mercoledì 26 giugno 2013

Lo Hobbit - Dove tutto ebbe inizio

Mentre attendo che Il Signore degli Anelli torni a casa, per poter riannodare l’oscura conoscenza, rileggo Lo Hobbit, che idealmente è il primo passo del lunghissimo viaggio che porta lo hobbit Bilbo ad impadronirsi suo malgrado di un anello magico, a tirare fuori la parte più avventurosa e selvaggia del suo animo, a scontrarsi con un drago, e partecipare ad un’epica guerra tra razze. Quando sentii parlare per la prima volta di questa storia, che ho condensato in tre righe, mi fu raccontata come favola (ero bambina) e come parte integrante de Il Signore degli Anelli: pensavo davvero che fosse un solo libro. Per cui, passai i primi capitoli a cercare il drago, che ovviamente era già ampiamente morto e sepolto da un’altra parte, mentre l’Anello, l’Unico Anello, era già in scena in casa di Frodo. La prima volta che lessi Il Signore degli Anelli, lo feci con un senso di incompletezza. Cercavo un drago, e loro mi davano Nove Cavalieri Oscuri, che non smettevano di cacciare e terrorizzare il povero Frodo, finché non furono portati via da onde fluviali trasformate in cavalli bianchi invincibili. Volevo sapere chi diavolo era Gollum, e il perché di quel nome grottesco, e nessuno dei personaggi si sbilanciava più di tanto a rivelare qualcosa di questa creatura, dando per scontato e glissando come se niente fosse. Finché non vidi sul catalogo Euroclub Lo Hobbit, o La Riconquista del Tesoro, e non fugai tutti i miei dubbi. La lettura dei libri di Tolkien per me fu l’equivalente della ricostruzione di un mosaico, dopo aver cercato e rintracciato tutte le tessere. Credetti di aver finito la mia esperienza di Indiana Jones del settore, almeno per quanto riguardava i libri, ma poi scoprii un intero mondo all’Università, questa volta su Tolkien stesso. Non era “solo” uno scrittore. Studioso di un certo livello della lingua anglosassone, professore di lingua e letteratura inglese a Oxford, linguista, FILOLOGO e, quasi di conseguenza, glottoteta, o glossopoeta (creatore di linguaggi artificiali, in sintesi). Era uno scrittore demiurgo. Qualcuno che crea mondi, li popola di persone, e dona loro una vita, lingua, cultura proprie. Ero una matricola, già attratta e catturata dal corso di Filologia Germanica, e scoprire che l’autore del mio romanzo pilastro lo era stato a sua volta, e anche ad altissimi livelli, mi galvanizzò e spinse decisamente nella direzione appena abbozzata, che si sarebbe conclusa con una tesi nel campo. Scoprire quelle informazioni su Tolkien, la sua professione e il background culturale al di sotto dei suoi romanzi, me li fece comprendere maggiormente. Era fantasia viva, verosimile, molto più vicina. Le radici di Bilbo sono le stesse che hanno fatto crescere gli alberi della letteratura anglosassone e scandinava antiche, che hanno scelto uno sviluppo più originale, moderno. La trama de Lo Hobbit è piuttosto nota, al pari di molti classici di altri tempi, argomenti e lingue. In una regione di quel paese che è la Terra di Mezzo, vive una popolazione di esseri piccoli di statura, d’indole schiva e pacifica, dediti soprattutto alla vita bucolica a stretto contatto con la natura e ai piccoli grandi piaceri relativi alla buona tavola e alla condivisione con i vicini. Non amano intrattenere rapporti con le altre razze, e sono felicissimi di vivere tutta la loro vita nella loro amata Contea, tra amici e parenti che conoscono perfettamente. Non amano avventure: sono cose pericolose, da cui è necessario guardarsi. Dello stesso parere, almeno apparentemente, è Bilbo Baggins, uno degli Hobbit più rispettati e benestanti della Contea: quando lo sguardo del narratore si abbassa su di lui, è seduto davanti alla porta di casa sua, dopo un’abbondante colazione, intento a fumare la pipa.  

sabato 22 giugno 2013

Inizia l'Estate Tolkeniana

Non poteva mancare, tra le mie ossessioni furiose. Ci penso da quando ho aperto il blog, un anno fa. John Ronald Reuel Tolkien. E il suo Il Signore degli Anelli, naturalmente. Penso di aver già detto in un altro post come ho conosciuto prima il libro, sentendomelo raccontare da bambina da una supplente particolarmente in gamba e creativa, che aveva azzeccato un buon metodo per tenere a bada e soggiogati una schiera di bambini a lei sconosciuti, al di sotto dei dieci anni, senza ricorrere a minacce o a violenze. Quando riuscii a mettere le mani sul libro, qualche anno dopo, era estate e la scuola stava finendo. Lo lessi e lo rilessi. E anche l'estate dopo. E quella ancora dopo. Credo che fosse il mio rito personale per sancire l'inizio dell'estate, che durò almeno dieci anni o poco più. Forse fu l'Università a interrompere la tradizione, e tutte le altre esigenze che si sono presentate, distogliendomi dal mio librone, che era sempre lì ad aspettarmi. 

