domenica 4 agosto 2013

Il bambino indaco – Una discesa nell'oscurità.

Ho comprato questo libro un paio di mesi fa, e contrariamente alle mie abitudini, e alla mia lista infinita, ho deciso di farlo passare davanti a tutti gli altri, incuriosita anche dalle parole di Laura del blog La Libridinosa che l’aveva appena letto, e ne aveva l’amaro in bocca. Cosa ho trovato io, in questo libro? Una storia horror. Di quelle in grado di tenerti sveglio e terrorizzato anche in pieno giorno. Di farti avere attacchi d’ansia e ripensamenti quando fai bilanci nella tua vita, o guardi le persone che vivono con te, nella tua stessa casa, e ti chiedi improvvisamente se le conosci, se ne vedrai mai il mostro ottuso, se cambieranno mai, se ti parleranno e ti considereranno sempre senza odio. Nessun vampiro, nessun Freddy Kruger, nessun Jason da Venerdì 13, nessuna creatura aliena dai mondi paralleli di Lovecraft. I mostri di questa storia che ho definito impropriamente horror, sono quelli che dormono nei nostri corpi di esseri umani, di cui dubitiamo persino l’esistenza, e ci rallegriamo quando non ne vediamo traccia allo specchio, e tendiamo a considerarli per questo alla stessa stregua dell’Uomo Nero con cui ci spaventavano da bambini per farci dormire. Spauracchi che non esistono, non sono reali. E chissà poi cosa ci vuole, per farli uscire, sempre che esistano...grandi tragedie, grandi lutti. Oppure, come in questo caso, un evento del tutto umano, normale, quasi banale, ma sempre straordinario ogni volta che si verifica, a tutte le latitudini del mondo.  Carlo e Isabel sono una coppia di giovani uguali a molte altre, che si dividono tra Padova e Treviso, in una relazione gioiosa e pacifica, prima di unire le vite in un matrimonio molto desiderato e visto come il punto di partenza per una vita intera di progetti magnifici. Carlo è un piccolo imprenditore, con i piedi per terra, con precedenti esperienze sentimentali poco felici, e molto coinvolto nell’atmosfera di intimità e di pace in cui Isabel, bella ragazza svizzera dall’atteggiamento consapevole e spirituale, ha saputo accompagnarlo. Quando lei scopre di essere incinta, la perfezione di quel mondo a due è consolidata e cristallizzata. Apparentemente. Una notte, Carlo è convinto di sentire Isabel piangere in bagno, ma alle sue richieste di spiegazione, la moglie non risponde se non veloci rassicurazioni. Da quel momento in avanti, il porto intimo della vita di queste due persone si sbriciola pezzo per pezzo, inesorabilmente. Non c’è verso di fermare la corsa verso la distruzione finale, nonostante tutti i disperati  e tardivi tentativi almeno di deviarla. Non anticipo nulla degli avvenimenti, che si possono anche intuire piuttosto facilmente. L’autore ha saputo raccontarli trasformando la morbidezza delle parole che descrivevano il rapporto prematrimoniale dei due protagonisti, nella successiva incredulità, durezza, odio, cospirazione, dolore, estraniamento che man mano hanno fatto irruzione nelle tre vite coinvolte. Attraverso gli occhi di Carlo, vediamo Isabel trasformarsi in un autentico mostro: non esiste più la ragazza bella, morbida, innamorata dell’arte, studiosa di spiritualità, creatrice di oggetti belli per sé e la propria casa. Muore lacerata dagli artigli del gelido ideale di madre superiore, perfetta accuditrice di un figlio sano e forte, che la porta a isolarsi cieca nella sua fortezza di consapevolezza e a considerare gli altri e il mondo oscure minacce mortali da tenere a bada, a colpi di diete, incensi, meditazioni, rimedi naturali, alimentazione sana e povera. Spinta dal suo desiderio abnorme di essere una madre totale, Isabel diventa cieca e sorda. L’unica cosa che concepisce è che lei, e il marito, devono sforzarsi. Devono dare il massimo, insieme, devono sforzarsi, sforzarsi, sforzarsi. In alcune pagine che raccontano i primi inizi della corrosione della natura umana di Isabel, questa è la parola più usata, e ricorre come un’arma scagliata ad ogni piè sospinto, per soffocare ogni tentativo di comprensione, e di richiesta. Il marito diventa un problema, un aguzzino che non la capisce, che non vuole accompagnarla nella sua missione di proteggere suo figlio dall’inquinamento mortale del mondo, che ha smarrito se stesso e i ritmi della vita. Il figlio diventa un problema, ha bisogno di troppe attenzioni, troppe cose per crescere, spinto da una preponderante fame primordiale. Mentre accusa il mondo di essersi smarrito, Isabel smarrisce se stessa sempre più, fino a prendere decisioni terribili e disumane per il suo stesso bambino. In tutto questo, Carlo assiste quasi cieco e paralizzato. Probabilmente è difficile capire, per un uomo, perché l’istinto di una madre, di solito volto alla vita, segua la direzione totalmente contraria, pur mantenendo la convinzione di agire per il bene.  Pur sforzandosi di aiutare sua moglie e suo figlio, Carlo sembra sempre arrivare in ritardo, e agire sempre troppo lentamente, come se vivesse in un sogno brutto e malsano, dove i movimenti sono appannati e rallentati. Si rifiuta di credere che l’inferno faccia parte della sua realtà, e ci vorrà molto tempo perché lo guardi in faccia, ben oltre il tempo scandito dalle pagine stesse. L’azione definitiva, per una parte della storia, verrà compiuta da un’altra donna, la madre di Carlo, che accetta senza vacillamenti di esporsi ad un danno irreversibile per fermare il cammino impazzito della locomotiva Isabel, senza più controllo.  

