mercoledì 31 luglio 2013

Le fiabe di Beda il Bardo – Dopo Harry Potter, ma ancora non Seggio vacante.

Oggi, 31 luglio, ricorre il compleanno anche di J.K.Rowling, l’iper famosa creatrice di Harry Potter, e del suo successore (anche se di settore diverso) Barry Fairbrother. Anche di questa donna e della sua saga principale, si è detto tutto, e il contrario di tutto. L’hanno persino fatta comparire in un episodio dei Simpson. Per menzionarla qui, dopo Primo Levi, ho pensato all’unico libro che ancora non avevo letto di lei, Le fiabe di Beda il Bardo. E’ un libro che la Rowling ha scritto per sostenere l’opera del Children’s High Level Group, associazione da lei fondata insieme alla Baronessa Nicholson di Winterbourne, Membro del Parlamento Europeo, per aiutare i bambini “istituzionalizzati”. Si tratta di quei bambini che vivono in grandi istituti di accoglienza in tutta Europa, che però non sembrano ricevere tutto l’aiuto e l’accoglienza di cui avrebbero davvero bisogno. Il nome nel titolo mi aveva colpito perché è realmente esistito un Beda, diventato famoso per la sua Storia ecclesiastica degli Angli e degli Iuti, più nota come Historia ecclesiastica gentis Anglorum. Poiché si tratta di un monaco, passato alla storia come un grandissimo storico, mi sembrava troppo serio come scrittore di fiabe. Con la Rowling, tuttavia, niente è mai come sembra...tuttavia, è sufficiente aprire il libro e vedersi fugare gli ultimi dubbi. Nella sua introduzione, la scrittrice parla di queste fiabe come creazioni di maghi e streghe per i propri figli, distinguendoli subito da qualunque confusione con quelle dei Babbani per la loro prole babbana.  Niente Cappuccetto Rosso, Bella Addormentata o Tre Porcellini, o niente di simile. Beda il Bardo fu un personaggio vissuto nel XVI secolo, un mago, di cui rimane un’unica xilografia che lo ritrae coperto da una barba particolarmente rigogliosa, e pochissime altre notizie biografiche. Naturalmente, non dimentichiamoci che è la Rowling a parlare di questo personaggio...e lei non è nota per essere una storica accurata come Beda Il Venerabile. :-D
Essendo fiabe per piccoli maghi e streghe in crescita, le tematiche affrontate sono un po’ diverse, almeno in apparenza. Ognuna di esse viene commentata nientemeno che da Albus Silente, il saggio Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, la versione Rowling di Gandalf. No, non sto facendo confusioni o colpevoli sovrapposizioni: questo mago inevitabilmente mi ricorda lo Stregone Grigio, che al momento si è eclissato a Moria con il Balrog. In un gioco abbastanza ironico e divertente, la scrittrice introduce alcuni commenti ai commenti di Silente, a beneficio dei Babbani, che potrebbero non capire o ignorare alcuni termini. Quando si inizia a leggere le fiabe, si capisce quanto le etichette “per maghi” “per babbani” vengano pian piano a sbiadire, fino a perdere di significato. Ognuna è un gioiellino di atmosfera, di sentimenti repressi, di oscurità sanguinolenta appena accennata, di doppiezza, come già era emerso piuttosto bene nella saga Potter. Il mago e il pentolone salterino mostra come l’alterigia e lo snobismo verso “gli altri” si trasformi in persecuzione, quando il giovane mago prepotente figlio del vecchio mago buon samaritano si rifiuta di aiutare i Babbani in difficoltà. Solo quando accetta la responsabilità di avere un potere e di doverlo usare per il bene di tutti, e non tenerlo gelosamente per il proprio tornaconto personale, la vita ritorna normale e rilassata. La fonte della buona sorte è uno scherzo ironico, dove tutti i tasselli scombinati del mosaico vanno al proprio posto con naturalezza e un pizzico di ironia. Le tre streghe protagoniste chiedono aiuto, faticano, disperano, e non si rendono conto che è proprio la loro intraprendenza e la loro crescita interiore a determinare i cambiamenti desiderati. Lo stregone dal cuore peloso ha un risvolto splatter che potrebbe piacere anche a Dario Argento. Il giovane stregone protagonista è convinto di poter mettere al riparo il proprio cuore dall’azione dell’amore, che egli percepisce come umiliazione e indebolimento. Per un certo periodo sarà anche così, e riuscirà nel suo intento. Ma un inaspettato giudizio negativo lo fa impazzire di rabbia, e invece di imparare la lezione, provocherà la propria rovina. Baba Rapa e il ceppo ringhiante è la denuncia della stupidità e dell’ipocrisia, che si annidano proprio in quelli che si ergono a paladini di qualcuno o di qualcosa. Il Re stolto della fiaba odia maghi e streghe, li fa bandire perché in realtà vuole essere l’unico mago del regno.  Questa volontà cieca di auto-affermazione gli fa fare la figura del perfetto stupido (e incoerente, aggiungerei), quando cade preda di un cialtrone avido ma non sufficientemente sveglio. Ne La storia dei tre fratelli si parla dei doni della Morte, un bel riferimento abbastanza trasparente a Harry Potter e ad alcune vicende della sua vita. Tre maghi fratelli scampano alla morte grazie ai loro poteri, e la Signora con la Falce accorda loro un premio ciascuno per essere riusciti  a gabbarla. Due dei tre pensano di poterlo fare ogni volta che vogliono, e di poterne uscire vincitori per sempre grazie ai premi. Le conseguenze dei loro comportamenti sconsiderati vanno in direzione completamente opposta. E il terzo fratello? E’ quello più saggio, meno incline a vanterie sproporzionate, ed è anche l’unico che inganna la Morte sul serio, per diverso tempo, almeno apparentemente.

