giovedì 20 dicembre 2012

Il profumo dei libri – Un vero e proprio profumo.


Qualche post fa avevo parlato di una candela, dal nome importante di Bibliothèque, che riproduce il profumo della carta e dei libri, prodotta in Svezia. Ora, un accanito lettore e famosissimo stilista, Karl Lagerfeld, contribuisce alla creazione di questo prodotto piuttosto bizzarro, un profumo all’essenza di libro, di nome Paper Passion.
"The smell of a freshly printed book is the best smell in the world. Sono le parole dello stilista. Quasi in concomitanza con questa scoperta, ho anche imparato che lo stesso Lagerfeld è un accanito lettore e ha una bellissima biblioteca in casa. Possiamo dargli torto? Domanda retorica. Il profumo nasce proprio da una collaborazione tra Karl Lagerfeld (che si è occupato del cofanetto, a forma di libro), la casa editrice tedesca Steidl, che si occupa soprattutto di libri fotografici, e Geza Schoen, maestro profumiere tedesco piuttosto famoso per altre sue sperimentazioni. Perché creare un profumo che sa di libro? L’idea di base è quella di far rilassare e concentrare meglio il lettore che si spruzza qualche goccia di profumo e poi s’immerge nella lettura. Il libro goduto a tutto tondo, quindi: il tatto, con la morbidezza della copertina, il peso della rilegatura, gli occhi, lo spirito, l’intelletto, l’anima, con il contenuto, la fantasia, che spinge a vivere le parole della carta, e l’olfatto, che viene letteralmente circondato, dal profumo che sale dalle pagine e da quello che arriva da sé. Potrebbe essere una riedizione terrena del paradiso…il lettore viene letteralmente invaso dai libri!

giovedì 13 dicembre 2012

I pilastri della terra – La protagonista silenziosa


Tra i fili umani che s’intrecciano, e spesso s’ingarbugliano, si strappano l’un con l’altro, o si moltiplicano, c’è anche quello di Philip, priore di Kingsbridge. Quando compare sulla scena, è un giovane monaco gallese di un piccolo monastero poco distante da Kingsbridge dove poi andrà a stabilirsi per tutta la vita. Ha un fratello più giovane, anch’esso monaco, fatto di una stoffa ben diversa dalla sua. Mentre Philip ha Dio con sé, gli parla, lo cerca, mette in pratica i suoi insegnamenti per costruire valore, per aiutare gli altri e per portarli verso di Lui con il suo esempio, Francis incarna il lato temporale della Chiesa, quello più nascosto, che si occupa principalmente di giochi di potere. Nel corso del romanzo, Francis comparirà pochissime volte, mentre va a visitare il fratello tra una missione segreta e l’altra. È un personaggio elusivo, e compare molto poco. Lo spazio è tutto per Philip e la sua evoluzione. Pur non disponendo di scaltrezza e astuzia paragonabili a quelle di Waleran Bigod, il vescovo di Kingsbridge unicamente interessato a salire la scala gerarchica, Philip è un uomo determinato, dalle idee chiare e ben deciso ad ottenere ciò che vuole. Soprattutto perché quello che vuole non è denaro, potere o considerazione per sé, ma il benessere dell’intera comunità in cui si trova. E’ un uomo di fede che pone questo benessere, sia spirituale sia fisico, al di sopra del proprio e solo al di sotto della devozione per Dio. Non esita a fronteggiare vescovi maneggioni, nobili e nobilastri furbi e meschini (come la famiglia di William), e per quanto di modi umili, non indietreggia intimorito di fronte a Re Stefano (l’usurpatore) e nemmeno all’arcivescovo Henry, suo fratello, che in quel momento incarnavano i massimi poteri dell’Inghilterra feudale.

lunedì 10 dicembre 2012

I pilastri della terra – Fili umani.


Quando Ellen incontra Tom, se ne innamora, ma la sua natura libera e forte non cambia di una virgola. Ad un certo punto della storia, rendendosi conto che il suo uomo non ha la sua stessa forza di opporsi agli stereotipi sociali, lo abbandona portandosi via il figlio, pur soffrendo profondamente per lo strappo. E’ una donna di sentimenti e parole intensi, e nessun compromesso. Se la società si fa avanti per schiacciarla nelle sue caselle ipocrite (lei e Tom non sono sposati, e questo è un peccato mortale secondo un certo insegnamento), lei reagisce con fermezza e se ne allontana, anche sanguinante. L’abbandono sarà temporaneo…Tom riesce a capire che è molto più importante quella donna bella e bizzarramente forte per se stesso, di tutti i precetti di una Chiesa ipocrita e con lo sguardo rivolto al potere e al denaro.
Il filo della vita di Tom ed Ellen s’intreccia con altre vite che ruotano in quei pochi chilometri di Inghilterra feudale. C’è la giovane feudataria Aliena, quattordicenne bellissima, in boccio, e il suo fratellino minore, Richard. Sono entrambi figli di Bartholomew conte di Shiring, proprietario di un bel castello fortezza e di un villaggio annesso. La loro vita sembra al riparo da qualunque problema: la giovane Aliena è dotata di tutte le grazie, e non sembra essere altezzosa o sprezzante verso chi è meno fortunato di lei. E’ corteggiata, e volitiva quanto basta per essere riuscita a strappare al padre la promessa di sposare un uomo che le piace, piuttosto di un uomo che le porti in dote castelli e ricchezze. Questa sua volontà di indipendenza e di scelta, che l’avvicinano a Ellen, sarà la causa della perdita del suo status.

giovedì 29 novembre 2012

I pilastri della terra – Vite parallele


Un altro motivo per cui questo libro mi ha letteralmente entusiasmato è il suo formato: è un bel tomo spesso, di oltre mille pagine, in controtendenza con i libri degli ultimi tempi, che tendono ad essere più piccoli, e se raccontano di vicende lunghe, le spezzettano in trilogie o tetralogie. Il suo formato compatto mi piace molto e me lo rende anche particolarmente simpatico. Il periodo particolarmente lungo della narrazione mi ha permesso di vivere un po’ di più con i suoi personaggi, che sono moltissimi. Sono gli abitanti di almeno due o tre villaggi, su cui spiccano due famiglie in particolare, le cui vicende s’intrecciano strettamente quasi subito, e i monaci di almeno due priorati. Verso la seconda metà del libro entreranno anche in scena la corte inglese (almeno per un paio di capitoli), e la cattedrale di Canterbury. Era da diverso tempo che non passavo così tanto tempo con le creature di carta, ed è stato come ritornare davvero a casa. E’ così che mi piace leggere i libri, entrandoci dentro e condividendo tutto con le creature che lo abitano. Sono andata in giro a cercare lavoro trascinandomi dietro una famigliola stanca e coraggiosa, come Tom il costruttore. E’ uno dei primi personaggi che vivono nei capitoli iniziali del libro.

giovedì 22 novembre 2012

I pilastri della terra – Un’altra cattedrale…


Di nuovo le cattedrali. Questo blog ha una sua coerenza involontaria, in un certo senso: i libri che ho scelto finora di inserire qui sono collegati tra loro in qualche modo. Questo libro è incentrato su una cattedrale in particolare, e verso la fine ne mostrerà una già costruita e diventata famosa suo malgrado per un assassinio sacrilego. Sì, proprio lei, la Cattedrale di Canterbury. Quando ho iniziato a leggere I pilastri della terra non avevo idea che avrei sentito parlare di lei di nuovo. Nel riassunto di copertina, si parla della costruzione di una cattedrale gotica nell’Inghilterra medievale, ma non sono indicate date precise, per cui si poteva trattare di qualunque edificio, di qualunque anno, di qualunque parte dell’Inghilterra. Il Medioevo ha avuto una certa durata, per cui c’era l’imbarazzo della scelta.  Quando ho iniziato a leggere, ho scoperto che si trattava di uno dei periodi storici che mi piacevano maggiormente, il XII secolo, nella zona compresa tra Salisbury, Winchester, Kingsbridge, nel Sud della Gran Bretagna e più precisamente dall’anno 1135 al 1174. Alcune delle località descritte non esistono più, poiché si tratta di piccolissimi feudi attaccati ad un castello di riferimento e ad uno o più piccoli villaggi. Nel momento in cui il castello veniva distrutto, anche il villaggio annesso poteva seguire la stessa sorte. Posso dire che ho adorato letteralmente questo libro, per moltissime ragioni. E’ quasi scontato l’argomento: leggevo tutto quello che potevo sul periodo storico del Medioevo, soprattutto britannico. Le cattedrali, con la loro imponenza, mi hanno sempre affascinato e intimorito.

mercoledì 21 novembre 2012

Collezionisti di libri – Furiosi, maniaci, fuori dalla realtà…


…e chi più ne ha, più ne metta. Non ricordo come sono inciampata in questa citazione:
Colleziono nuovi libri allo stesso modo in cui le mie amiche comprano borse firmate. A volte mi basta sapere di averli, e non mi pongo il problema se riuscirò a leggerli. Non che alla fine non li legga tutti, a uno a uno.  Lo faccio. Ma il solo gesto di comprarli mi rende felice: la vita diventa più promettente, più appagante.”(J. Kaufman, K. Mack - Libri e amori a Los Angeles)
La condivido in pieno, però. Ogni parola. Per quanto riguarda le borse, ne ho pochissime, e uso sempre quelle finché non cadono a pezzi, e solo allora mi decido a sostituirle. Per quanto riguarda i libri…se si è posseduti dal furore, lo si tiene e basta. Non si guarisce. Non si deve nemmeno provare a guarire…fatica sprecata. Sono anni che tento di limitarmi, ma senza avere nessun risultato, almeno di una certa consistenza. Dal periodo estivo fino ad oggi, sono stata invasata dal furore più volte, opponendogli una resistenza da lumaca stanca, e ho dato asilo ad almeno dieci libri degli argomenti più disparati, che compariranno qui, uno per volta. E mi basta sapere di averli; lancio uno sguardo alle pile (sì, al plurale) che si sviluppano in altezza su un tavolino basso cercato appositamente per ospitare i libri da leggere, e mi sento “bene”. Le copertine colorate, le promesse di conoscenza (sono anche romanzi, non solo saggi o libri da meditazione), le sagome compatte, l’odore della carta nuova: ce n’è abbastanza per tenere calma la mia dipendenza. Dipendenza che ora è esplosa rileggendo questa frase, per cui smanio già di avere quel libro, che sembra raccontare il mio ritratto senza assolutamente conoscermi. Visto? E’ un gatto che si morde la coda, un circolo vizioso: il possesso di un libro calma la dipendenza, ma basta uno sguardo ad una vetrina di libreria, una frase citata da un’altra opera, e la fiamma divampa. Senza speranza…! 

lunedì 12 novembre 2012

Le priorità di un bibliofilo


Riecheggiano leggermente il titolo di un libro che andava per la maggiore qualche anno fa, Eat Pray Love, di Elizabeth Gilbert, che sarà presto oggetto di discussione qui. E suonano un po’ come dei “comandamenti”: nutriti, riposati e dedicati a cose importanti, ovvero LEGGI! In vacanza mi è anche capitato di sovvertire queste priorità, facendo passare prima di tutto leggere, poi mangiare se c’era tempo, e infine dormire. In spiaggia si mescolano un po’: mangi mentre leggi, dormi, leggi mentre dormi (a chi non è capitato chiudere il libro per cinque minuti di sonnellino, ripensando alle vicende appena lette e dando loro un seguito?), dormi mentre leggi, ecc.  

venerdì 9 novembre 2012

Il simbolo perduto – In parte, una guida turistica!