Quest'anno, complice Marzia e la sua richiesta di portare a termine la lettura de Il Signore degli Anelli, che non la convinceva troppo, da diversi anni, ho ripensato al mio rito personale e mi sono chiesta: perché non riprenderlo? Ed essendoci anche il blog, ho l'occasione per parlare di un autore che per me è stato importante, al punto da dedicargli una pagina tutta per lui. E con questo post, scritto a due voci con Marzia, dichiaro ufficialmente aperta l'Estate Tolkeniana. ^___^

La parola a Marzia...

Le manie di una lettrice furiosa

Tempo fa, nel post dedicato al Salone del Libro, dichiarai ufficialmente:
la mia annosa controversia con Il Signore degli Anelli è risolutivamente conclusa; ho portato a casa il volume unico, un bel “tomone ciccio” di cui ho già notato una revisione nella traduzione.
Il libro di Loredana è qua sul mio scaffale da qualche mese ormai.
E non per la prima volta: io e Loredana scherzavamo sul fatto che il suo libro si sarebbe sentito a suo agio fra i miei, ormai conosce bene me ed i miei scaffali.
Adesso è ora di restituirlo.
Buffo: mi sento a disagio.
Possibile? Siamo abituate a scambiarci i libri, perché stavolta provo questa sensazione strana? Di abbandono?
Insomma, ho la mia copia dove il famoso “coniglio al ragù” di Sam, che turbava i miei sonni, è diventato uno stufato di coniglio!
Sì, turbava i miei sonni: sono ferrarese da parte di padre, il ragù è nel nostro DNA assieme alla pasta all’uovo, le lasagne, i tortellini, i “cappellacci” (tortelloni di zucca), il salame all’aglio, la salama da sugo ed il panpepato di Natale… insomma, cosa c’entra il ragù col coniglio? Si usa la carne del coniglio per fare il ragù? O tanto per non farsi mancare nulla, gli Hobbit condiscono riccamente anche il coniglio, alla faccia del colesterolo?
Per non parlare del burro che è nominato spesso, assieme alle grasse abitudini alimentari di Sam &C…
O i misteriosi “Rifugi Oscuri” che nella mia copia diventano i “Porti Grigi”.
Sto guardando il librone “vissuto” di Loredana.
Ricordo che gliel’ho chiesto (ancora) in prestito per superare un momento difficile.
Ero talmente “storta” che avevo bisogno di qualcosa che impegnasse ed assorbisse tutta la mia attenzione. Che mi distogliesse dai crampi e facesse dimenticare che le gambe cedevano più del solito.
Ha assolto pienamente, tenendomi incollata al divano anche per leggerlo.
Ecco perché ora provo una certa nostalgia proprio per quel libro.
Quel volume – proprio “lui” – mi ha regalato molto.
Mi piace anche il mio, con la sua copertina scura e sobria. Ma saluto con gratitudine un amico.

Sembro una maniaca?

Sono una lettrice furiosa! 

venerdì 21 giugno 2013

200 lettori alla prova! Avete voglia di vincere ebook?


...se la risposta è sì, è sufficiente visitare uno di questi due link:



e partecipare all'iniziativa, seguendo le istruzioni, almeno fino al 24 giugno 2013, ore 8,30.

Partecipate numerosi, numerosissimi!



Liebster Blog Awards - Il Furore premiato anche con il caldo!


Un post di ringraziamento sentitissimo, questo. Chefdilibri, o meglio, MasterChefdilibri, del blog Parole di Cioccolato, viste le bontà che prepara e di cui generosamente distribuisce le ricette a noi assaggiatori affamati, mi ha nominato ancora una volta per il Liebster Blog Awards. GRAZIE! Sono felice e grata, per cui mi sento spronata a continuare così e anche a fare di meglio. 
E cosa c'è di meglio che leggere tonnellate di libri?