Come si vede, tutti i protagonisti sono rigorosamente maghi e streghe, e si trovano davanti a difficoltà e problemi da superare. Usano incantesimi e bacchette, e questo li avvantaggia. Ma i sentimenti e i comportamenti dettati da questi, sono molto, molto umani. E li avvicina ai Babbani. Bacchetta o meno, l’amore e la morte arrivano e si fanno sentire, in ogni caso, in ogni condizione, in ogni punto della scala sociale. A questo punto, di che utilità è la distinzione tra maghi e babbani?

Primo Levi - Un ricordo

Non ci sono parole sufficienti per ricordare uno scrittore come Primo Levi, una pietra miliare, un esempio umano fortissimo di quegli anni orribili in cui la malvagità umana ha dominato da padrona i cuori di tutti, lasciando tracce molto profonde, che non potranno mai più andar via.
Io sono quella meno adatta a parlare dell'importanza di Primo Levi nella nostra storia umana e letteraria, non ho la preparazione sufficiente, non sono un critico di settore, sono nata più di vent'anni dopo quel buco nero di cattiveria, e non ho passato quelle sofferenze. Ed è difficile anche solo accennare ad un argomento così profondo e buio come l'olocausto e le sue vittime, dopo aver allegramente discettato di fantasiosi Signori di anelli, draghi scombinati, vampiri tenebrosi, ma ho voluto fermarmi un momento a ricordare la nascita di qualcuno che ha lottato contro il Male, una forza molto più potente di lui, che alla fine è riuscito a portarselo via, pur in pieno tempo di pace e di riappacificazione, inducendolo ad anticipare la sua ultima ora.
Quello che ricordo di Se questo è un uomo, è la resistenza fortissima che lo scrittore oppose a quel Male a briglia sciolta, che faceva emergere i mostri umani senza freni, aggrappandosi a quello che lo faceva restare un essere umano: la conoscenza. Per sopportare la tortura di essere preso e depredato di tutto, fin nella dignità, Primo Levi richiama alla mente i versi della letteratura che studiava a scuola. Dante, soprattutto, e quel suo verso così intenso e illuminante: "Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza". (Inferno, Canto XXVI) Leggevo di quel suo tentativo disperato di restare umano, e mi suonava quasi una presa in giro orribile, in mezzo a quell'infinita brutalità, che lo smentiva clamorosamente. A distanza di tempo ho capito che non era così. Proprio nei momenti peggiori, in cui tutto il bello e il buono sembra morto, è necessario appellarsi e nutrire la scintilla rimasta, PER NON CEDERE.
E' stato quel suo continuo allenarsi a trovare e a riconoscere i trucioli di umanità sparsi nella palude fetida in cui l'hanno buttato, che lo ha portato fuori dall'inferno, quasi sicuramente. Il danno, tuttavia, è stato profondo e logorante, e quando si è riaperto, vi si è abbandonato.

Per approfondire la conoscenza di quest'uomo lottatore, seguite il link della Treccani qui sotto...

Primo Levi in Dizionario Biografico – Treccani

lunedì 29 luglio 2013

Un Anello per domarli...Ovvero quando la dominazione produce effetti alquanto bizzarri.

Faccio una piccola deviazione, di nuovo, dall’argomento principe, i libri. E tiro in ballo di nuovo Facebook. Il social network in blu offre perle degne davvero del tesoro di un drago (non discostiamoci dal tema, nemmeno per il parlare figurato), in tutti i campi, e quando si tratta di Tolkien, non fa differenza. Per caso, sono inciampata nella Pagina Facebook IlFantastico Mondo di J.R.R.Tolkien, proprio mentre sono immersa nell’Estate Tolkeniana. E mi si è spalancata una finestra spettacolare su tutto un mondo di “dominati” da Tolkien e dai suoi anelli. Ho riconosciuto dei fratelli e delle sorelle, credo da tutto il mondo, e li ho accolti con entusiasmo. E io che pensavo di essere strana perché ho un Nazghul in casa...quello perplesso della foto qui accanto. Fino a che punto si spinge l’influsso di un libro? Qui ne vediamo un assaggio, con manifestazioni diverse.




Inizio con l’immagine che stamattina mi ha strappato mormorii di ammirazione.

Su Facebook non era riportata la provenienza, ma la curiosità, unita a Google, mi hanno portato ad un blog di una giovane svedese: Sandra Holmbolm. Consiglio di visitarlo, se per caso si vogliono idee nuove per truccarsi occhi e labbra. E chiamarle nuove mi sembra persino un eufemismo...questa ragazza è un'artista. Del resto, il banner del suo blog dice chiaramente che il viso è la sua tela e i cosmetici i suoi pennelli. E non lo fa per mestiere...semplicemente, si diverte!
Fortunatamente, la creativissima Sandra scrive anche in inglese, così ho potuto leggere che per truccare gli occhi in questo modo, ci ha impiegato un'ora e 45 minuti. Elenca minuziosamente i prodotti e le marche che ha utilizzato, spiegando anche che questo tipo di trucco Nazghul le è stato ispirato dal suo amore per i cavalli. Le era rimasta impressa questa scena, de Il Signore degli Anelli...e ha pensato bene di ricrearla. E questo risponde alla mia domanda implicita: perché?
Oltre alla spiegazione più semplice, ovvero che la spinta creativa non è mai irreggimentata, semplice, grigia, burocratica, lineare. In ogni caso, questa ragazza si è guadagnata senza sforzo la mia ammirazione sconfinata. E' riuscita a fotografare una delle scene più terrorizzanti del film, quando il Nazghul in caccia cerca Frodo e sta quasi per scovarlo, usando ombretti, matite e pennellini, strumenti di solito poco spaventosi, anzi evocatori di glamour, colore, gioia. 