Come ho detto, questa mi è sembrata una storia horror, una di quelle che mi terrà sveglia, a riflettere. E’ uno dei lati dell’Estate al Femminile, quelli che stanno più volentieri tra le ombre. Non essendo madre, non so capire perché e che cosa, nell’alchimia che trasforma una donna in madre, sia andato storto e si sia pervertito. Posso solo presumere che la terribile “ansia da prestazione” di cui sono generalmente afflitti gli uomini in certi campi delle loro azioni, tenda a colpire in questo modo le donne, soprattutto quelle più esposte e insicure, trasformandole in nutrici cieche e mortali. Mi vengono in mente i centinaia di casi di cronaca, in cui le madri non reggono le pressioni cui loro stesse si sottopongono con crudeltà, e distruggono se stesse e le famiglie che hanno creato. Isabel capisce bene che i ritmi di vita seguiti nell’Occidente non seguono più quelli della vita universale, ma questa sua consapevolezza finisce per alimentare le sue ansie, piuttosto che spronarla a rafforzarsi e a cercare e mantenere un equilibrio spirituale sano. Le viene detto che il suo bambino sarebbe stato una creatura speciale, di qualità superiore, un bambino indaco, e Isabel, nel tentativo di essere all'altezza di questo dono, perde completamente di vista la sua capacità di costruire per proteggere, e si isola, allontanando tutto e tutti. Nel libro, la questione della superiorità del bambino non viene mai affrontata apertamente, né viene smentita, affermando che si tratta di un “normale” essere umano. Tuttavia, non posso fare a meno di domandarmi se, per ogni madre, il proprio bambino non sia in fondo un “indaco”, un essere speciale, a prescindere dal fatto che lo sia sul serio! 

20 commenti:

  1. L'ho letto da poco tempo eppure la tua recensione è talmente bella che mi ha fatto venire voglia di rileggerlo.
    Sono strani meccanismi quelli che scattano con la maternità.