(sì, capisco tutte le altre opzioni, ma qui si parla di Furore D'Aver Libri. Niente di obiettivo.) :-D

Da regolamento, ci sono le domande fatte dal blog premiatore cui rispondere, le nomine degli altri blog da fare e la creazione di un altro set di domande per i premiati. Lo farò, prometto. Ora sono felice, ma anche piegata dal caldo, per cui non riuscirei ad agire e pensare da essere senziente...

giovedì 20 giugno 2013

Dio odia il Giappone – L’originalità a tutti i costi

Hiro Tanaka si produce in sforzi veramente titanici per essere originale, e non farsi prendere dall’omologazione così tipica del suo paese d’origine. Uno di questi è persino...banale, se mi permettete l’evidente contraddizione con la frase precedente. Sperimenta droghe. Riesce però, a farlo senza farsi ingoiare, masticare e sputare via come un nocciolo inservibile, come capita a molti. Le droghe gli fanno un effetto buffo, come sottolinea più volte al suo migliore amico, Tetsu. Passa da un lavoro precario all’altro, e spende profusamente per comprarsi vestiti alla moda, per poter “aumentare le sue probabilità statistiche di accoppiamento”. Vive con il suo amico, in un appartamento ricavato in un palazzo di uffici abbandonato. E concretizza il suo dialogo interno rivolgendosi ad un proprio ipotetico “clone”, creato da qualche scienziato pazzo del futuro con molto tempo libero.  Nei momenti di “Caro clone, ti scrivo”, Hiro si concede il lusso di guardare se stesso e la propria vita senza pesi, senza giudizio, come se stesse davvero raccontando la vita di qualcun altro. Lo consiglia e lo mette in guardia persino sulle allergie di cui potrebbe soffrire:
 “Caro Clone, te ne ho tenuta da parte una bella succosa: sarai allergico a tutto quello che finisce per –aina...benzocaina, novocaina e, anche se non l’ho mai provata, cocaina. L’ho sperimentato sulla mia pelle, mentre mi facevo otturare una carie sulla poltrona del dentista, nel 1984. Non mi ricordo molto: ho perso i sensi, e solo dopo ho scoperto che avevano dovuto farmi un’iniezione di noradrenalina e un minuto di massaggio cardiaco sul pavimento del dentista. [...] Quindi, se ti fai male alle caviglie, procurati della morfina. O della codeina. O altri oppiacei. Sono molecole più simpatiche”. (Douglas Coupland, Dio odia il Giappone, ISBN Edizioni, pag. 108)
Sotto il sarcasmo, il paradosso e l’ironia che costruiscono il modo di parlare e di atteggiarsi di Hiro, si sente una sorta di affetto, di slancio per se stesso che non riesce a concretizzare nella vita reale, e che viene riversato su questo suo “clone”, un altro se stesso che è più facile da amare e accudire perché è più lontano, quasi distaccato. 
Caro Clone, trovo poetico e beffardo che il tuo corpo rifiuti proprio le cose che normalmente dovrebbero alleviare il dolore. È come se l’universo ti avesse deliberatamente precluso l’utilizzo di tutti i rimedi rapidi: l’alcol ti fa stare male, la droga ti rende paranoico e gli antidolorifici ti provocano dolore. A questo punto, caro Clone, non mi sorprenderei se un domani scoprissi che siamo allergici ai cuscini morbidi e ai divani comodi.” (Douglas Coupland, Dio odia il Giappone, ISBN Edizioni, pag. 108)