Un bel tris di tatuaggi. Cercando con Google emergono centinaia di foto di persone che si sono fatte tatuare quasi tutti i simboli più noti del libro di Tolkien: l'Albero di Gondor, la maledizione dell'Anello, l'occhio di Sauron (e quello sì che è impegnativo), le facce dei nani, ecc. Quello che vince la classifica qui del più originale e di quello che si presta maggiormente ad OGNI sorta di battute, è quello sulle Porte di Moria. Anche se sembrano tutti e tre fatti molto bene, molto nitidi e precisi. Non m’intendo assolutamente di tatuaggi: mi piace guardarli e li apprezzo particolarmente quando sono ben marcati come questi. Mi sembrano un pochino impegnativi...soprattutto quello sul decolleté con la cifra di Tolkien. Tuttavia, se paragonati a certi tatuaggi rituali o religiosi eseguiti in Giappone, sono quasi figure stilizzate e contenute. :-D



Purtroppo, qui non ho notizie dei tatuatori, né dei tatuati che hanno offerto le proprie carni al nume Tolkeniano. 







E ora, un meme per raccontare i caldi insopportabili di questi giorni:



L’anno scorso c’era la moda di attribuire nomi letterari alle correnti d’aria calda che ci uccidevano senza pietà (Caronte, Lucifero, Pandora, ecc.), mentre ora tiriamo in ballo Tolkien e gli Hobbit. Potrebbe essere concomitante all’uscita del film Lo Hobbit...in ogni caso, mi è sembrata divertente. E in linea con l’Estate Tolkeniana.

domenica 28 luglio 2013

Il Signore degli Anelli – Dopo tanto tempo...

...ed eccolo arrivato, finalmente. Il libro di cui ho parlato in lungo e in largo per tutta la Rete. Quello che ho letto per dodici estati consecutive, da giovanetta, e che ho deciso di riprendere, in questa, la tredicesima che cade nell’anno 2013. M’intendessi di numerologia, sarebbe interessante capire se c’è un significato dietro, o un simbolismo che al momento mi sfugge. Probabilmente potrebbe dirmi qualcosa di più colui che si è occupato di scrivere la prefazione all’edizione italiana della Rusconi, del 1980, ritratta in foto. Sto parlando di Elémire Zolla, un uomo rinascimentale nel pieno del XIX secolo. Torinese di nascita, origini cosmopolite da padre italiano, madre inglese, conoscitore esperto di tre lingue dalla più giovane età, e padrone di altrettante, vive e morte, da studente, studioso brillante, in molti campi. C’era forse qualcuno più adatto di lui per introdurre Il Signore degli Anelli? Non mi vengono nomi alternativi, in questo momento. Parlare di questo libro non è banale, senza scadere nella semplice adorazione cieca e acritica, o nel racconto entusiastico della sua trama, ormai molto nota. Fior di critici, a tutte le latitudini, hanno esaminato, rovesciato, sviscerato, compilato tonnellate di pagine sui significati nascosti, sui simboli, sulle lingue usate e inventate, sui personaggi, sui legami con la tradizione letteraria antica anglosassone o meglio, norrena.  E altrettanti fior di fans hanno fatto sentire la loro parola quando si è trattato di contribuire alla sceneggiatura del film di Peter Jackson. Un giro in Rete, o anche solo in Facebook, permette di scoprire blog interamente dedicati alle edizioni dei libri di Tolkien, oppure foto di Porte di Moria tatuate su gambe e braccia umane, fedelissime all’illustrazione originale. E io? Io mi accosto in silenzio a quest’opera, mi siedo ad ascoltare la voce da cantastorie di Tolkien che narra della guerra più antica e moderna di tutte, quella tra Bene e Male, e sorrido, piango, mi irrito, mi stupisco, mi spavento, mi annoio, mi agito ansiosa, protesto, sbuffo, rido, attendo, man mano che i personaggi vivono e agiscono. Come ho fatto ogni volta. No, qui la memoria labile non c’entra, e nemmeno l’ottusità: in fondo, le vicende narrate sono sempre quelle, da 58 anni a questa parte, e non abitando a Hogwarts, non posso aspettarmi che nottetempo cambi qualcosa in quelle pagine! Tolkien opera una bizzarra forma di magia. I suoi personaggi sono fuori dal tempo, sono completamente inventati, parlano lingue assurde, vivono una quantità spropositata di anni, compongono poesie ad ogni pié sospinto, indossano abiti dalle proprietà magiche, usano  asce, archi, spade, si destreggiano tra alberi parlanti, parlano tra sé e sé come matti, sono bamboline di carta, che si possono rivestire di corazze magiche, o di abiti da cerimonia, a seconda dell’occasione. Eppure sono nostri. Sotto quelle figurine di carta dai nomi così estranei, battono i nostri cuori, con le stesse esitazioni, grandezze e meschinerie che ci contraddistinguono nella nostra vita a tre dimensioni, nelle nostre case e nei nostri luoghi di lavoro, che non assomigliano fisicamente a lande desolate, fortezze arroccate o montagne senzienti, ma che talvolta possono rivelarsi isole di felicità come il reame di Lorien, o covi di Orchetti come le Miniere di Moria. Con tanto di Balrog che ci fa inciampare nell’abisso con lui.  Ho parlato prima di Elémire Zolla, andando apparentemente fuori tema, proprio perché, leggendo finalmente  la sua prefazione, bellamente ignorata per dodici volte, ho trovato una spiegazione accurata e molto più chiara dei miei vaneggiamenti da caldo, sul significato più sotterraneo dell’opera di Tolkien:

Qualcuno, a sentir parlare della creazione di una nuova epopea cavalleresca, ha scosso la mano dicendo che preferiva leggersi epopee antiche vere. Obiezione encomiabile, se Tolkien non avesse scritto appunto qualcosa di uguale alle epopee antiche, di altrettanto vero. Infatti ci vuol poco a sentire che egli sta parlando di ciò che tutti affrontiamo quotidianamente negli spazi immutevoli che dividono la decisione dal gesto, il dubbio dalla risoluzione, la tentazione dalla caduta o dalla salvezza. Spazi, paesaggi uguali nei millenni, ma da lui riscoperti in occasioni prossime a quelle che noi stessi abbiamo conosciuto. Sull’elsa delle spade immemoriali dura ancora il calore di un pugno, sull’erba immutevole è passata un’orma da poco, e quella presenza così prossima potrebbe essere la sua o la nostra. Non a caso The Lord of the Rings è diventato così popolare, i bambini vi si ambientano subito e i dotti godono tanto a decifrarlo quanto a restare giocati da certi suoi enigmi puramente esornativi. Si rimane stretti in una maglia ben tessuta, fatta  dei nostri stessi tremiti, inconfessati sospetti, sospiri più intimi a noi di noi stessi. Perché opera di così impalpabili forze, The Lord of the Rings si divulgò smisuratamente, senza bisogno di persuasioni o di avalli, perché parlava per simboli e figure di un mondo perenne oltre che arcaico, dunque più presente a noi del presente.” (J.R.R.Tolkien, Il Signore degli anelli, Rusconi, pag. 8)

Archetipi. E’ una parola chiave nell’opera di Zolla (che studiò e scrisse anche sui Tarocchi), e qui fa capolino, anche se non citata. Ci appartengono talmente, tuttavia, che quando qualcosa va a sfiorarli, immediatamente ne siamo catturati.

venerdì 26 luglio 2013

L’ospite di Dracula – Bram Stoker inizia.

Sembra fatto apposta. Man mano che l’estate progredisce e diventa sempre meno sopportabile, io sono spinta a cercare letture veloci e rinfrescanti, che vanno a nascondersi negli anfratti della mia libreria. Ed ecco che, dal fondo di uno scaffale, esce un libriccino, intitolato L’ospite di Dracula, di Bram Stoker, che contiene una serie di racconti del terrore. L’ideale causa di brividi che portano sollievo con queste temperature schiaccianti. Leggendo di queste atmosfere nere e di presenze tutt’altro che simpatiche, ho sentito un certo refrigerio...:-D I libri sono ben in grado di portare cambiamenti concreti nelle nostre vite, persino in termini di temperatura atmosferica! Concentrandosi sul libro, si potrebbe dire che contiene un “episodio pilota”, secondo le definizioni moderne e di matrice televisiva. Nel racconto intitolato “L’ospite di Dracula”, Bram Stoker tratteggia un breve antefatto, ancora abbastanza grezzo, della vicenda che svilupperà in seguito nel romanzo creatore del vampiro per eccellenza. Un gentiluomo inglese che alloggia in una locanda nei dintorni di Monaco, decide di intraprendere una lunga passeggiata nei boschi vicini. Riceve forti raccomandazioni di ritornare molto prima del buio, e di non inoltrarsi lungo un certo sentiero, perché al calar della sera sarebbe iniziata la terribile Walpurgis Nacht, una ricorrenza del calendario in grado di spaventare a morte tutti coloro che la nominano. Il buon inglese, che si dispone a raccontare nei particolari la vicenda, dimenticandosi di presentarsi al lettore, sbuffa derisorio di fronte alle manifestazioni di terrore e ai segni della croce ripetuti freneticamente di coloro cui si rivolge, e intraprende la sua passeggiata. Forte della sua razionalità molto sviluppata e del suo atteggiamento fortemente empiristico, decide di ignorare bellamente lo scorrere del tempo, oltre a tutte le raccomandazioni. Arrivato davanti al sentiero incriminato, cosa farà mai il nostro sprezzante eroe? Ma lo imboccherà con trepidazione e molto entusiasmo, ovviamente! Mentre noi lettori sappiamo sempre cosa capita dietro gli angoli, al fondo dei sentieri sconsigliati, negli angoli bui delle cantine trascurate, o nelle stanze polverose delle case con cattiva nomea, questi personaggi danno sempre prova di un ottimismo e di una sventatezza davvero sconcertanti, e quasi sempre controproducenti. Non racconterò altro di questo gioiellino appena sbozzato di Stoker: quando si arriva in fondo, e mancano poche pagine dal momento in cui il gentiluomo posa il piede sul sentiero maledetto, si sorride e si commenta: “ah, ecco! Tutto quadra!” Stoker scelse poi di sviluppare il romanzo di Dracula in altro modo, e abbandonò questo scritto breve perché non lo considerò all’altezza, ma qui ci sono già le caratteristiche del suo modo di scrivere e di costruire la suspense. Per quanto breve, non si può fare a meno di sentirsi un po’ in ansia per le sorti dello sventato, e di occhieggiare nervosamente il fondo delle pagine, per capire se davvero l’ombra dell’albero è solo un’ombra o qualcos’altro. L’atmosfera cambia decisamente e si fa molto più cupa e anche meno elegante, con i racconti successivi: La squaw, Il funerale dei topi, e La casa del giudice. Il titolo de La squaw è ingannevole: viene citata una squaw, ma non è lei la protagonista vera e propria, ma una gatta nera dotata di un’insopprimibile sete di sangue e di una capacità di architettare una vendetta terribile che la accostano ad un demone incarnato, piuttosto che ad un “semplice” animale. All’astuzia infernale della gatta fa da contraltare la stupidità boriosa di un essere umano, incauto e superficiale. Il funerale dei topi è altrettanto fuorviante,almeno a prima vista, perché porterebbe a immaginare una situazione in cui i topi sono i protagonisti di primo piano, e siano loro gli attori principali del racconto. Sono spaventosamente presenti, con i loro occhi e i fruscii dei movimenti, ma il protagonista vero e proprio è il crescendo di suspense: una situazione che da tranquilla e potenzialmente sotto controllo, diventa sempre più pericolosa, ad ogni parola pronunciata dai personaggi, ad ogni dettaglio “strano” messo in evidenza, ad ogni movimento apparentemente tranquillo. La casa del giudice mette in scena ancora i topi, facendoli sentire, più che vedere, e i rischi che si corrono quando si presume troppo dalle proprie forze, e dalle proprie capacità di leggere il pericolo nell’ambiente circostante. Sono racconti pieni di effetti speciali, tant’è che, come ho detto prima, sono in grado di spegnere il caldo e l’afa. Il veicolo per esprimerli non sono personal computer di ultima generazione, ma le parole e il loro uso molto saggio e accorto, che finisce per catturare chi legge. Stoker è un cacciatore di attenzione e un evocatore di drammi. I suoi inizi sono sempre tranquilli, noncuranti, come certi suoi personaggi, un po’ pigri negli atteggiamenti verso gli altri e la vita. Pronti a diventare sordi alle ansie e alle raccomandazioni altrui, sfoderano un ottimismo a tutto tondo, e finiscono per tuffarsi a capofitto in un ginepraio di guai, di natura quasi sempre sovrannaturale. Talvolta riescono a salvarsi, perché conservano una lucidità forte che attiva coraggio e risorse, ma quando si rifiutano di farlo, e camminano ciechi e sorridenti verso la loro rovina, questa arriva in un secondo, impedendo a chiunque di salvarli. C’è una piccola lezione, al fondo di queste catastrofi “annunciate”: ti avevo o non ti avevo avvertito? Poiché hai scelto di ridermi in faccia, ti sei bruciato qualunque possibilità di salvezza. The horror, the horror!