Parlo di guida turistica, perché questo è l’effetto che mi ha fatto, ad un certo punto, seguire il professor Langdon e Katherine Solomon in giro per Washington, saltando dalla metropolitana al taxi, per sfuggire agli agenti di polizia e alla Cia, interessati a metter le mani sul rapitore-aguzzino di Peter Solomon, ma poco attenti a piegarsi alle sue richieste da ricatto. Essendo creature pragmatiche, con un lavoro molto pragmatico e d’azione, si occupano poco di sapere che c’è un segreto potentissimo che sta per cadere in mani sbagliate: devono salvare una vita e acciuffare e neutralizzare un pazzo amputatore. Ogni volta che i due personaggi in fuga toccano o entrano in un edificio che potrebbe essere interessante per scoprire il segreto, Dan Brown ne fa una piccola cronistoria, veloce, a dir la verità, ma con pochi tocchi riesce a risvegliare l’interesse. Non ho mai provato un desiderio così forte di andare a visitare Washington, come dopo aver letto il libro. Non credo che questo fosse proprio il fine dell’autore, aumentare le visite turistiche nella capitale, ma mi piacerebbe proprio andare a controllare di persona alcuni simboli che descrive, che vanno innocentemente a decorare facciate e capitelli, mentre in realtà sono elementi di un disegno molto più grande e visibile solo agli “iniziati”. Se ben ricordo, tuttavia, l’autore provocò un effetto “marketing turistico” con il primo libro del Codice da Vinci, spingendo folle di turisti nel Louvre e in giro per Parigi con il tomo sottobraccio da consultare, invece della classica guida turistica. I due fuggiaschi non hanno vita facile, mentre cercano di scoprire il segreto arcano da comunicare all’oscuro e spietato rapitore, un vero genio dei travestimenti.

martedì 6 novembre 2012

Il simbolo perduto – Viaggio allucinante


Il titolo del libro di Asimov potrebbe riassumere bene il tipo di trama del Simbolo perduto. Dal momento in cui il professor Langdon entra al Campidoglio, inizia un viaggio davvero allucinante, dal momento in cui si scopre che il suo amico Peter Solomon non l’ha mai invitato a tenere una conferenza e che non dà notizie di sé da qualche giorno. A coronare la leggera ansia che comincia ad attanagliare il povero docente, è la scoperta di una mano mozzata, con pollice e indice sistemati a indicare l’alto, nella cosiddetta Rotonda del Campidoglio. E quella mano appartiene proprio a Peter Solomon…e qui siamo solo alle prime battute. Langdon viene contattato al cellulare da qualcuno che gli propone uno scambio: il resto (vivo) del suo amico in cambio dell’apertura di un portale di accesso ad una conoscenza illimitata e misteriosa. Da come si è comportato, e dal modo in cui si rivolge al professore, si capisce che ci troviamo di fronte allo psicopatico di turno, convinto di essere l’unico destinatario di quel sapere millenario, segreto e potentissimo, deciso a governare il mondo, tenendo il resto dell’umanità nell’oscurità dell’ignoranza e possibilmente schiacciata sotto il suo tallone amorevole.

venerdì 2 novembre 2012

Il simbolo perduto – Luoghi di potere


Messi nuovamente da parte vampiri, licantropi, streghe, Halloween e consimili, è il turno di un autore che si è principalmente dedicato a “cose strane”. Abbiamo anche noi una certa coerenza, sì. Dan Brown divenne famosissimo anni fa con il suo Codice da Vinci, scatenando anche una serie di polemiche non indifferenti. Del resto, andava a toccare la chiesa cattolica e anche alcuni dogmi di fede, per cui non poteva sperare di non suscitare almeno un blando rimprovero. Se dovessimo riassumere in “tags”, secondo lo stile web 2.0 così diffuso ormai, possiamo indicare: Santo Graal, Maddalena, Templari, Louvre. Dopo quel vespaio, Dan Brown ne sollevò un altro, con Angeli e Demoni, prendendo di mira la Santa Sede e l’elezione pontificia. Poiché vengono raccontati diversi particolari della vita all’interno del Vaticano, e qualcuno dei suoi riti, che normalmente dovrebbero essere tenuti segreti, mi ha sempre incuriosito la domanda: ma se solo chi lavora in Vaticano, e in certi luoghi, è a conoscenza di queste cose, lui, Dan Brown, come ha fatto a saperle? Domanda senza risposta, immagino…a meno che un giorno non arrivi a conoscere io lo scrittore, direttamente!

mercoledì 31 ottobre 2012

Il profumo dei libri in una candela


Continuiamo a parlare per immagini. E’ l’immagine di una candela profumata, fabbricata in un’azienda svedese di Stoccolma, la Byredo Parfums. Dal sito e dalle fotografie, si capisce subito che ha qualcosa di diverso dalle case produttrici di profumo. Il suo stesso fondatore, Ben Gorham, un giovane artista svedese di madre indiana e padre canadese, è parecchio sui generis: occhi e capelli scuri, lineamenti orientali, turbante, tatuaggi. Ok, scordiamoci definitivamente lo stereotipo biondo armadio bianco iridescente azzurro-iridato, cui aveva già assestato un bel colpo il personaggio di Lisbeth Salander. E’ vero, lei è una creatura di carta, mentre costui è carne e sangue. In ogni caso, deve avere una buona dose di fantasia per creare un profumo e chiamarlo Bibliothéque. Se guardo i componenti della candela elencati sul sito, questi sono gli ingredienti: la testa è fatta di prugna e pesca, il cuore di peonia e viola, mentre la base è patchouli, vaniglia e cuoio. Sto cercando di immaginarne il profumo reale, soprattutto abbinandolo a quello altrettanto reale dei libri. Anche i libri profumano, eccome. Quelli nuovi, appena tolti dagli scaffali delle librerie (o in alcuni casi dagli scatoloni appena arrivati in libreria, senza passare dagli scaffali), hanno un loro profumo “nuovo” e imperioso. Attirano, vogliono essere aperti. Quelli allineati in una libreria a casa, o in una biblioteca, sono più caldi, vissuti, sono persino confortanti. L’ultimo che ho annusato, sul Magnetismo Personale, mi ha fatto pensare all’Ikea, per il suo profumo di legno. Strane associazioni…

lunedì 29 ottobre 2012

La trilogia delle sfumature - Perplessità.

Tralascio il racconto della trama, o le descrizioni delle scene di sesso, poiché sono piuttosto ininfluenti. A partire dalle prime pagine, ero continuamente assalita dalla sensazione di “déjà lu”. E il personaggio maschile, Christian Grey, sotto la sua corazza da Dominatore, mi risultava francamente irritante. Giovane (27 anni), a capo di una multinazionale conosciuta in tutto il mondo, stra-ricco, viso e corpo scolpiti perfettamente, elegante, intenditore di vini, mobili d’antiquariato, di alta moda, pilota di elicotteri, e chissà quant’altro ancora che non ricordo. Questo tizio non può esistere, non è lontanamente verosimile. Forse la giovane età abbinata alla ricchezza stratosferica può essere vera, in quanto in America, a differenza del nostro paese infestato da mummie incapaci di scollarsi dai posti di potere, è anche possibile che un giovane diventi miliardario prima dei trent’anni (Mark Zuckerberg, per esempio), se ha volontà, un’idea vincente e la determinazione di farla diventare vera. Lei, Anastasia Steele, ogni tanto faceva del suo meglio per mettere alla prova i miei nervi, anche se aveva un certo senso dell’umorismo e della battuta, che emergevano a tratti nel mare di luoghi comuni di cui sembrava infarcita, nonostante la sua scarsa esperienza, del mondo e del sesso. Quello che voglio dire è che c’era  ancora troppo “harmony-pensiero” nel suo modo di rapportarsi a Christian e a quella specie di relazione che stava vivendo.  Dopo circa metà del primo libro, ho capito cosa mi dava davvero fastidio del personaggio maschile: era una specie di stalker. Letteralmente ossessionato da Anastasia, oltre a seguirla, controlla quello che fa, si permette di darle consigli, interviene a gamba tesa per proteggerla, da se stessa e dagli altri, s’infila nella sua posta elettronica, s’irrita se non lo chiama subito, se non risponde ai suoi messaggi. Ragazzo, lasciala respirare!! E tutto questo, non suona ancora più familiare?