Avevo detto che il sottotitolo del libro, romanzo d’amore e fine del mondo, stava per farmi posare il libro per sopraggiunta irritazione. Nello stato d’animo di chi accetta una sfida che lo mette a disagio, mi sono disposta ad ascoltare il modo in cui sarebbe comparso l’amore nel romanzo. Fin dalle prime pagine compare, sottoforma di ammirazione per le tre ragazze popolari della scuola, quelle che guardano lontano dopo un’improbabile conversione, e si fa strada in sordina. Hiro cerca amore, pur se travestito da impulso all’accoppiamento, e lo riversa su destinatarie con alta probabilità di rifiuto. Una di queste è Naomi, la sorella minore di Tetsu, che è un personaggio altrettanto singolare. Sopravvive all’attentato nella metropolitana del 1995 con il gas Sarin, perdendo un polmone, acquistando una cicatrice-marchio, sviluppando un cinico distacco verso tutto ciò che sta al di fuori di lei (famiglia, società, amici), e un atteggiamento aggressivo verso la vita e le cose che vuole e anche quelle che non vuole. Come per Harry Potter, la cicatrice diventa il marchio di fabbrica indesiderato di Naomi, una bandiera al contrario da tirar fuori per tener lontano e ribadire il proprio desiderio di non essere vincolata a niente e a nessuno. Naomi è solitaria e aggressiva, non cerca affetti se non un sollievo puramente temporaneo ed egoistico. Hiro si adatta...a modo suo. Quando improvvisamente la ragazza scompare, si accoda al fratello deciso a cercarla per l’intero globo. Seguendo le sue tracce, i due ragazzi si trovano improvvisamente catapultati a Vancouver, in Canada. Due giapponesi con scarsissime conoscenze d’inglese, piombati in una realtà completamente opposta, totalmente allo sbaraglio, più di quanto lo siano normalmente nelle loro vite consuete. Il modo in cui Hiro descrive se stesso in Canada e quello che vede in Canada, è davvero esilarante. Sembra sul serio l’alieno caduto dalla navicella spaziale sulla terra senza i suoi super attrezzi o superpoteri, che si aggira spaesato facendo una sciocchezza dopo l’altra, come capita di vedere in molti film.  Quella che, secondo me, descrive perfettamente il carattere di Hiro, avviene quando il ragazzo entra in un supermercato di Vancouver, leggendo i prezzi della merce come se fosse la prima volta per lui in un negozio. Attratto da un bel pezzo di carne, un arrosto di costata dal prezzo basso, lo compra d’impulso e lo porta nella camera d’hotel che divide con Tetsu, posandolo all’esterno, sul balconcino. Riporto qui la scena successiva: 
La mattina dopo, intorno alle sei, io e Tetsu ci svegliammo di soprassalto. Da fuori arrivava un frastuono che sembrava quello di un combattimento di galli. Andammo alla finestra e aprimmo le tende: c’era una decina di gabbiani lanciati nella più sanguinolenta delle orge culinarie. ‘Il mio arrosto!’ ‘Hiro, imbecille. Guarda che casino. E cos’è che volevi farci, cospargerlo di pepe e cuocerlo per due ore?’ Aprii la porta a vetri, ma sembrava che ai gabbiani non fregasse niente. La richiusi. ‘Mi piaceva tanto quell’arrostino di costata.’” (Douglas Coupland, Dio odia il Giappone, ISBN Edizioni, pag. 131)
Ho dovuto posare il libro per poter ridere in santa pace, da sola, cercando di nascondermi sotto il sedile dell’autobus per evitare internamenti improvvisi in apposite strutture. Hiro è questo: una personalità in cerca di se stessa, che nel corso del suo viaggio (anche interiore) commette...sciocchezze estreme come questa. Il soggiorno in Canada, dopo l’arrosto e i gabbiani, è piuttosto breve e porta a sviluppi impensati. Uno di questi lo farà riportare dritto dritto in Giappone, dove scoprirà qualcosa di sorprendente proprio sulla sua ingessata e omologata famiglia. Non c’è un finale felice, ma nemmeno uno infelice, alla vicenda. C’è...vita aperta. Come spesso capita nella vita vera, non ci sono chiusure e soluzioni definitive agli eventi. Anzi. Ci sono molte domande, molte sospensioni, molti tentativi di evitare le spiegazioni e le conclusioni. Non c’è una spiegazione nemmeno decisa e teorizzata del titolo, che afferma perentorio l’odio divino verso il Giappone. E’ un personaggio particolare ad affermarlo, come sua convinzione personale, e lo fa senza ulteriori spiegazioni, come se fosse un dato di fatto. Chi è questo personaggio? Non preoccupatevi. E' scritto nel libro, garantisco. ^___^


giovedì 6 giugno 2013

Dio odia il Giappone – ...e perché?