mercoledì 24 luglio 2013

Festeggiamento di Compliblog: lettori premiati!

Il blog Un buon libro non finisce mai ha avuto un’idea carina per festeggiare il suo compliblog: mettere in palio alcuni e-book, come Vetro, di Giuseppe Furno, edito da Longanesi, Lastanza del dipinto maledetto , di Corrado Spelli, edito da Newton Compton Editori, e Laspada di Allah, di Francesca Rossi, edito da La mela avvelenata.

Volete saperne di più? Tuffatevi nel link e seguite le facilissime regole e i giochi proposti per partecipare ai GiveAway, ma attenzione alle date: i GiveAway di Vetro e de La stanza del dipinto maledetto si concludono il 1° Agosto, mentre quello per La spada di Allah il 31 luglio.


Buona partecipazione e buone letture!

lunedì 22 luglio 2013

I sotterranei della cattedrale – Investigazioni ante litteram

Ultimamente ho scoperto la bellezza delle letture “veloci”. In mezzo al tema dominante, infilo anche libri che non c’entrano molto, ma che hanno il pregio di distrarmi e, perché no, anche di darmi ulteriori spunti. Dalla Terra di Mezzo mi sono spostata velocemente a Urbino, nel 1789. Mi sono trovata ad accompagnare Vitale Federici, giovane e brillante studioso di Filosofia dell’Università di Urbino, per gli edifici che compongono l’ateneo, mentre cerca il materiale per il suo dottorato (uno studio sull’influsso dei corpi celesti sull’essere umano), e fa una macabra scoperta: il suo professore, nonché maestro, padre Fernando Lamberti, viene trovato morto ai piedi di un ponteggio nella cattedrale della città. A prima vista, pare che il prelato sia caduto dall’impalcatura, per una tragica disgrazia. Il giovane e sveglio Vitale, che lo conosce piuttosto bene, scarta quasi subito l’ipotesi che sembra accontentare gli inquirenti, e la maggior parte dei colleghi insegnanti del Lamberti. Un uomo dell’età e dell’atteggiamento del professore di filosofia, arrampicarsi come un manovale su un’impalcatura, di notte? Lo spirito di osservazione e ricerca piuttosto allenato lo convincono che c’è qualcosa di più dietro questa morte tragica, attirando il suo sguardo su uno strano segno rosso sul palmo del Lamberti. Prima che possa scoprire di più, viene fatto allontanare di corsa. Da questo momento in poi, seguiamo Vitale nei suoi svelti progressi verso la verità, partendo da un’antica leggenda che racconta di un antico ninfeo romano, un tempio dedicato alle ninfe, nascosto nel labirinto di sotterranei che corrono sotto Urbino. Naturalmente, non sono tutti concordi nel ritrovare questo tempio, o anche solo fare pubblicità a quello che, in tempi moderni, sarebbe una scoperta archeologica sensazionale, come i Bronzi di Riace, o il Fauno danzante. Nel XVIII secolo, i dotti non erano caratterizzati da apertura mentale verso templi ed edifici pagani, poiché li vedevano come minacce potenziali per la vera e pura fede cristiana. Vitale si vede mettere i bastoni fra le ruote spesso e volentieri, sfida le autorità universitarie, e con l’aiuto di due compagni di corso piuttosto intraprendenti (e dotati di un forte tempismo), allestisce una sorta di “squadra d’investigazioni” sulla scena  del crimine (un Grissom o un Horatio urbinati, in pieno XVIII secolo) che lo porta a scoprire la verità, e a salvare la propria vita, visto che padre Lamberti non è la sola vittima nel libro. Mi ha ricordato molto, per la velocità e la struttura ben congegnata, alcuni gialli d’ambientazione medievale, con le indagini di Fratello Cadfael, per Ellis Peters, o quelle di Owen Archer, create da Candace Robb. L’osservazione e l’uso della logica caratterizzano questi personaggi che non possono fare affidamento su macchine fotografiche, computer e programmi d’elaborazione sofisticata, o polverine magiche per scoprire le impronte. Per quanto mi piacciano molto le serie TV investigative, e ammiri le attrezzature fantascientifiche che riescono a mettere in campo, sono molto più colpita dall’acume e dalle capacità di osservazione dell’uomo, che mettono insieme indizi ed elementi e costruiscono un quadro preciso e spesso esatto di come si è svolto un crimine. Quando mi capita di leggere questi gialli d’ambientazione antica, è spesso un sollievo vedere come usano l’ingegno gli uomini e gli scarsi mezzi a disposizione, anche se, talvolta, rimpiango (dal punto di vista di un lettore furioso particolarmente partecipe della vicenda) che non abbiano scoperto prima le polveri per le impronte digitali...:-)