La trilogia delle sfumature – C’è qualcosa di familiare…


L’immagine di Jane Austen che legge la trilogia delle sfumature è insieme spassosa ed eloquente. L’illustratore, Dale Stephanos, ha colto abbastanza bene l’opinione di zia Jane, se avesse letto il libro, o meglio, i libri di questa trilogia parecchio discussa. Penso di aver avuto la stessa faccia, man mano che proseguivo nella lettura. Da come la interpreto io, e da come l’ho vissuta io, non c’è un vero e proprio disgusto sul suo faccino. E’ più una domanda accorata: “ma come scrive costei?!”, che poi si può frammentare in una serie di domande ancora più accorate (quelle che sono venute in mente a me, per esempio), del tipo: “ma come si fa a prendere sul serio una cosa del genere?!” “ma davvero ad una donna piacerebbe un tizio così?!” e via dicendo. Questa trilogia di sfumature, 50 di grigio, nero e rosso, ha spopolato alquanto in Italia e nel mondo, anche a giudicare da tutti i “meme” che girano in Internet e su Facebook. Io ci sono inciampata per caso: la copertina non diceva molto, per quanto patinata e ammiccante (una cravatta grigio perla rilucente su sfondo scuro), ma sul dorso, la presentazione affermava orgogliosamente che quel romanzo avrebbe catturato e trascinato nel suo vortice erotico, che il suo “verbo” era stato passato di donna in donna nelle case, nelle palestre, su Facebook…ok, un altro romanzo erotico, dov’è la novità? Per me la novità era l’autrice. Un romanzo erotico scritto da una donna. Interessante. Non ci sono molti esempi in letteratura, antica e moderna, a parte Anaïs Nin, o PaulineRéage. In ogni caso, siamo ben lontani persino dai fantasmi di queste due scrittrici, e questo si vede fin dall’inizio. 

venerdì 26 ottobre 2012

New Moon – Eclipse – Soluzione (quasi) finale


Con il suo scatto da centometrista, e un salto da leopardo in caccia, Bella si avventa sul vampiro scintillante, mentre una bambina si sta già voltando verso di lui, attirata dal luccichio. Lo spinge all’interno del palazzo dei Volturi e gli evita per pochissimo l’esecuzione all’alba. O l’equivalente di un’esecuzione per un vampiro, insomma. Tutto è bene quel che finisce bene? Pare di no, almeno non ancora. Edward e Bella vengono portati all’interno, seguiti da Alice che nel frattempo è riuscita ad arrivare, al cospetto della temibile famiglia. Lunghi attimi di tensione, in cui sembra che entrambi debbano morire, tenuti in sospeso dagli annoiati e potentissimi arci-vampiri che si divertono un po’ a stuzzicarli, prima di lasciarli andare, con l’ingiunzione di risolvere il problema “Bella”. Bella è un problema, sì. E’ umana. E questo si potrebbe risolvere facilmente, secondo qualcuno di loro, ma Edward si oppone a trasformarla in cibo. Lei vorrebbe diventare un vampiro, ma di nuovo Edward si oppone, nel tentativo di salvarle l’anima. Insomma, non gli va bene niente. Oltre ad essere uno stalker immortale, anche parecchio esigente e difficile da accontentare. Tuttavia, non può continuare a restare umana…o in vita. Sa troppo. Conosce troppo bene i vampiri e il loro mondo, non può essere lasciata libera di andarsene in giro, vittima della propria natura incostante e volubile, che la porterebbe a spifferare il segreto anche inconsapevolmente e contro la propria volontà. E’ l’opinione dei vampiri sui poveri “esseri”, dimenticando di esserlo stati essi stessi, anche se in tempi lontanissimi. Tuttavia, non hanno completamente torto. Bella, oltre che ad avere caratteristiche umorali tipicamente femminili (suona maschilista questa affermazione, ma possiamo davvero contraddirla e rifiutarla come non vera? Magari non lo è in tutti i casi, ma una certa dose di volubilità appartiene di “default” allo spirito femminile. Possiamo definirla meglio come una sorta di predisposizione spiccata al cambiamento.), è sbadata e scoordinata senza speranza. Non può scendere da un gradino senza minacciare fratture multiple.

venerdì 12 ottobre 2012

New Moon – Eclipse – Non ci sono complicazioni a sufficienza?


Bella si è sempre sentita un po’ “strana”, o meglio, non si è mai sentita al suo posto, nei primi 17-18 anni della sua esistenza. Ora si capisce perché…va a innamorarsi, sebbene in due modi diversi, di un licantropo e di un vampiro. E non si può dire che l’offerta “umana” sia scarsa: è ammirata e desiderata, ma lei non se ne accorge proprio. In questi due libri, seguiamo Bella mentre cerca di barcamenarsi nel suo strano ménage: non sa vivere senza Edward, vuole diventare un vampiro come lui (ma lui fa parecchia resistenza, all’inizio), e non sa rinunciare a Jacob, il licantropo, che la vuole per sé e le prospetta quanto vivrebbe, è proprio il caso di dirlo, bene con lui. Lui potrebbe offrirle una vita, Edward una non-vita. Anche il vampiro, sebbene riluttante, la pensa in questo modo: non vuole che Bella diventi un mostro come lui. Edward è l’unico della sua strana famiglia a pensarla così, di se stesso: si considera un mostro, un assassino pericoloso da tenere a bada e scacciare. Jacob, invece, è orgoglioso della sua natura di lupo. E’ un’eredità magica dei suoi avi, che viene usata a scopi benefici: proteggere se stessi e gli esseri umani dai “Freddi”, dai vampiri come Edward in cerca perenne di sangue per sopravvivere. Bella, dopo molti tentennamenti, avuti soprattutto per non offendere brutalmente Jacob con la determinazione della sua decisione, sceglie come vuole avere la sua vita. Il ritmo di New Moon è un po’ lento e a tratti irritante: è comune a tutti i secondi libri delle saghe perdere forse qualcosa della spinta iniziale. L’ho già visto capitare in altre saghe: il secondo libro è il momento di transizione della storia, dall’inizio verso la sua conclusione, quando emergono problemi o situazioni nuove, ma non ancora le loro soluzioni. New Moon è soprattutto dedicato a Jacob (Edward è momentaneamente e dolorosamente lontano), alla sua trasformazione sempre più veloce in licantropo e accanito pretendente di Bella, che da parte sua si trova attratta, ma ancora profondamente legata al vampiro.


mercoledì 10 ottobre 2012

New Moon-Eclipse – Non solo vampiri…


…anche licantropi. Non potevamo trascurarli. Approfitto della coincidenza di questi giorni, in cui per televisione hanno trasmesso i primi tre film della Twilight Saga, per un commento veloce sugli altri due libri che mancano, New Moon ed Eclipse. Manca ancora Breaking Dawn, e un piccolo spin off, “La breve vita di Bree Tanner”, in cui si parla di una vampira dall’esistenza brevissima, comparsa in Eclipse. I libri numero 2 delle saghe tendono ad essere abbastanza noiosi. In New Moon, Bella Swan cade in una depressione profondissima perché Edward decide di andarsene, per non farle del male. Per quanto riesca a trattenersi, non è sicuro di riuscire a farlo per sempre. Un incidente sfortunato in casa Cullen, in cui Bella si ferisce, e rischia di essere uccisa da uno dei componenti, da poco convertito al “vegetarianesimo” dei Cullen, ancora incapace di resistere del tutto alla vista e al profumo del sangue umano, lo convince della sensatezza della sua decisione. Tuttavia, questa ha ripercussioni su entrambi, sia su Bella, che si lascia morire di tristezza, sia su di lui, che non riesce a vivere senza di lei. A questo si aggiunge anche la presenza di una vampira “cattiva”. Non è cattiva solo perché segue la dieta tradizionale dei vampiri, ma perché vuole vendicarsi dei Cullen uccidendo Bella; nel libro precedente, Twilight, il compagno della cattiva Vittoria è stato ucciso da Edward, accorso in aiuto della ragazza sul punto di diventare il dessert del vampiro. Situazione complicata, insomma. Come se non fosse sufficiente far innamorare due “razze” diverse, la Meyer aggiunge anche il motivo della vendetta e della gelosia. All’inizio ho parlato di licantropi. Parallelo al filone dei vampiri scorre quello dei licantropi. Nel primo libro emergono, ma sono presentati come una leggenda o poco più. Come se i vampiri non lo fossero…Uno degli amici di Bella è un giovane indiano della tribù dei Quileute, Jacob, che vive in una riserva nei boschi vicino a Forks, la città in cui lei vive. E’ all’interno di quella tribù che si raccontano le leggende dei licantropi, e di come la tribù stessa discendesse dai lupi. Ci stiamo allontanando sempre più dall’ambito umano. Di qui a breve, Bella si trova coinvolta in un triangolo amoroso: lei, il vampiro, e il licantropo, Jacob. E pensavamo  che le vicende di Beautiful fossero complicate? :-D

martedì 9 ottobre 2012

Book River – Conoscenza che fluisce.


Dopo Spoon River, è anche giusto che faccia la sua comparsa Book River. L’analogia mi è venuta in mente semplicemente per assonanza. E’ un nome talmente famoso quello di Spoon River, che non si può dimenticare tanto facilmente. Non l’ho ancora letto, ma prima o poi colmerò la lacuna. Le poesie non mi fanno impazzire, per cui le tengo per ultime, quando le leggo. La delicatezza della poesia non va d’accordo con la mia predisposizione rocciosa. Tant’è che, al liceo, mentre Leopardi è il preferito di chi ama leggere i classici per la forza e la levatura dell’espressione con cui manifestava i suoi pensieri e sentimenti, io preferivo Manzoni, e la sua prosa veloce e sfaccettata. Sì, di solito si storce il naso di fronte a Manzoni: l’associazione con i Promessi Sposi è scontata e sottintesa, e con tutto quello che significa, per uno studente italiano, confrontarsi con questa storia e i suoi personaggi. Ma se lasciamo stare per un momento quella figuretta scialba e ampiamente sopravvalutata di Lucia (non l’ho mai potuta sopportare, affermo perentoria), e ascoltiamo la voce di “Don Lisander”, scopriamo risorse di umorismo intelligente e di forza espressiva.  Ma ne parleremo…La divagazione nasce facilmente, esattamente come il corso del fiume qualche volta si modifica, si ramifica a seconda dell’intervento della natura o degli uomini. E un fiume di libri non ne farebbe eccezione. Nella foto c’è un ruscelletto, per quanto colmo, di libri che scorrono in mezzo al verde. Se esistesse davvero un posto simile, ne farei subito la mia casa. Anni fa mi capitava di fantasticare su una serie di paesaggi surreali e inventati, e di sicuro un’idea come questa mi sarebbe piaciuta immensamente. Se ci penso bene, però, ho visto questo fiume di libri abbastanza da vicino, e anche diverse volte. No, non c’entrano le droghe. Quando spolveravo e risistemavo una delle librerie, spostavo tutto il contenuto a terra, fino a formare davvero una marea. Se fossero esistite le fotocamere digitali di adesso, ne avrei già fatto una documentazione fotografica. E quello era davvero un mare di carta. Spesso…, no diciamo pure ogni volta che si verificava quell’inondazione, mi sedevo su una pila di libri e cominciavo a sfogliare quelli che avevo “dimenticato”, per andare a cercare i passaggi più belli. Inutile dire che la pulizia delle librerie portava via l’intera giornata. E solo perché qualcuno mi avvertiva di sbrigarmi e di rimettere tutto com’era, altrimenti sarei stata capace di tirare dritto per un altro paio di giorni…:-D