Dio odia il Giappone. Ma no, certo che no. Solo perché siete shintoisti/buddisti? E’ un brano del mio dialogo interno, che si è scatenato in una serie di ipotesi sulle possibili cause dell’odio divino verso questo paese, nel momento in cui ho posato gli occhi sulla copertina. A quel punto dovevo comprarlo, anche solo per scoprire l’interessante teoria che dava origine all’assunto di cui sopra. “Romanzo d’amore e fine del mondo”, dice il sottotitolo, che stava per farmi posare definitivamente il libro. Ho già detto che i romanzi d’amore mi irritano. Per la precisione, gli Harmony. Recentemente, ho scoperto che tutti i libri che parlano d’amore, dell’amore, finiscono per irritarmi. Metterò a fuoco questo sviluppo con una serie di riflessioni, che per il momento si agitano impazzite sotto forma di girini nell’acquitrino mentale che mi ritrovo sotto i capelli. Torniamo al romanzo. L’autore non è un giapponese: Douglas Coupland è un canadese che ha vissuto, studiato e lavorato per molto tempo in Giappone. Per dirla come i giapponesi, è “solo” un gaijin, uno straniero. Uno che viene da fuori, un non-giapponese. Poco importa il suo paese di origine: non è giapponese, per cui il suo valore è trascurabile, se non nullo. Nel libro, però, impersona  un adolescente giapponese, Hiro Tanaka, che diventerà il suo tramite per dare voce ad una serie di contraddizioni che si avvertono sotterranee nel libro. All’inizio affronta subito una questione spinosa, la religione, parlando della conversione di tre sue compagne di liceo, le classiche reginette desiderate, amate, odiate, imitate, ad opera di due missionari mormoni ospiti presso una famiglia vicina di casa di una delle tre.

Cioè, la religione...Cosa diavolo è la religione? Ma stiamo scherzando? Non voglio fare l’idiota, ma...avreste dovuto vedere lo sguardo di Kimiko (e anche di Rieko e Kaoru): era vacuo, spento, e quando passavano per le strade e i corridoi sembrava che non si concentrassero più sulle cose vicine, come le insegne dei negozi di noodle, o le persone e i veicoli in avvicinamento. Tenevano gli occhi puntati all’orizzonte, come se fossero sempre alla ricerca della prima stella nel cielo notturno. Scott aveva rubato quelle tre al mondo. Aveva annientato le loro essenze individuali e le aveva trasformate in...che so, profumatori per ambiente in carne e ossa.” (Douglas Coupland, Dio odia il Giappone, ISBN Edizioni, pag. 8) 
Hiro Tanaka è la voce un po’ allucinata della vicenda: osserva tutto quello che ha intorno con lo stupore di chi non capisce cos’è il mondo e come sta andando avanti. Non lo capisce, ma lo giudica, lo disprezza, e cerca di allontanarsene, trovando modi diversi per essere se stesso, per essere originale e non cadere nella massificazione così tipica della società giapponese che lo circonda. 

mercoledì 5 giugno 2013

Il Furore premiato ancora – Liebster Blog Awards

Mentre raccolgo le idee per il prossimo libro che comparirà nel blog, e cerco di leggerne altri quattro (due su e-book) senza rischiare lo strabismo, il Blog Del Furore D’Aver Libri ha ricevuto nuovamente il premio Liebster Blog Awards, da due blogger, Dario di Dario Design e Mara di Mara Make up.
GRAZIE!
Mi fa sempre più piacere ricevere premi, mi sprona a curare sempre di più il blog. E quindi, a leggere. J
Non che avessi gran bisogno di incentivi, ma ogni tanto fa bene tenere a mente le cose veramente importanti, tipo tuffarsi in una fontana di libri. Divago, e farnetico.

Ecco le domande di Dario cui rispondo:

      1.Colore occhi preferito? Azzurro
2. Canzone preferita? Russians, Sting
3. Cibo che mangi più spesso? Mozzarelle
4. Mare o montagna? Montagna
5. Sport che segui? Yoga (beh, proprio uno sport non è...)
6. Ti piace la nutella? Sì (e me tengo ACCURATAMENTE lontano)
7. Tablet o portatile? Portatile
8. Posto più bello che hai visitato? Stonehenge
9. Segui la moda? Quasi mai
10. Quanto stai al pc? Troppo
11. Dove andresti in vacanza? Nuova Zelanda, Australia, Irlanda, Scozia, Islanda (sì, l’isoletta con la S, che si sviluppa intorno all’Eyjafjöll)

E ora le mie domande:

      1.  Gatto o cane?
2. Preferisci la televisione o Internet?
3. Genere letterario preferito?
4. Smartphone o telefono cellulare “semplice”?
5. Attore preferito?
6. Ti piace viaggiare?
7. Se volessi studiare una lingua insolita, quale sarebbe?
      8. Monumento internazionale preferito?
9. Rock o pop?
    10. Ti piace l’Heavy Metal? 
    11. Film al cinema o serie TV?

Ed ecco i blog che premio, stavolta. 