giovedì 18 luglio 2013

Premi e riconoscimenti per il Furore di Aver Libri

Ci vuole un bel post di ringraziamenti, ogni tanto, dopo che arrivano riconoscimenti e premi.
Nei giorni scorsi, i votanti del blog hanno fatto in modo che entrassi in classifica nei motori di ricerca, come si può vedere nella colonna a lato, e questo mi riempie di gioia e di piacere. Ad ogni riconoscimento mi sento spronata a continuare e a fare meglio. Un grazie deciso e sonoro a tutti coloro che seguono e leggono il blog, e che l’hanno votato! J
Per restare in tema, stamattina ho ricevuto la graditissima sorpresa da parte di Cristina di Athenae Noctua, che mi ha segnalato per un altro Liebster Blog Awards. Grazie! Un ottimo modo per iniziare la giornata, per non parlare dello sprone che ricevo. Ho giusto un paio di idee in fermento che devo concretizzare, e che presto compariranno su questi schermi.
Nel frattempo, rispondo alle bellissime domande poste da Athenae Noctua:

1.     C'è un sito artistico, ambientale o architettonico italiano cui tieni particolarmente? Ora riesco a pensare a intere città, con le loro bellezze sparse tra cerchia di mura, basiliche, affreschi, mosaici: Ravenna, Parma, Volterra, Cremona, Urbino, Gubbio, Gradara. Se non ho citato altro, è perché la mia memoria è difettosa.
2.      Qual è la corrente artistica che preferisci? Rinascimento, senza dubbio, per pittura, scultura, architettura. Michelangelo è il dio che le concretizza. (sì, sono  fissata, non ho alcuna remora ad ammetterlo).
3.     Quali sono i tre libri cui sei più affezionato/a? Per quale motivo? E qui ripeto la mia ossessione: Il Signore degli Anelli perché i suoi anelli mi hanno incatenata, con il mio pieno consenso, e non ho alcuna intenzione di liberarmene. Il tormento e l’estasi, perché è la vita di un dio che si è fatto uomo e ha concretizzato la sua missione su questa terra in modo eccezionale. Il re e il suo giullare, perché mi fa vivere un periodo che m’interessa profondamente, per quanto mi irriti altrettanto profondamente.
4.     C'è un film che consiglieresti a tutti di vedere? La ricerca della felicità, di Muccino. E’ la storia della determinazione titanica di un uomo che non vuole farsi sconfiggere e che supera le sue prove una dopo l’altra, nonostante tutte le batoste che riceve.
5.      Per informarti sull'attualità, ricorri più a internet o a giornali, libri e televisione? Internet e libri, ma cum grano salis. Sono diventata allergica a televisione e giornali, troppo asserviti all’allarmismo e al pessimismo. Se ascoltiamo i telegiornali finiamo per imbottirci di ansiolitici e smettiamo di esercitare la nostra umanità.
6.     C'è un evento (fiera, festival, raduni ecc.) cui tieni a partecipare regolarmente? Il Salone del Libro...ho fatto una lunga pausa, ma ora mi piacerebbe riprendere la “tradizione”.
7.     Ti piacerebbe fare il/la blogger di professione o preferisci che la tua attività rimanga un passatempo? Mi piacerebbe molto essere una blogger di professione...ma la strada è lunga, lunghissima!
8.     C'è un avvenimento particolare che ti ha convinto/a ad aprire il tuo blog? Trovarmi con molto tempo libero quasi all’improvviso, e con una passione per libri, comunicazione e Internet che doveva essere incanalata...
9.     Chi/cosa è in grado di tirarti sempre su di morale? I libri non mancano mai di tirarmi su di moraleE un’amicizia preziosissima, di antica data.
10. C'è un post del tuo blog di cui vai particolarmente fiero/a? Quelli su Il tormento e l’estasi, e Uomini che odiano le donne. Sono libri che mi hanno scavato dentro un po’ più in profondità.
11.  Hai un motto o una citazione che ti rappresenta? Ne ho diversi. Volli, volli, fortissimamente volli (Alfieri). L’unica costante è il cambiamento (Buddha). Cadi sette volte, rialzati otto (proverbio giapponese).

E ora, i blog che desidero premiare:

Toccherebbe a me, ora, creare 11 domande da sottoporre alle premiate, se hanno desiderio e tempo per partecipare.  Ho rielaborato un set precedente di domande...introducendo qualcosa che non avevo chiesto prima.