lunedì 1 ottobre 2012

La libro-dipendenza - Sintomi e manifestazioni


Chi ha creato quest’immagine, è un genio, oltre che un libro-dipendente con i fiocchi. Scorrendo la lista, posso dire di aver manifestato la maggior parte dei sintomi, in modo più o meno accentuato. Per quanto riguarda le tre di notte tirate anche durante la settimana, ormai non ci faccio nemmeno più caso. Se il libro merita, l’orologio scompare dal mio orizzonte visivo. Quando frequentavo il liceo, accadeva spessissimo. In macchina non leggo mai: non sopporterei di essere interrotta da tutti quei semafori verdi. Leggere e ridere da sola: mio marito si preoccupa se non lo faccio. “Essere riconosciuta a vista da edicolanti, bibliotecari e librai”. Certo che sì. Nel corso degli anni, ho cambiato diverse librerie e biblioteche (solo per cause di trasloco) che ero solita frequentare, anzi “infestare”, ma una cosa è rimasta costante: lo sguardo eloquente del bibliotecario, libraio di turno (edicolante molto meno). “Rieccola. Stavo in pensiero”.  Proprio stamattina in biblioteca ho rivisto quell’espressione, e mi è venuto da sorridere. Vi sono mancata? Tranquilli, non vi abbandono. Siete più sollevati, ora che ve l'ho detto, eh? Insomma, una stalker nel DNA. Innamorarsi di un personaggio di fantasia? Come si fa a evitarlo? Il mio primo “innamoramento” serio per una di queste creature di carta fu per Boromir, il fratello di Faramir, il comandante delle Forze di Ithilien, ne Il Signore degli Anelli. Non riuscii a capacitarmi per giorni e giorni, quando lessi della sua morte. Fu la prima divergenza seria con lo spirito di Tolkien. Non riuscii a perdonarlo per diverso tempo. Il fatto che avevo solo 12 anni non conta. Oggi non mi innamoro più, ma di sicuro non gradisco quando i miei preferiti vengono uccisi. Normale routine, chiudere il libro e sapere, oltre che sentire, che la vicenda va avanti nella propria testa. Al numero 10, per completare, aggiungerei: "Reagire come un rottweiler a digiuno da mesi quando qualcuno ti porta via il libro dalle mani mentre stai leggendo". Tutto quello che capita al malvagio attentatore che si arrischia a strappare via un libro dalle mani  di chi lo sta leggendo, è pura e semplice legittima difesa. Non si fa, e basta. Con me non hanno provato una seconda volta, da quanto mi ricordo…J

venerdì 28 settembre 2012

Uomini che odiano le donne – Perché?


Niente capita a caso, nella vita reale e nei libri. Soprattutto nei libri dove l’autore è l’unica autorità totale. I casi di violenza su donne sono un tassello che s’inserisce bene nella complicata vicenda delle indagini sulla scomparsa di Harriet. Non svelerò nulla del difficilissimo e paziente mosaico che si crea sotto le mani di Blomkvist e Lisbeth: è un’altra caratteristica del libro da gustare con calma, ammirando con quanta perfezione ogni tessera s’incastri nell’altra, fino a formare un disegno repellente, che ha un suo senso. Tutto viene spiegato, risolto, rivelato, pezzo per pezzo. E nemmeno tanto facilmente o con serenità. Ai due protagonisti non viene risparmiato l’incontro con l’anima nera che sta dietro a quel disegno, l’unica sopravvissuta di un’intera congrega di anime nere piene d’odio per chiunque non fosse loro: donne, stranieri, altri colori di pelle. Suona familiare? Negli anni ’30-’40 del secolo scorso, c’era chi costruiva arringhe deliranti e urlate su quegli argomenti…

giovedì 27 settembre 2012

Uomini che odiano le donne – E che odio…


Mikael Blomkvist si trova a scartabellare molto materiale, messo a disposizione da Henrik Vanger: fascicoli di indagini che dovrebbero essere più o meno segreti, foto, diari dell’epoca, le annotazioni dello stesso ex magnate. La vicenda dell’indagine privata parte lenta e costante, e già subito piena di ostacoli. Sembra che ogni pista nuova si concluda davanti ad un muro. E ancora nessuna traccia dell’odio del titolo. Stavo cominciando a domandarmi perché l’autore avesse intitolato il suo libro in questo modo, oltre a qualche ragione di marketing per attrarre il pubblico. Il giornalista non odia affatto le donne, tutt’altro. Le apprezza particolarmente, e loro ricambiano anche con trasporto, prendendo anche iniziative nei suoi confronti. Allora? Mentre Blomkvist accetta riluttante la proposta, entra in scena in sordina un altro personaggio, molto singolare, Lisbeth Salander. E’ una giovane venticinquenne, a prima vista una sbandata: fisico asciutto da adolescente (l’esatto contrario di un certo stereotipo di stangona formosa biondo lino estremamente generosa e disponibile, che si poteva trovare in alcuni film italiani di serie B), capelli corti, piercing e tatuaggi, abbigliamento dark punk, nessuna predisposizione al sorriso, fasciata di rabbia verso il mondo. Non esattamente Miss Accoglienza 2012.

martedì 25 settembre 2012

Uomini che odiano le donne – Il mistero, prima dell’odio.


Naturalmente, della questione si è occupata la polizia, senza raggiungere nessun risultato. Semplicemente, non era possibile scoprire niente di niente. Il fiore apparteneva ad una specie abbastanza comune in Australia, e in Nuova Zelanda, e raramente coltivata in Svezia, il paese dove si svolge la vicenda. Le buste che contenevano i quadretti avevano timbri postali provenienti da tutto il mondo, oltre Stoccolma, ma sempre senza nessuna impronta. Prima che questo decennale mistero lo mandi davvero fuori di testa, l’anziano destinatario del bizzarro regalo, decide di rivolgersi a qualcun altro per farsi aiutare. E’ una persona ricca, potente, autorevole, ex guida di un grande gruppo industriale svedese, il Gruppo Vanger, con interessi in tutto il mondo: Henrik Vanger. Come aiutante, sceglie un ambizioso e veloce giornalista, Mikael Blomkvist, capo redattore di un giornale controcorrente perché indipendente, Millennium. L’anziano ex industriale convoca Blomkvist dicendogli di volergli affidare un compito molto delicato, un rebus che si nasconde all’interno della sua famiglia,  che nessuno è mai riuscito a risolvere: la scomparsa, e la probabile uccisione, della sua adorata nipote Harriet, avvenuta circa quarant’anni prima. Non ha mezzi termini, Vanger: è profondamente convinto che qualcuno, un familiare, abbia commesso un omicidio e sia rimasto impunito per tutti quegli anni. Non va tutto liscio e facile, comunque. Blomkvist non si lascia convincere docilmente.

lunedì 24 settembre 2012

Uomini che odiano le donne – Quando si dice la provocazione.


Magnifico. Da moltissimi punti di vista. Il titolo, LEGGERMENTE provocatorio, mi aveva subito attirato, indispettito, fatto infuriare. Tutto questo prima ancora di posarvi sopra una mano, figuriamoci leggerlo. Uomini che odiano le donne? Sì, lo so. Come si permettono? Come osano? La mia immaginazione si era già scagliata furibonda contro questi personaggi di “odiatori”. A proposito, il termine esiste: ho controllato in Rete, e anche sul bellissimo e quasi preistorico (per questa era di Web 2.0) Zingarelli cartaceo. Senza scomodare la cronaca, che è troppo piena di manifestazioni tragiche e concrete di questo odio, tutti noi abbiamo avuto o abbiamo ancora sotto gli occhi una situazione simile, anche se molto più leggera di quella descritta nel libro (c’è da augurarselo, almeno). Io ne ho vissute un paio, e il sapore e l’odore di quella realtà sono untuosi, sgradevoli. La premessa del mio incontro con questo libro era già di pregiudizio ben formato e costruito. Cosa c’è di meglio, come dicevo in un post precedente, che demolire un pregiudizio a forza di lettura? Dovevo leggere il libro, anche solo per ricacciare indietro il fantasma. Fin dalle prime pagine, sono stata catturata subito dall’atmosfera, e dallo stile. Stieg Larsson, l’autore, nasce come giornalista e ogni parola lo evidenzia molto bene (così come la traduzione).

venerdì 21 settembre 2012

L’esposizione alla conoscenza causa danni ai pregiudizi.


