Iulian, il figlio dell’amica Ramona, l’abbraccio con Giovanni che la aiuterà ad affrontare e a lasciarsi alle spalle le ombre del passato.
L’ho guardato nel buio, ho ascoltato il suo respiro e forse il battito del suo cuore, eravamo così vicini….Ho allungato un braccio e l’ho posato su di lui all’altezza della vita, mentre il cuscino assorbiva le mie lacrime silenziose che scendevano giù dalle guance.
La scoperta tramite Giovanni della danza sensibile: la conoscenza del proprio corpo e del proprio essere tramite tecniche di movimento libero.
“Pensate al respiro” diceva, “dal vostro respiro nasce la danza. Ogni movimento della vita terrestre è di apertura e chiusura, inspiro ed espiro, un ciclo organico, di spinte e ritorni…..”

Libro semplice e puro che lascia il lettore a “guardare dalla finestra” l’evolversi delle situazioni senza essere travolto dalle emozione delle situazioni.

lunedì 4 novembre 2013

I racconti dei vedovi neri – La potenza della logica

A prima vista, sembra un altro titolo della #svoltahorror. E anche piuttosto inquietante: il termine “vedovi neri” fa pensare ad un gruppo di mariti sanguinari che attentano alla vita delle mogli, magari particolarmente ricche, per impossessarsi dei loro denari. Niente di tutto questo, l’horror non c’entra proprio. Del resto, il suo autore, Isaac Asimov, è noto per aver scritto altri tipi di romanzi, e non mi sembra si sia mai cimentato con la narrativa di paura. Il libro è venuto a trovarmi direttamente a casa, in un momento di pausa della #svoltahorror, e io sono stata più che felice di accordargli riparo dalle intemperie. J E’ composto da una serie di racconti, i cui protagonisti sono un gruppo di rispettabili signori americani che, una volta al mese, decidono di ritrovarsi a cena senza le mogli, per poter risolvere piccoli o grandi misteri, e lasciarsi andare a parole in libertà su arte, letteratura, politica, attualità. Il ristorante che li accoglie è sempre lo stesso, così come il solerte e capace Henry è il cameriere che si occupa di servirli. Scelgono un anfitrione per la serata, che ha il compito, se lo desidera, di portare un ospite esterno, che alla fine della cena, si sottoporrà ad un vero e proprio fuoco di fila di domande da parte dei Vedovi Neri, sulla sua vita, la sua occupazione, e sul problema eventuale che lo sta angustiando. Ogni volta, si verifica un “caso”: il collezionista sicuro di aver subito un furto, ma di non riuscire a scoprire l’oggetto mancante, la spia che comunica grazie ad un ingegnoso sistema di bustine di fiammiferi, un omicida smascherato a causa dell’ora legale, i servizi segreti americani in fibrillazione per un possibile attentato all’edizione attuale di Miss Mondo...I Vedovi Neri, un dirigente governativo esperto di cifrari, un matematico, un chimico, un artista, si lanciano in congetture ingegnose, in duelli verbali spassosi, che talvolta culminano in gare di umorismo, si lanciano accuse, per poi finire sempre in un vicolo cieco. Il problema dell’ospite di turno, affrontato con logica rigorosa, da diversi punti di vista, finisce sempre per sembrare...irrisolvibile. Finché non arriva Henry, almeno. Come ho già detto, Henry è il cameriere che si occupa delle cene dei Vedovi Neri: solerte, discreto, silenzioso e capace nel suo lavoro, si rivela sempre colui che, interpellato all’ultimo, riesce a trovare l’unico aspetto trascurato, l’unica domanda veramente necessaria da fare, l’unica intuizione ancora da scoprire. E l’ospite si affretta a tornare a casa con la soluzione in tasca!
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