1.       Cosa ti piace fare, oltre a leggere?
2.       L’apparecchio tecnologico che preferisci?
3.       Preferisci acquistare libri o prenderli in biblioteca?
4.       Se fossi un regista, che film ti piacerebbe girare?
5.       Che genere ti piace?
6.       Se fossi Dio per una settimana (come capita a Jim Carrey nel film), cosa faresti per primo?
7.       Ti è mai capitato di voler riscrivere un libro che hai letto?
8.       Immagina di scrivere al tuo autore preferito, anche del passato. Cosa gli scriveresti?
9.       Quale espressione artistica preferisci, tra pittura, scultura, architettura?
10.   Quale genere musicale preferisci?

11.   Quale genere musicale vorresti cancellare dal pentagramma, se potessi?

Ancora grazie e buoni libri a tutti!

lunedì 15 luglio 2013

Il Cacciatore di Draghi – Una favola buffa e irriverente

Mentre Frodo comincia ad aver guai con i suoi cupi inseguitori, mi diverto con questa favola irriverente. Gli esordi di Tolkien sono avvenuti nel rispetto di una certa tradizione letteraria antica, e nella leggerezza. Lo Hobbit, del 1936, rievoca le battaglie epiche tra le razze guardandole dall’ottica di un popolo piccolo e bucolico, ansioso di mantenere le proprie tradizioni di convivenza pacifica, disinteressato a intrighi economico-politici. Il cacciatore di draghi, pubblicato tredici anni più tardi, è una favola in parodia delle grandi gesta degli uccisori di draghi delle tradizioni letterarie nordiche. E’la storia di Aegidius Ahenobarbus Julius Agricola de Hammo che, nonostante il lungo nome altisonante che lo qualificherebbe come un principe o un cavaliere di alto lignaggio, è un semplice agricoltore del villaggio di Ham, nel bel mezzo dell’Isola della Britannia. Per essere veloce, e per ridimensionare una storia che sembrava partita in alto, l’autore decide di chiamarlo con il suo nome “volgare”,  Giles. L’uomo, proprietario di un cane parlante, Garm, conduce la sua vita nella routine più semplice e ripetitiva, finché una passeggiata notturna effettuata da un gigante stupido e sordo, innesca una serie di avvenimenti che lo portano, da semplice agricoltore, a impavido e ricco cacciatore di draghi, e poi sovrano. Il gigante si perde nel corso della sua passeggiata, e viene avvistato da Garm che abbaiando come un forsennato, spinge il suo esasperato padrone a occuparsi di questa minaccia, pur essendo spaventato dalle dimensioni dell’enorme sempliciotto. L’eroica impresa, del tutto spontanea e non cercata, si sparge immediatamente per tutto il villaggio e nei dintorni, magnificando il coraggio e le gesta di Giles, fino alle orecchie del re, che lo invita addirittura a corte.

mercoledì 10 luglio 2013

Il racconto su Drakula voevoda – L’inizio storico del Dracula

Ogni tanto, mi sorge l’impulso di virare decisamente verso la direzione opposta a quella che sto percorrendo. Dracula non ha molta attinenza con Lady Susan e la questione femminile, o con Frodo che sta per capire in quale ginepraio si sta tuffando con quel bell’anello d’oro lasciatogli dal caro zio Bilbo. Ieri pomeriggio stavo guardando la mia vecchia libreria in casa dei miei genitori, che raccoglie la mia collezione libresca giovanile, riscoprendo vere e proprie perline. Una di queste è Il racconto su Drakula voevoda, di cui mi ero completamente dimenticata. E’ un gioiellino non solo per il contenuto, ma anche per l’aspetto. E’ uno dei libri di formato piccolino editi da Sellerio, con quella copertina di carta pesante ripiegata, di un informe colore grigio o blu, molto essenziale, su cui spicca, incollata, un’immagine solitamente di un quadro o di una stampa poco conosciuti, dei secoli passati. E’ uno di quei libri che a me piace immensamente tenere tra le mani come se fosse uno scrigno, e accarezzare come se fosse la lampada di Aladino custode del potentissimo genio. E’ un libro antico d’aspetto, per quanto non lo sembri affatto: stampato nel 1995, con un prezzo ancora in lire. Sulla copertina spicca un’immagine a tinte scure di un olio risalente al primo quarto del XVIII secolo, conservato al Museo Russo di Stato di San Pietroburgo. E’ un gentiluomo dal viso serio, con tratti marcati, e occhi profondi dall’espressione ferma e rapace. Le mani sono grandi, forti e suggeriscono una presa spietata, nient’affatto gentile. Un bel ritratto di Dracula, quello storico. Se non fosse per la foggia dell’abito che indossa, che a malapena s’indovina sullo sfondo scuro, e che è troppo moderna per l’epoca in cui visse davvero, non si avrebbero dubbi. E’ un piccolo gioiello, questo libro, perché parla di un frammento di storia umana, di un personaggio passato alla storia per la sua estrema crudeltà, raccontato da un monaco sconosciuto, di cui è rimasto solo un nome, Efrosin.