Se vedessi un’immagine del genere stampata sulla copertina di qualche libro, nello stesso formato e grafica degli avvisi anti-fumo sui pacchetti di sigarette, non potrei smettere di ridere per un po’ di tempo.  A dire il vero è accaduto proprio così, ma essendo da sola e seduta alla mia scrivania, nessun altro essere umano si è preoccupato della mia salute mentale e ha contattato la sezione Neuro dell’ospedale più vicino. Dopo aver smesso di ridere, mi si è innescata una riflessione libera, che ha preso strade diverse. L’esposizione alla conoscenza danneggia i pregiudizi e le superstizioni, più o meno gravemente, a seconda di quanto siano radicati, e di quanto siamo disposti a farceli abbattere. La conoscenza, di per sé, ha sempre affascinato e fatto nascere paure e sospetti, perché conoscere attribuisce potere a chi s’informa, studia, sa. Tantissime persone, nel corso dei tempi, si sono arrogate il monopolio geloso della conoscenza, come se questa fosse una mela d’oro in premio per i più meritevoli, per coloro capaci di amarla, rispettarla e gestirla. Qualcuno se l’è arrogata per impedire che la conoscenza attribuisse anche il potere di usare la propria testa e il proprio ragionamento per scegliere per sé, senza uniformarsi. Seguendo questo iter, mi è venuto da pensare al Savonarola, e al “falò delle vanità” che i suoi seguaci fecero allestire nel 1497 a Firenze. Tra gli oggetti, opere d’arte (comprese alcune di Botticelli, che il pittore medesimo lanciò tra le fiamme), finirono anche diversi libri, considerati immorali e pervertitori dei costumi. E qui è difficile non pensare all’altro famosissimo rogo dei libri, avvenuto nel secolo scorso nella Germania nazista, il cui scopo era prevalentemente suscitare l’odio antisemita.  Se i libri contengono verità e conoscenza, chi li distrugge odia la conoscenza, o comunque si ritiene in pericolo a causa di questa. Molto probabilmente, il suo spirito è debole e le sue capacità di ragionamento e di discussione poco allenate, da non saper difendersi dall’influsso delle parole scritte di qualcun altro. Oppure, andando ancora più in profondità, quelle parole di conoscenza vanno a urtare corde molto sensibili, e a risvegliare dubbi repressi, che chiedono spazio e ascolto. Per ironia della sorte, oggi è il “compleanno “ di Savonarola, e apprendendo velocemente su Wikipedia che la pratica del rogo dei libri è qualcosa di ricorrente nella storia umana, che si verifica in ogni tempo e luogo, mi è caduto l’occhio su questa frase di Heinrich Heine: “Dort, wo man Bücher verbrennt, verbrennt man am Ende auch Menschen…” (laddove si bruciano i libri, si termina bruciando anche esseri umani), che suona come una profezia sinistra che si è avverata. Savonarola terminò i suoi giorni sul rogo, e i nazisti non scamparono tutti al fuoco della guerra che loro stessi avevano iniziato. Chi libro brucia, brucia come libro? J

mercoledì 19 settembre 2012

La necessità dei libri - Sempre!


Di nuovo Facebook. Nel senso che l’immagine che oggi mi ha fatto riflettere e sorridere è emersa allegramente dal mare immenso di scambio che è il social network.  Si può dire di tutto, e si è detto di tutto su Facebook, irritante e adorabile nello stesso tempo, ma ogni tanto tira fuori vere e proprie perle, come questa.  Non è nemmeno così negativo come sembra, ha pur sempre un “libro” nel suo nome…J In ogni caso, questa frase, che afferma che le biblioteche non sono un lusso, ma una necessità, mi trova più che concorde. E questa non è una novità che può spingerci a chiamare i giornali, lo so. E’ piuttosto chiaro e accertato che i libri sono per me una necessità, e vedere che qualcuno, lontano nel tempo e nello spazio come Henry Ward Beecher, riecheggia così bene i miei pensieri e anche le mie passioni, mi fa provare un senso di “appartenenza” e di affinità. San Google mi ha velocemente indirizzato verso la pagina wikipedia di Henry Ward Beecher, per capire chi fosse. Fu un bel personaggio interessante: un politico statunitense, sostenitore del suffragio universale, dell’abolizionismo e dell’evoluzionismo darwiniano. Una delle sue sorelle fu Harriet Beecher Stowe, l’autrice de “La capanna dello zio Tom”. Un vizio di famiglia, l’apertura mentale e della propria vita. Non meraviglia che il sig. Ward Beecher sostenesse la necessità dei libri. Nella mia vita sono altamente necessari: per capire, vedere, provare, esplorare, conoscere, riflettere, ampliare, anche arrabbiarsi, talvolta. Alcuni libri contengono verità scomode, anche solo per se stessi, perché vanno a rischiarare e a pungolare quelle zone in ombra che non è poi così bello far emergere. Una volta fatto, però, si prova sollievo. Ogni tanto, dopo qualche esperienza del genere, ed “esserci sopravvissuta”, mi fa poi dire: “tutto qui? Il mostraccio repellente è poi un cumulo di polvere, vedo…”

giovedì 6 settembre 2012

Magnetismo Personale - E’ l’amore che conta


Un libro che si è rivelato una calamita, un “magnete”.  Avevo già comprato diversi titoli, pensavo di essere “a posto” per qualche tempo (dovrei smetterla di raccontarmi queste frottole, ormai sono grande…J), ma quando ho guardato la copertina di questo libro, ho deciso che doveva venire via con me. Secondo me, chi ha deciso la sua veste grafica, nella casa editrice che l’ha pubblicato, ha fatto anche un buon lavoro estetico: il libro è in formato A5, di dimensioni più piccole del consueto, con una rilegatura spessa, e un cordino segnalibro dorato all’interno. L’aspetto è quello di un libro d’altri tempi, “magico”, e per questo attraente come un magnete. L’attrazione continua anche all’interno, nei contenuti. Il linguaggio ha un sapore d’altri tempi, ed ha un ritmo pacifico, calmante. A prima vista, si direbbe un altro degli innumerevoli libri di “auto-aiuto”, che insegna le tecniche per riuscire nella vita e avere successo, denaro. Dispensa consigli su come comportarsi, dettati dal buon senso, fino ad assomigliare, in alcuni punti, ai manuali di comportamento e di educazione così prolifici nei secoli scorsi. Persino nelle letterature antiche, di ogni latitudine, dai Greci ai Vichinghi, esistevano opere che istruivano a diventare uomini accorti e saggi, guerrieri valenti, persino mogli (e nuore) efficienti. Al di là di tutti i consigli e le istruzioni fornite dal libro, l’autore indica abbastanza presto da quale premessa deve muovere l’uomo o la donna che intenda avere “magnetismo” e voglia attrarre successo, fama e stima altrui.

venerdì 31 agosto 2012

Vittima dei libri. E contenta di esserlo!

Giorni fa, su Facebook, ho visto questa immagine pubblicata in una pagina dedicata allo scambio di consigli di lettura. La frase mi ha fatto sorridere, oltre che annuire ad ogni parola. I libri sono davvero una droga in rilegatura pesante, che non fa correre rischi di overdose e che rende felici le sue “vittime”. All’antica, io ho parlato di “furore” di aver libri, dal titolo di quel testo del Settecento italiano che non smette mai di affascinarmi. E’ qui vicino a me sulla mia scrivania, tranquillo. Non mi ha ancora detto tutto, però, di quello che contiene. Non certo perché non si lasci aprire e leggere…ma c’è qualcosa di non detto, in questo libro, che mi spinge a cercarlo come se fosse l’oggetto di una caccia al tesoro. Forse è solo l’effetto della droga di libri che si rilascia nell’organismo. Quell’impulso a leggere scavando nelle frasi, quasi a cogliere quello che c’è sotto. Ogni tanto, quando chiudo un libro dopo averlo letto o anche solo per far riposare un po’ la vista (poco, non possiamo perder tanto tempo a far nulla, J), mi soffermo su una frase, una scena, un capitolo che ancora mi ballano in mente, chiedendo all’autore: cosa volevi davvero dire? Cosa ti ha spinto a scrivere così, di questo argomento? Faccio un “viaggio” anch’io, anche se con la mente, nel puro campo delle ipotesi più sparate, e senza l’effetto deleterio di sostanze estranee iniettate, sniffate, inghiottite.  Quanto mi piacerebbe che questo tipo di “droga”, fatta di rilegature di carta e cartone di forme e colori vari, che tengono insieme fogli scritti in tutte le lingue del mondo, venduta agli angoli delle strade, si diffondesse a macchia d’olio. Potremmo sentire parlare di grandi concentrazioni di “librina pura” consegnati, e non più sequestrati , dalle Forze dell’Ordine, a centinaia di giovani e non giovani che, sotto i loro effetti, diventerebbero più colti, più calmi, più sapienti, più riflessivi. Nessun rischio di overdose, nessuna degradazione fisica o spirituale, nessuna morte assurda. Utopia pura e anche spinta, vero? Non importa: non si può ancora dire se un giorno si avvererà o meno. Anche un Presidente nero alla Casa Bianca era pura fantascienza fino a qualche tempo fa...:-) 

domenica 12 agosto 2012

L’enigma della morte di Marylin Monroe – Una ricostruzione plausibile


Probabilmente perché gli autori sono docenti di materie scientifiche, lo stesso libro ha un approccio scientifico ma non freddo all’argomento. Mette in risalto alcune caratteristiche passate in secondo piano o completamente ignorate da altri giornali e scrittori che si sono occupati del misterioso decesso. Marilyn fu trovata morta nella sua villa di Los Angeles, che aveva acquistato mesi prima. Nel pavimento dell’ingresso, alcune mattonelle riportavano una citazione di San Paolo: “Cursum Perficio”, “ho terminato la mia corsa”, che suona piuttosto sinistro, come se fosse una premonizione  della fine del suo corso di vita. Leggendo anche le vicende di quei mesi, e la trascrizione di alcuni dei colloqui con uno dei suoi analisti, Marilyn stava finendo anche il corso stesso della sua analisi. Dopo essere stata in cura da diversi terapeuti, tra cui la stessa figlia di Sigmund Freud, l’attrice arriva alla conclusione di non averne più bisogno. Dopo mesi, anni, passati a scavare nelle lacune e nelle ferite della sua anima, a rivedere, rimescolare e a piangere sul rapporto nero con una madre inesistente e troppo lontana, a cercare di vivere nonostante tutte le angosce e le solitudini che questo le causava, Marilyn vede con lucidità che ha terminato. E non perché è guarita. Non si può andare oltre. Non si può risanare qualcosa che non è mai stato sano. E’ la conclusione che aleggia da alcune frasi dell’attrice, una consapevolezza lucida e sinistra che l’ha accolta e accompagnata fino alla morte. Se si segue questo filone di pensiero, è facile pensare che Marilyn davvero si sia suicidata perché sconvolta dal non poter più fare nulla per se stessa, e tutto questo avrebbe una sua logica. Eppure, gli autori mettono l’accento sulle mille stranezze della notte in cui l’attrice viene trovata morta.