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    1. E' vero, sono inspiegabili, come la maternità stessa, in fondo.
      Il corpo e la mente si trasformano, e la donna non sarà mai più come prima: diventa più vigile, attenta, cambia i propri ritmi di vita per accordarli a quelli del bambino. In questa trasformazione, è inevitabile che qualcosa, in certi individui, vada storto e segua una sua evoluzione pericolosa, per sé e per gli altri. La stessa depressione post-partum, che colpisce molte donne, è un segno da non sottovalutare. A questo, si aggiungono tutte le pressioni esterne: madri e suocere che vogliono aiutare, qualche volta invadendo il campo, in buona fede, dando consigli anche non richiesti, giudicando molto spesso. Mariti che talvolta non capiscono che le cose sono profondamente cambiate, e che c'è bisogno di loro ad altri livelli. La società, che si aspetta che la madre torni al lavoro subito, e che sappia gestire con efficacia e con il sorriso tutte le mille esigenze del bambino con quelle del lavoro. E poi, tutti i problemi sul lavoro, sempre che la mamma riesca a tornarci senza pagare uno scotto perché avere figli in questo paese è un reato gravissimo. Buffo, proprio nel paese che glorifica le madri e le mette a livello di Dio, queste vengono trattate nel peggiore dei modi, con pochi servizi che possano aiutarle, e oggetto di discriminazione sul lavoro. A me sembra fortemente contraddittorio, oltre che crudele.

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  2. Quante volte ho avuto la tentazione di leggere questo libro! Il titolo mi ispirava e, quando accade questo, le probabilità di un acquisto salgono direttamente al 70%. Però, ora che ne leggo approfonditamente la trama grazie a te, credo non sia propriamente il mio genere (anche se, e mi unisco al commento precedente, il tuo modo di approcciare i libri e presentarli potrebbe convincermi a leggere qualsiasi cosa!).
    Niente, lascio, niente horror per me. Sto leggendo un giallo, I fantasmi del cappellaio di Simenon, ed anche lì non è che sia propriamente a mio agio, meglio non aggiungere altra carne sul fuoco! ;)

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    1. Il titolo è interessante...sarà che mi ricorda il Cappellaio Matto, che in questi giorni ricorre abbastanza spesso dalle mie parti. Anche se penso che Simenon abbia un modo di scrivere completamente all'opposto, rispetto a Carroll.
      Forse non è il momento giusto per te, di leggere un horror come questo. Io mi aspettavo un libro sui bambini indaco, che è un argomento che mi attira molto, e poi mi sono resa conto che il titolo, pur ingannevole, sottolinea una cosa. L'aspettativa di qualcosa di speciale in arrivo nella propria vita sale talmente in alto, da far sprofondare l'equilibrio di chi la nutre. E' un paradosso, no? Eppure, è il significato che ho dato al titolo, paragonato all'intera vicenda.
      Devo dirti che questo libro non ha messo a mio agio nemmeno me, tutt'altro. Ma non posso nemmeno dire che questo mi abbia scoraggiata, o che mi abbia allontanata. Anzi. Mi ha resa un po' più...vigile.
      Grazie mille per il tuo apprezzamento! :-)

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  3. Questa volta, Loredana, “passo”: la maternità, soprattutto come l’ho intravista qua, non fa per me; per non parlare della “superiorità… un libro così risveglierebbe l’Attila-inside! (Solita vecchia domanda: una donna si realizza pienamente solo come madre?!)

    O forse siamo tutti “indaco” – quale che sia il significato si voglia attribuire a questa “classificazione”, che alla fine risulta “stretta”, come ogni tentativo di incasellare ed imprigionare nelle parole.

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    1. No, rispondo alla domanda. Secondo me, no. Mi ha risvegliato l'Attila-inside, eccome, e anche tanta tristezza e disagio. Credo che attribuire una qualità superiore allo stato di essere madre sia un vero e proprio boomerang. Nello sforzo di essere una madre eccellente, al di sopra di tutti gli altri (perché? Nessuno l'ha mai costretta ad alcunché), Isabel perde di vista se stessa, la sua umanità e la sua capacità di amare. Nello sforzo di salire, è precipitata, inesorabilmente. Vissuta così, la maternità è distruttiva, per la donna e l'intera sua famiglia, come si vede dalle persone coinvolte in questa vicenda.
      I bambini indaco dovrebbero essere i cosiddetti bambini nuovi, dalla coscienza e spiritualità rinnovate, che dovrebbero essere in grado di portare questo mondo malato a guarigione, in vista della loro superiore capacità di vedere le cose e di agire. E anche di amare, mi auguro. Tutti noi siamo speciali, e tasselli di un unico mosaico: quando troviamo il nostro posto, con le nostre qualità uniche e irripetibili, uguali a nessun altro, siamo veramente in grado di salvare noi stessi, il mondo, e abbiamo raggiunto la nostra missione. Quando invece, ci ostiniamo a non voler guardare chi siamo...soffriamo e provochiamo sofferenza.