Polish NailGirl

Dimenticavo di riportare le regole, per partecipare alla premiazione:
1. Ringraziare e rispondere alle domande fatte da chi ha assegnato il premio
2. Scegliere 11 blog con meno di 200 iscritti da premiare
3. Fare a propria volta 11 domande ai blog selezionati
4. Avvertire i blog della premiazione

domenica 2 giugno 2013

Book Night Moon, La notte bianca dei lettori – Impressioni


Intenso. È la prima parola che mi viene in mente se ripenso all’evento di sabato 1° giugno, la Notte Bianca dei Lettori, di cui ho parlato qualchepost fa. Intenso, veloce, ricco. Appena scattate le 23.00, l’ora di partenza per la maratona libresca, eravamo un po’ titubanti. Ehm, come si inizia? Che si fa? Le altre notti bianche che mi è capitato di frequentare si tenevano in luoghi fisici, come intere città. Lo sprintoso staff di Diario di Pensieri Persi ha iniziato subito pubblicando la foto delle copertine dei libri attualmente in lettura, e...si sono aperte le dighe. Colgo l’occasione per ringraziarli: la loro è stata un’idea vincente e vittoriosa, da tutti i punti di vista. E’ iniziato un susseguirsi di commenti, di altre copertine e libri pubblicati, domande che si incrociavano, commenti positivi, negativi, argomentazioni, svisceramenti dei propri personaggi e dei propri libri preferiti.  Ogni nuovo post, che di solito conteneva una domanda, era seguito da una media di 50 commenti in pochi minuti...io ho saltato di qua e di là a star dietro alle discussioni, a partecipare. Confesso che non ho letto nemmeno una riga dei libri che avevo sotto gli occhi in quei momenti, ero troppo presa a scambiare e condividere. Ho preso nota di alcuni titoli, un sacco li ho persi per strada, ma non dispero: proprio grazie ad una di queste conversazioni veloci e dense, ho recuperato il titolo di un libro “alla Austen” che avevo visto un paio d’anni fa e che mi era sfuggito. Una versione di Orgoglio, Pregiudizio e...zombie. Sì, sì, non vampiri (quello è Darcy), ma proprio zombie.  Ora che l’ho ritrovato...così, oltre alla mano, il crampo verrà al portafoglio. ^__^

E’ stata un’esperienza piena, da pionieri e molto ricca. Per quanto non potessimo guardarci in faccia, abbiamo stretto legami di libri, lasciando che fossero loro a parlare per noi. Sono state conversazioni sempre civili, corrette, colte, con scambi d’informazione ad ogni livello, incroci di consigli e di chiavi di lettura per uno stesso libro. In Italia si legge poco? Forse sì. A giudicare da quei commenti, però, non si direbbe. C’era, anzi, un’immensa voglia di leggere ancora di più, che cresceva a vista di post. Sono convinta che se si ripetessero eventi di questo genere, trasponendoli anche in luoghi fisici, e si riempissero di persone, anche coloro che leggono meno o non amano particolarmente i libri, sarebbero invogliati a farsi trascinare di più. In ogni caso, c’è un amplissimo zoccolo duro di lettori incalliti, furiosi, irriducibili, inarrestabili, pronti a farsi carico di tutti i libri del mondo. ^__^

sabato 1 giugno 2013

Iniziativa Gruppo di Lettura per "La bambina senza cuore" di Emanuela Valentini

Sono una lettrice "furiosa" e questo concetto, mi sembra, è stato espresso piuttosto chiaramente un numero indefinito di volte e in un altrettanto numero indefinito di post di questo blog. Sono anche una lettrice solitaria, nel senso che amo leggere per conto mio. Dopo la lettura, amo condividere con gli altri le mie impressioni, critiche, pensieri sul libro letto. Questa volta, invece, desidero fare un'esperienza che per me è tutta nuova: partecipare ad un gruppo di lettura "digitale", che si svolge tramite Rete, organizzato da un bel book blog, Reading is Believing. Il libro prescelto è La bambina senza cuore, di Emanuela Valentini, edito in e-book da Speechless Magazine. Ho incontrato questo titolo qualche tempo fa, grazie alla Biblioteca di Eliza; dopo aver scaricato l'e-book, ho iniziato a leggerlo al pc, incontrando diverse difficoltà, perché non ho ancora un lettore e-book. Probabilmente, il messaggio è di sbrigarmi a procurarmene uno...:-)


Volete partecipare al Gruppo di Lettura a proposito di questo bel libro? Seguite il link, e le istruzioni date da Reading is Believing! Reading is Believing ♥: Gruppo di Lettura per "La bambina senza cuore" di ...:
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