mercoledì 8 agosto 2012

L’enigma della morte di Marilyn Monroe – 50 anni dopo, un’indagine scientifica


Cinquant’anni fa, e più precisamente il 4 agosto 1962, veniva ritrovata morta Marilyn Monroe, attrice americana dal fascino e dal richiamo planetari. Lei era la Donna, la Dea della Bellezza, il Fascino personificato. Io l’ho “conosciuta” parecchi anni più tardi, proprio attraverso la sua morte, avvenuta in circostanze mai chiarite del tutto, e circondata da misteri, voci incontrollate, insabbiamenti. Un anno dopo  sarebbe morto in un attentato John Fitzgerald Kennedy, strettamente collegato a lei, sia in vita sia in morte, e poco dopo ancora Bob Kennedy, il “fratellino” ministro del Presidente, anch’egli vicinissimo all’attrice. I casi di Marilyn Monroe e John Kennedy, oltre ad essere collegati per i fatti che crearono, continuano ad essere legati e a rivaleggiare quasi, tra di loro, per quanto riguarda il sospetto e la mistificazione che sorsero intorno ai loro decessi. Per quanto riguarda Marilyn, la polizia arrivò in fretta ad una conclusione e ad un’archiviazione: probabile suicidio. Del resto, era difficile escluderlo categoricamente dalla lista delle possibili opzioni. La vita di Marilyn era un cristallo: la facciata lucida e splendente, fatta di bellezza, desiderio, soldi e fama, stesa a coprire a malapena un’interiorità piena di incrinature, che crollava facilmente sotto la pressione di una piuma. Riviste di ogni tempo, libri, servizi televisivi hanno ripercorso tutti gli eventi di quei trentasei anni di vita, fatti di abbandoni, affidamenti a estranei, violenze, carriera cinematografica strepitosa e declino.

lunedì 6 agosto 2012

La mennulara – Verga sì, ma con un tocco di Cluedo…


L’annuncio mortuario, così com’è stato scritto nelle volontà imperiose della Mennulara, deve comparire su certi giornali, in certi spazi ben determinati, ed è cura degli Alfallipe fare in modo che questo avvenga. Questa disposizione non è molto gradita da quasi nessuno della famiglia; si sentono, quasi tutti, presi in giro e sminuiti da una semplice “criata” che non ha mai saputo veramente stare al suo posto in vita e che, nemmeno da morta, mostra di conoscere l’importanza delle gerarchie sociali! A parte la madre di famiglia, legatissima alla cameriera perché completamente dipendente da lei, gli altri membri Alfallipe sono inviperiti e feriti nell’orgoglio, per cui decidono di fare di testa loro, contravvenendo alle loro abitudini di ricchi svogliati e incuranti, e fanno uscire un annuncio mortuario modificato a loro gusto. Si sente una certa atmosfera tesa, sotto questa decisione, una certa paura superstiziosa dell’ignoto e di cosa potrebbe accadere, contravvenendo alle volontà della morta. Temono che possa addirittura tornare dall’aldilà a rimproverarli…e in un certo senso aspettavo anch’io un colpo di scena medianico (di nuovo i vampiri??) con un ritorno dall’oltretomba. La suspense è forte…ma nessun vampiro, revenant o non-morto. Non per diversi giorni, almeno, finché non arriva una serie di lettere, scritte dalla Mennulara, rivolte alla famiglia, con una serie di istruzioni precise. Il particolare che suona macabro da storia horror è il fatto che le lettere della scrivente (o meglio, di chi le ha scritte sotto sua dettatura) arrivano dopo la sua morte, ma poi l’oscura mano artigliata del buio dell’ignoto svanisce sotto la luce quasi accecante della consapevolezza della cameriera. E qui l'atmosfera si stempera un po' nel giallo-cluedo.

giovedì 2 agosto 2012

La mennulara – Giovanni Verga negli anni ‘60


Dopo streghe, vampiri, gatti tuttofare, draghi, si torna con i piedi per terra. E in una terra particolare, in Sicilia, negli anni ’60. Per essere precisi, il libro si apre il 25 settembre 1963, con un lutto: muore Rosalia Inzerillo, la Mennulara del titolo, cameriera della famiglia Alfallipe, notabili del paese di Roccacolomba. L’inizio è piuttosto lento, quasi sonnolento; il medico constata la morte della cameriera, avvenuta in un soffio, in silenzio. Dopo averla comunicata alle persone che lo attendono in anticamera, tutte animate da sentimenti diversi, prende avvio un romanzo-concerto fatto di mille voci. Ciascuna di esse “canta una strofa”, per proseguire la similitudine musicale, contribuendo a comporre la canzone della vita della Mennulara,  rimasta senza voce per intervento della Natura. Una delle rievocazioni della figura di questa donna controversa, in effetti, la ritrae bambina tredicenne mentre canta con voce forte e intonata, dedicandosi con ferocia a raccogliere mandorle. “Mennulara”, raccoglitrice di mandorle, è il soprannome che le è rimasto, da quella prima occupazione giovanile, cercata con furore per poter aiutare il magrissimo bilancio domestico, rimasto sulle spalle del padre a causa della malattia della madre.
La Mennulara rivive nei racconti di volta in volta astiosi, ammirati, invidiosi, sprezzanti delle persone del paese, a partire dai suoi stessi ex-padroni, la sua famiglia, i conoscenti. Si delinea un ritratto di donna forte, autoritaria, prepotente, impavida, in contro-tendenza con i suoi tempi, il suo sesso, il suo ruolo. Gli Alfallipe, i suoi padroni, sono i classici ricchi oziosi, preoccupati solo dei propri piaceri e di non essere infastiditi mentre li perseguono. Adorano la ricchezza, ma non se ne occupano, non la amministrano, perché lo lasciano fare agli altri, che possono sporcarsi mani e tempo facendolo.

domenica 29 luglio 2012

Le streghe di East End – Divinità nordiche, vampiri, zombie, processi per stregoneria…? Niente è come sembra.


La storia, però, si ripete. A Salem avvenne il sanguinoso processo alle streghe nel XVII secolo, in cui troviamo coinvolte anche le tre dee, che non se la cavarono. Per quanto immortali, capita anche alle due dee più giovani, Ingrid e Freya di “morire”: per stregoneria, per incidente, raramente per malattia. Ritornano in vita sempre attraverso la madre, Joanna, che si trova all’improvviso ringiovanita e incinta. Il modo in cui la Melissa descrive questo avvenimento è davvero spassoso. Allo stesso modo, quello che ho trovato molto divertente è il modo in cui finisce per mescolare personaggi e tradizioni diverse. Poiché le dee nordiche non sono sufficienti, compaiono a movimentare la narrazione un paio di vampiri, guest star, che è meglio non inimicarsi. Arrivano da New York , sono della stirpe dei Caduti, e sono talmente potenti da avere in mano l’intera città, se non il mondo. E’ un’idea che si trova anche in Twilight e negli altri libri della serie. In mezzo a noi umani camminano queste creature, più o meno assetate di sangue umano, a seconda del loro regime alimentare, che vanno però quasi sempre ad occupare posti chiave nel mondo. Non mi è ancora capitato di vedere un vampiro povero, nei libri che ho letto finora. Forse caduto in disgrazia, in depressione (ebbene sì, Anne Rice li fa cadere in depressione nel suo bellissimo ciclo, al punto da indurli a “seppellirsi” letteralmente sotto metri di terra, come se fossero lombrichi), imbruttito, indebolito, ma povero mai.  

giovedì 26 luglio 2012

Le streghe di East End – La mitologia nordica reinterpretata.


L’estate si sta approfondendo. Si avvicina anche il momento di partire per le vacanze, mare, montagna, estero, città d’arte, paesi d’infanzia. Magari con una borsa di libri, perché adesso si ha più tempo. Per una furiosa come me, ogni stagione è il tempo dei libri. Tutto il resto viene dopo. Suono fanatica. Sì, lo ammetto. I libri sono quegli oggetti nel mondo umano che mi fanno vedere tutto solo bianco o solo nero. In altri campi, esistono infinite sfumature di grigio. Questo libro è un regalo molto gradito, che arriva dalla biblioteca di Marzia. Leggendo il titolo, la prima connessione che si è verificata nei neuroni preposti era con le streghe di Salem, uno dei casi di stregoneria più feroci, per come sono avvenuti i fatti, della storia umana. E poi con uno dei molteplici libri ispirati, Le notti di Salem, di Stephen King. Nonostante siano passati diversi anni da quando l’ho letto, avverto ancora qualche brivido freddo. Niente di tutto questo. Il brivido di freddo, più che altro un fresco piacevole, si può ritrovare nei riferimenti abbondanti alle dee della mitologia nordica, su cui è costruito il libro. Non conoscevo l’autrice e nemmeno il genere cui appartengono i suoi libri. Dopo qualche ricerca (Internet Santa Subito), ho scoperto che Melissa De La Cruz ha scritto moltissimi libri, quasi tutti del genere urban fantasy. L’urban fantasy è un sottogenere del fantasy: le sue storie inventate sono ambientate in posti reali, al contrario del fantasy vero e proprio in cui personaggi e trame si svolgono in ambienti e paesaggi completamente di fantasia.  Le protagoniste, qui, sono tre donne, una madre e due figlie: Joanna, Ingrid e Freya, che vivono a North Hampton, una cittadina americana di provincia, uguale a tante sue consorelle di tanti altri libri, film e telefilm (tipo Cabot Cove de La Signora in giallo, tanto per intenderci).  Non sono donne qualunque. Sono dee, sotto mentite spoglie. Il nome Freya mi aveva subito messo sull’attenti…

lunedì 23 luglio 2012

Fai bei sogni – Il grande enigma, il grande gioco, la grande illusione

Si avvicina la fine del libro, e anche quello della resa dei conti. Per tutte le pagine, c’è un senso di attesa sotto, qualcosa che continua a mandare segnali perché c’è qualcosa che non va. Il Massimo adulto viene a conoscenza di com’è morta sua madre, davvero. Non scendo nei dettagli, anzi, li evito decisamente. Quando riusciamo a trovare il tassello mancante in una situazione nella nostra vita (e se siamo particolarmente bravi/fortunati/tenaci/coraggiosi/pazzi quello che risolve l’intera vita), improvvisamente tutto quadra e s’infila al proprio posto, come nei giochi di bambini dove inserire e indovinare la forma geometrica giusta. Quasi per magia. Ogni cosa che guardiamo, pensiamo, via! Vola al suo posto, dopo mesi, anni di sforzi apparentemente inutili. E’ quello che accade a Massimo: non solo eventi della sua infanzia acquistano un altro significato, ma anche il rapporto con il genitore rimasto, e poi andato via, suo padre. Tutte le azioni del padre acquistano un altro spessore, un altro significato, migliore e più completo. La freddezza e distanza apparenti diventano uno schermo che ha tenuto lontani padre e figlio per tutti gli anni dopo la morte della madre, come in uno spartiacque invalicabile. Ma è davvero invalicabile, ogni muro, ogni limite che tiriamo su, basandoci molto spesso sulla nostra interpretazione dei visi e degli umori altrui, sulle nostre proiezioni dettate dalle nostre menti che non tacciono mai, e mai prendono in considerazione l’alternativa più positiva in un ventaglio di ipotesi?  