lunedì 8 luglio 2013

Lady Susan – Una donna...ingombrante e non convenzionale

Contemporaneamente all’Estate Tolkeniana, corre un’Estate al Femminile.  E’ un’estate in cui torno a certe mie origini per riprendere alcuni pezzi miei che avevo accantonato e trascurato, e da cui riparto per nuove strade, con una nuova visione, meditata, creata e attuata completamente da me. Uno dei pilastri di questa visione è la donna: la sua personalità, il suo modo di agire, il suo significato, il suo ruolo, la sua presenza. Cos’è una donna? Chi è una donna? Sono diversi anni che mi girano in testa queste domande inespresse. Le loro origini sono variegate, complesse. Affondano nella realtà, negli esempi che posso vedere in torno a me, e nei libri, classici, romanzi d’evasioni, saggi, che dipingevano cuori femminili forti, sconfinati, coraggiosi, ma anche deboli, frivoli, traditori, intriganti. Penso soprattutto ad alcuni romanzi e poemi del Settecento, in cui spesso si mettevano in luce gli errori e i difetti umani, con particolare insistenza su quelli femminili, che destavano particolare “scandalo”, e orrore. Choderlos de Laclos e la sua spaventosa Madame de Meurteil, Alexander Pope e la sua Belinda, sono i primi personaggi che mi vengono in mente. Restando nello stesso secolo di questi due autori, il XVIII secolo, mi sono fermata nel paese di uno di questi, la Gran Bretagna. In quegli anni, una giovane scrittrice crea personaggi femminili affascinanti, nati nel suo mondo di piccolissima aristocrazia, bucolico, riservato, gentile. In apparenza. Basta spostare le cuffiette ornate, sbirciare sotto le giacche sobrie dei gentiluomini per scoprire cuori da avventurieri, e spietatezze, seppur metaforiche, degne di scenari di guerra, duelli verbali condotti con la stessa sete di sangue di quelli combattuti con le lame, pur mascherati da maniere eccellenti e voci composte. La giovane scrittrice è Jane Austen. Una vita brevissima, la sua, durata solo 42 anni, spenta forse dal morbo di Addison, relativamente povera di avvenimenti, ma florida e ricchissima come produzione letteraria. Mi ha sempre colpito l’apparenza dimessa dei suoi scritti. Niente battaglie epiche, niente eroismi, niente scenari esotici, niente navi in tempesta, nessuna fanciulla minacciata da bruti/draghi/parenti cattivi, niente lacrime e svenimenti facili, niente segreti terribili, niente maledizioni secolari, niente vampiri malvagi, niente duelli all’alba. “Solo” una grande e piccola commedia umana. Una commedia che diventa il fulcro principale dei fiumi d’inchiostro versati da Balzac, che nasce poco più di vent’anni dopo, in un altro paese, ma che mostra lo stesso interesse per l’agire umano.

La diciannovenne Jane, che ha già al suo attivo tantissimi racconti, elabora con Lady Susan Vernon un personaggio di donna scomoda, disturbante, nell’arco di quarantuno lettere. La maggior parte di queste è scritta dalla stessa perfida Lady ad una sua amica e confidente, altrettanto perfida (forse un tantino più gelida). A queste si contrappongono le rimanenti, scritte da Catherine Vernon, la cognata della Lady, alla propria madre, e da Reginald De Courcy, suo fratello.  L’alternarsi dei punti di vista sulla stessa persona, o sulla stessa situazione, diventa una specie di gioco di specchi. Lady Susan è una donna amante dei piaceri, bella, affascinante, intelligente, scaltra, con un enorme talento sociale, ma quasi priva di mezzi. Il suo bell’aspetto, il suo stile, la sua conversazione briosa, sono le armi di cui si serve con calcolo per attirare gli sguardi e possibilmente un nuovo marito ricco che le garantisca una bella vita. Per perseguire il suo obiettivo, si disinteressa al limite dell’odio della propria figlia sedicenne, messa in un canto in un collegio con la scusa di curare un’educazione carente, e non esita a far “guerra” alle donne più giovani di lei, se incautamente le attraversano il cammino e minacciano di intralciare i suoi piani. Un temperamento da predatrice dissimulato da sorrisi angelici e comportamenti virtuosi, puramente di facciata. Sembra che a questo panzer in abiti Impero vada liscio ogni piano, impunita. Tuttavia, le marionette che ha così astutamente manovrato per tre quarti del breve romanzo, si risvegliano e scoprono di avere una propria testa e un proprio cuore, per cui, almeno una parte dei piani della cara Lady vanno in fumo. L’ho ammirata e detestata.

venerdì 5 luglio 2013

Lo Hobbit – Avventura, scoperta, formazione.

Mentre contempla la bella e placida Contea davanti alla sua bella casetta ordinata, stipata di cose buone da mangiare, Bilbo incarna un’altra bella tesserina lucida di questo mosaico bucolico, della bella vita e delle belle intenzioni. Da lì a poco, più precisamente all’ora del the, questo mosaico si sbriciolerà, portando via con sé un attonito ed esaltato (sotto sotto) Bilbo. Mentre il bollitore borbotta, suonano alla porta. Un nano, di nome Dwalin, vestito di mantello e cappuccio verde, e cintura d’oro, si presenta ed entra veloce, comportandosi come se fosse a casa propria. E’ il primo di una lunga serie di scampanellate e di relative presentazioni da parte di altri nani, vestiti più o meno come il primo, dai lunghi alberi genealogici e dai nomi importanti, che si dispone nel salotto di Bilbo a fumare, gustare the, caffè, bevande, dolci, birra, attingendo copiosamente dalla dispensa pur fornitissima del frastornato hobbit. Tredici nani, uno stregone (Gandalf chiude la fila) e uno hobbit formano una Compagnia di viaggio alquanto bizzarra (una sorta di prove generali per la Compagnia dell’Anello più tardi), con questa missione azzardata e pericolosa in mente: recarsi in un posto lontano, dal nome esotico di Montagna Solitaria, scendere nei suoi sotterranei, sbarazzarsi di un ingombrante drago sdraiato su un incommensurabile mucchio d’oro, recuperare così in un colpo solo un tesoro e la casa “natale” dei nani (tra di loro c’è Thorin Scudodiquercia, il discendente di un’antica famiglia reale, che rivendica il proprio trono).
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