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  4. oddio questo non lo conoscevo devo correre subito a comprarlo, mi hai letteralmente ammaliata

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    1. ...allora aspetto il tuo parere, quando l'hai letto! :-)

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  5. Mmmh mi sembra una storia cruda ma interessante...io tempo fa avevo letto "I bambini indaco" di Paola Giovetti, una studiosa di esoterismo e spiritualità...mi chiedo se ci sia qualche legame con il bambino indaco del titolo...

    www.astrowedding.it/www/

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    1. Sì, dovrebbe esserci. O meglio, era quello che mi aspettavo io, pensando che fosse un libro sui bambini indaco. E a proposito, ti ringrazio per aver riportato qui un altro titolo interessante, più in linea con quello che cercavo, e anche di Paola Giovetti. Ho letto qualcosa di lei in passato, sugli angeli custodi, e mi era piaciuta.
      C'è un riferimento al bambino indaco di cui la protagonista dovrebbe essere incinta, ma una volta nato, non è chiaro se lo sia sul serio o meno. Penso che il titolo sia stato dato per far comprendere fino a che punto questo bambino fosse speciale per la madre che lo ha avuto, a prescindere dalle sue qualità reali di indaco.

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  6. mia madre lo sta leggendo, quasi quasi quando lo finisce mi ci butto ;)

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  7. Questo non lo conoscevo! La tua descrizione lo fa sembrare davvero avvincente!

    Ps: Sei stata nominata nel mio Monthly Blogging Pearls! :)

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  8. vado clamorosamente fuori tema, ma...
    bella quella borsa dietro il libro! ;-)

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  9. Complimenti per la recensione, e' stato bello leggerla; sembra un libro dal ritmo davvero incalzante! In effetti quella descritta e' una situazione quasi horror!

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  10. Ciao, e piacere di fare la tua conoscenza. Vengo a visitarti subito...

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  11. Mamma mia, un "bambino indaco"! Una madre distratta con una figlia piccola ma già sola e sbandata mi ha portato il libro che spiega chi siano i "bambini indaco", perché la sua lo era, secondo lei, e io ho letto il libro, e il mio cuore di mamma e di maestra ha sanguinato. Subito, pensavo quasi volesse parlare di un "bambino blu" (terribile sindrome del foro di Botallo aperto), ma poi ho letto di questi bambini che si muovono senza guida e senza cure che non siano meramente fisiche, questi bimbi cui "non si deve" dire di no, questi bimbi non riconosciuti nella loro debolezza e nel loro bisogno di aiuto. Bell'invenzione, sì, per una generazione che arriva a sei anni senza avere il linguaggio completo di foni, che arriva alla fine della "primaria" senza un completo controllo sfinterale, che conosce meno parole di un pappagallo, che non deve sapere che una volta i bambini lavoravano, perché deve vivere in un mondo privo di ombre, e che è solo e impaurito e sbandato, perché vine lasciato "sbattere" ma in realtà non gli si concede l'autonomia che potrebbe aiutarlo ad essere sicuro di sé... Poi inventano i "bambini indaco". Io sono su www.stanzaerato.com, su facebook Stanza di Erato e su blog di poesia e letteratura. Vi aspetto

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  12. ...e noi veniamo volentieri a trovarti! Come s'intitola il libro che ti è stato dato?
    Conosco poco del mito dei bambini indaco, ma da quel che sapevo, si tratta di bambini di spiritualità superiore. Sempre che, appunto, non sia solo un mito, e la realtà sia molto diversa.

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