giovedì 19 luglio 2012

Fai bei sogni – Una vita in punta di piedi


Confesso che ho letto il libro con un senso crescente di straniamento. Non saprei nemmeno spiegare, per quale motivo strano, ritenevo che Massimo Gramellini non stesse parlando di se stesso, ma stesse raccontando un romanzo in terza persona. Gli eventi, descritti, quindi, una madre che muore giovane lasciando un figlio bambino, non potevano essere pezzi di vita sua, ma un espediente letterario. Ripeto, non so proprio spiegarmi perché escludessi a priori che la vita dell’autore fosse libera da dolori e angosce; un personaggio famoso, capace di scrivere come lui, doveva forse essere al riparo da qualunque avvenimento doloroso? Il dolore, invece, non si è tenuto minimamente lontano dalla sua vita, tutt’altro. Si è presentato nel modo peggiore, camuffato sotto tutta una serie di scuse e giustificazioni degli adulti, preoccupati che il bambino Massimo dovesse soffrire troppo, di fronte alla verità spietata, ovvero che la madre stava morendo. E capita in modo strano, ovattato. Si sente subito, nelle parole di Gramellini che parla da bambino di quello che stava vedendo con i suoi occhi “bambini”, che c’è qualcosa di non detto, di nascosto solo parzialmente, come un’ombra goffa e pesante nascosta dietro una tenda semitrasparente. Ed è una sensazione che accompagna per tutto il libro,finché quella tenda non viene aperta.  E non dirò mai cos'era l’ombra, poiché è troppo importante fare la sua conoscenza, prima di ascoltare il suo urlo quando viene scoperta. Un urlo che è già stato sentito, ma non ascoltato, per almeno quarant’anni, per la durata della vita di Gramellini.

lunedì 16 luglio 2012

Fai bei sogni – L'eco del dolore altrui


Questo libro è entrato dalla porta di servizio. Nel senso che non è rimasto attaccato alle mie mani, ma a quelle di mio marito, che lo ha scelto d’istinto. Io, naturalmente, mi sono ben guardata dal muovere qualunque tipo di obiezione. La mia missione principale, nella vita, è quella di dare asilo ai libri, salvandoli dalla solitudine delle librerie. Non è da trascurare il fatto che a me piace moltissimo lo stile di Massimo Gramellini: ogni tanto il suo nome si sovrappone, nella mia mente, a quello del giornale di Torino per cui scrive, La Stampa. Difficile prescindere da lui, se vivi in questa città e leggi quel giornale. Spesso non leggo nemmeno i titoloni in alto degli articoli più in alto, quando compro La Stampa fisica, ma vado ad accertarmi che ci sia il suo “Buongiorno” e a leggere il relativo titolo. Poi acquisto. Allo stesso modo, nella versione online del giornale vado a guardare la sua rubrica, anche facendo veri e propri camel trophy per trovarla, perché non è immediatamente visibile, come nella sua controparte di carta. Misteri da webmaster. Scoprii l’esistenza e lo stile di Massimo Gramellini all’epoca di Specchio, il supplemento del sabato, con la sua rubrica, Cuori allo Specchio. All’inizio mi era quasi completamente sfuggita: l’avevano messa in ultima pagina, che è il luogo che scarto quasi a priori. Mi sono accorta presto, però, che il detto “dulcis in fundo” qui è particolarmente adatto, per cui l’ultima pagina per me divenne prima: adottai la lettura alla “giapponese” per Specchio…J Quello che mi colpì quasi subito del modo di scrivere di Gramellini era il suo stile molto vivo, di carne.

giovedì 12 luglio 2012

Assassinio nella Cattedrale – La tentazione


L’atmosfera è pesante, tetra e senza alcuna speranza, da subito. Un coro di donne, che sembra uscito direttamente dalle tragedie greche, fa sentire subito la disperazione di un giorno di dicembre del 1170, quando tutta la vita sembra essersi fermata per l’inverno. Sono preoccupate per se stesse, per gli oscuri presagi che leggono nella natura intorno, per l’Arcivescovo e la difficilissima posizione in cui si è messo, ostacolando la volontà del re. Alcuni preti entrano dopo di loro, e la conversazione è sullo stesso tenore: nessuno di loro vede la possibilità di un esito positivo della vicenda. Quando entra Thomas à Becket, non ci sono grandi cambiamenti: lo stesso Arcivescovo si sente segnato, sente che il suo tempo è contato e che non può e non vuole farci nulla. La prima volta che lessi il libro, al liceo, avevo soggezione di questa atmosfera tragica, di tono così elevato. Thomas à Becket, fin dall’inizio, sa che deve morire, che non può non morire, e accetta la sua fine inevitabile con coraggio sereno. Ora, a distanza di anni e con una visione almeno un po’ più ampia e sperimentata, sarei portata a pensare che l’arcivescovo si è arreso troppo presto al suo ruolo di martire.

mercoledì 4 luglio 2012

Assassinio nella Cattedrale – Un titolo cinematografico

Di nuovo Eliot. Dopo aver finito di leggere Il libro dei gatti tuttofare, ho scoperto che non potevo fare a meno di ritornare all’altro titolo che ho già nominato di Eliot, Assassinio nella Cattedrale. Lo lessi a scuola, e la mia immaginazione piuttosto fervida si era avventata subito sul titolo, dai toni apocalittici, cinematografici, e dai molteplici echi. Non conoscendo ancora Eliot e non sapendo collocarlo nel suo tempo, la prima cosa che pensai fu ad un giallo sul modello di quelli di Agatha Christie. Rimuginando sul titolo, mi sembrava di sentire alcuni echi del genere “Hanno ammazzato compare Turiddu!”, che è l’urlo che chiude Cavalleria Rusticana, di Verga. Ok, sono consapevole che sono due autori, due libri, due situazioni completamente diverse. Ma hanno in comune una matrice tragica che corre al di sotto delle due narrazioni, e che non si può rovesciare. I protagonisti finiranno entrambi uccisi, lo sanno entrambi (Cronaca di una Morte annunciata…sì, questo titolo di un’opera completamente a se stante potrebbe essere il sottotitolo ideale di parecchi libri. Ora si capisce meglio cosa s’intende per “Furore d’aver libri’”? Si inizia a parlare di libri e la frenesia s’impadronisce, spingendo a richiamare alla memoria autori e libri diversi, antitetici, uguali, separati alla nascita) e non lottano per cambiare questo stato di cose. Sanno che è ineluttabile, ed è necessario per loro finire così. Entrambi, Turiddu e Thomas à Becket, l’arcivescovo di Canterbury, hanno offeso un’autorità, che non prevede il perdono per quello che hanno fatto.

domenica 24 giugno 2012

Il libro dei gatti tuttofare – La rassegna


Inizia la rassegna dei tipi di “gatti tuttofare”. Il primo gatto è in contemplazione muta e immobile del suo nome. Gli altri manifestano la loro essenza nei modi più diversi. La vecchia Gatta Gianna Macchiamatta (The Old Gumbie Cat) siede senza far nulla sui gradini di casa per tutto il giorno. Ma quando cala la sera, improvvisamente entra in scena: va in cantina, scova i topi e invece di mangiarseli si occupa della loro educazione: musica, ricamo, lavoro ad uncinetto, cucina. Non è quantomeno bizzarro? Queste prime righe mi hanno riportato alle atmosfere allucinate di Alice nel Paese delle Meraviglie, con il Bianconiglio indaffaratissimo e spaventatissimo dall’enorme ritardo accumulato nello sbrigare le sue faccende. Si prosegue con un Sandogatt (eh, sì…J), che forse suona più divertente alle nostre orecchie latine di Growltiger, l’originale inglese, che è un gatto d’assalto. D’aspetto trasandato perché reduce di mille battaglie, duro e poco piacevole, è il primo a farsi coinvolgere in ogni rissa, se non a iniziarla. E’ mosso da odio e volontà di vendetta verso altre razze di gatti, come i Persiani e i Siamesi, poiché uno di loro ebbe il coraggio di strappargli un orecchio. Il terrore di tutti i porti, il “bullo” per eccellenza, però, viene ripagato della sua vita di violenze e soprusi, nell’ultima lotta che lo vede perdente e costretto a saltare giù da un muretto in acqua. Alla terza poesia, ci si rende conto di come Eliot abbia voluto prendere in giro alcuni tipi umani piuttosto precisi: il Tirammolla (the Rum Tum Tugger) è un gatto perennemente indeciso e “bastian contrario”. Se gli si offre un cibo, ne vuole un altro. Se viene portato fuori casa, rientra in casa. Se viene tenuto in casa, miagola perché vuole uscire. Irritante, eh? “ed è del tutto inutile sgridarlo:/lui alla fine fa/solo quel che gli va/e non c’è nessun modo di cambiarlo.” (T.S.Eliot, Il libro dei gatti tuttofare, pag. 31, Bompiani) Vedo un riflesso abbastanza familiare…

venerdì 22 giugno 2012

Il libro dei gatti tuttofare – Il nome dei gatti


Iniziamo a parlare di nomi, allora. La prima poesia s’intitola proprio così, Il nome dei gatti. Sembra una faccenda da poco…ma è davvero così? Si potrebbe girare la domanda a qualche proprietario, o meglio, a qualche co-inquilino umano del suddetto animale. Eliot non pensa che sia una questione facile, e inizia: “ E’ una faccenda difficile mettere il nome ai gatti;/niente che abbia a vedere, infatti/ con i soliti giochi di fine settimana…”(Eliot, Il libro dei gatti tuttofare, pag. 5, Bompiani). Ed espone poi la sua teoria. I gatti, in realtà, non devono avere solo un nome, ma tre. Uno, domestico, tollerato dall’animale (aggiungo io, questa è una mia impressione), di uso “comune”. Probabilmente per dare all’umano l’illusione di possesso sulla bestiola. Il secondo, è il nome che il gatto considera più appropriato per sé e che lo fa incedere sussiegoso e ben pieno di sé. Almeno, secondo i suoi canoni…Eliot ne dà qualche esempio, come Mustrappola, Tisquass, Ciprincolta (originali inglesi: Munkustrap, Quaxo, Coricopat), “nomi che vanno bene soltanto ad un gatto per volta”. (ibidem) E questi sono i nomi che identificano ogni gatto, esattamente come i nomi umani identificano le persone tra di loro (e noi abbiamo anche i cognomi, per sconfiggere le omonimie), e in qualche modo le modellano.

martedì 12 giugno 2012

Il libro dei gatti tuttofare – Sorprendente l’autore.

Questo è un libro pieno di stranezze, a partire dall’autore: nientemeno che Thomas Stearns Eliot. Io lo conoscevo dai tempi del liceo, come un autore “serio”…almeno, tutti gli autori che si studiano al liceo sono visti come “seri” perché li si conosce attraverso i libri di scuola, dimenticando che prima di essere scrittori, poeti, e poi “classici”, “impegnati”, “importanti” (gente seria, insomma), sono esseri umani. Esseri umani particolarmente dotati e particolarmente desiderosi di esprimersi. Qualcuno anche esagerando…ma è solo una mia opinione, ovviamente.  Ritornando a T.S.Eliot, io conoscevo di lui altre opere come The Waste Land e Murder in the Cathedral, che non sono propriamente libri di lettura leggera. Per l’ombrellone è meglio scegliere qualcos’altro, anche se sono entrambi parecchio interessanti e ricchi. Murder in the Cathedral mi ha sempre colpito, perché è così…teatrale. A parte il fatto che è davvero un dramma teatrale, la stessa ambientazione dell’assassinio (una cattedrale, e per essere più precisi, la Cattedrale di Canterbury), l’identità dell’assassinato (Thomas Becket, l’arcivescovo di Canterbury), nonché quella degli assassini (alcuni tra i cavalieri più vicini al re, Enrico II d’Inghilterra) contribuiscono ad elevare il “tono”. Non un curato di campagna tremebondo (e qui difficile non ricordarsi il nostrano Don Abbondio…), non una chiesetta in un paesetto sperduto in Svizzera, non un gruppo di teppistelli ubriachi, ma nientemeno che un Arcivescovo, a Canterbury in Inghilterra, e quattro tra i cavalieri più vicini al trono inglese del momento.
Con questa premessa, Il libro dei gatti tuttofare mi ha fatto subito sorgere questa domanda: ma che c’entra Eliot con i gatti, e per giunta tuttofare?

domenica 10 giugno 2012

Imparare l’ottimismo – Scontro di stili


Quello che mi colpisce, e molto positivamente, è che l’autore ha un approccio talmente pratico alla materia che parte a raccontare molto spesso di sé e delle sue stesse reazioni di fronte agli avvenimenti.  Seligman è attualmente uno psicologo stimato,  il fondatore di una “corrente” nuova, la psicologia positiva, autore di libri diventati best sellers, Presidente dell’APA (American Psychological Association) per diverso tempo in passato.  Ma non è nato in queste cariche alte, e non si è trovato coperto di onori per caso o in modo semplice. Essendo un innovatore, e un rivoluzionario da un certo punto di vista, ha avuto il coraggio e la forza di contrastare quelli che erano gli dei del momento nell’ambito della psicologia in America negli anni ’70, i comportamentisti. Secondo questa corrente di pensiero, gli esseri umani dovevano il loro comportamento unicamente a fattori esterni, e in modo più specifico, alle ricompense e alle punizioni ricevute nel corso della loro vita. La coscienza, il pensiero, la capacità di progettare, elaborare, creare, non contava nulla. In questo caso, il comportamento dell’individuo varia al variare dell’ambiente: se l’ambiente cambia e diventa positivo, allora anche l’essere umano diventerà positivo. E gli esempi sono anche molto semplici: la povertà diventa la vera causa della criminalità, secondo questo approccio. Una volta eliminata la povertà, anche i crimini scompariranno. La stupidità deriva dall’ignoranza: con l’aumento della scolarizzazione, anche questa verrà “curata” e scomparirà. Sono idee  che assomigliano pericolosamente a luoghi comuni e portano via una parte considerevole dell’interazione della vita. Dov’è la responsabilità individuale? Dov’è la capacità di reagire, di elaborare un evento e di trasformarlo, se necessario?

lunedì 28 maggio 2012

Imparare l’ottimismo – Un apprendimento


Questo è un libro da leggere piano e applicare una pagina al giorno. Seligman, dopo aver introdotto l’ottimismo, parla subito del grande antagonista, il pessimismo. Anche il pessimismo s’impara. E come si può imparare, si può anche disimparare.
Ottimisti e pessimisti: li studio da venticinque anni. La caratteristica che definisce i pessimisti è che essi tendono a credere che gli eventi negativi durino molto tempo, distruggano tutto e siano la conseguenza di colpe proprie. Gli ottimisti, quando devono confrontarsi con le avversità di questo mondo, si comportano in maniera opposta. Tendono a credere che la sconfitta sia solo temporanea e che le sue cause siano circoscritte ad uno specifico evento. Gli ottimisti credono che il fallimento non sia conseguenza di errori propri, ma delle circostanze, della sfortuna o delle azioni di qualcun altro. Gli ottimisti non si scoraggiano dopo una sconfitta. Percepiscono  una situazione negativa come una sfida da sostenere strenuamente.”
(Martin Seligman,“Imparare l’ottimismo” –  Giunti, pag.7)
Questo paragrafo, da solo, vale un intero manuale di istruzioni. Pochi tocchi, ed ecco i ritratti accurati degli eterni antagonisti.  E quanto è preciso e corrispondente a verità! Ho riletto queste righe più volte, riconoscendomi in diversi punti dello schieramento, sia da una parte sia dall’altra. E’ vero che sono un’ottimista di natura, ma ho attraversato e ogni tanto mi capita tutt’ora,  di attraversare diversi momenti bui in cui ritengo che gli eventi negativi dureranno per sempre e che siano sempre e solo colpa mia. L’età, gli eventi, una  conversione, hanno fatto in modo che vedessi piuttosto chiaramente questo meccanismo di pessimismo che scattava subito dopo un evento negativo. Porvi rimedio e cambiargli segno non è facilissimo, e nemmeno immediato. Non basta dirsi che andrà tutto bene o fischiettare un motivetto allegro come dice Seligman qualche pagina dopo…è il pensiero alla base di queste affermazioni che DEVE cambiare di segno, per portare al CAMBIAMENTO DI ATTEGGIAMENTO NELLA PRATICA.

lunedì 30 aprile 2012

Imparare l’ottimismo – Insospettabile…


Sembra una scelta modellata sui tempi attuali, che non hanno niente o quasi di positivo o di incoraggiante. I libri, solitamente, svolgono il ruolo di “incoraggiatori” al meglio, dato che aprono sempre la mente spingendola a guardare e riflettere oltre la situazione del momento. Il titolo mi ha colpito subito, perché ho sempre pensato che ottimismo e pessimismo fossero caratteristiche intrinseche e quasi immutabili della persona, quasi come il colore degli occhi o dei capelli. Nonostante si possa intervenire abbastanza facilmente su questi, cambiandoli con lenti a contatto e tinture, è difficile che occhi azzurri diventino verdi o neri  nelle iridi, senza qualche intervento soprannaturale o fantascientifico (tipo quello che capita nel film Face Off). O sei pessimista, o sei ottimista, ecco cos’ho sempre pensato. In questo libro, però, la questione non è così bianco-nero, luce-ombra. Esiste una tendenza a pensare positivamente o negativamente, nell’individuo, determinandone così l’atteggiamento ottimista o pessimista, ma non si tratta di nulla di immutabile o su cui non si possa intervenire. Infatti, il sottotitolo è piuttosto chiaro, oltre che molto allettante:  Come cambiare la vita cambiando il pensiero.  A questo punto sono decisamente affascinata e il libro mi riaccompagna a casa. E’ un libro intenso sin dalle prime pagine: l’argomento è abbastanza complesso e l’approccio che sceglie Martin Seligman è facile, ma non facilone; semplifica ma non sminuisce la materia. Usa moltissimi esempi tratti dalla vita quotidiana, in cui ci troviamo tutti, in ogni secondo del nostro tempo, ad ogni latitudine, con qualunque temperatura e qualunque sia la lingua che usiamo per esprimerci. Il primo aneddoto che usa per esemplificare i due modi principali per porsi nella vita riguarda una giovane famiglia: padre, madre, bimba neonata. Il padre la guarda orgoglioso e felice nella culla, la bimba si risveglia dal suo sonno, il genitore le sorride e tenta di attrarre la sua attenzione chiamandola, non ottenendo risposta. La chiama di nuovo, ma nessuna reazione dalla bimba, che ha gli occhi aperti e si muove, ma non lo guarda. Il padre inizia ad angosciarsi. Quasi di sicuro c’è qualcosa che non va. Batte le mani più forte per attirare l’attenzione della bambina, ma ancora nulla. Ecco. Lo sapeva. La bambina è di sicuro sorda.
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