Dopo aver presentato il suo libro, Subalternità Siciliana, ecco Anita Virga, che è venuta a sedersi sulla nostra sedia telematica delle interviste.
Anita Virga è Lecturer nel Dipartimento di Italianistica presso la University of the Witwatersrand di Johannesburg, Sudafrica. Ha pubblicato vari articoli su cinema e letteratura italiana. Suoi interessi di ricerca sono la Sicilia, il postcolonialismo, questioni di gender e race.
Buongiorno, Anita! È un piacere averti qui sulle pagine del Blog Del Furore Di Aver Libri, dopo averti conosciuto di persona per la presentazione del tuo libro “Subalternità siciliana”, pubblicato da Firenze University Press, presso la Libreria Belgravia. Ci racconti di te?
Ciao Loredana, il piacere è
mio! Ho 34 anni e da 9 sono risiedo all’estero, prima negli Stati Uniti, in
Connecticut, dove ho conseguito la mia seconda laurea e il dottorato di ricerca
in italianistica e dal 2013 in Sudafrica dove sono docente presso l’Università
del Witwatersrand a Johannesburg. Insegno lingua, letteratura e cinema italiano
e conduco ricerca nell’ambito dell’italianistica.
I miei interessi di ricerca spaziano molto,
ma per ora rispetto alle pubblicazioni sono rimasti più legati alla Sicilia. Capuana
e Verga, naturalmente, e la Sicilia in generale, ma sono anche molto
appassionata di cinema. Ho pubblicato alcuni saggi critici su film siciliani
come Nuovomondo di Crialese e Viola di mare di Maiorca, sullo
scrittore siciliano Consolo e il suo romanzo Nottetempo, casa per casa, ma ho anche scritto per esempio del
ferrarese Vancini e il suo film E ridendo
l’uccise (anche se confesso di essermi avvicinata al regista tramite un
altro film di ambientazione siciliana, Bronte,
cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato).
Com’è la tua vita da
professoressa italiana, di italianistica, in Sudafrica?
È una sfida, una bella sfida, e come
tutte le sfide non sempre facile, ma molto interessante. A volte, a essere ricercatrice
italianista in Sudafrica ci si sente un po’ isolati perché
siamo in pochi e le nostre fonti primarie di ricerca sono lontane da noi.
Recuperare i materiali non sempre è facile, a volte richiede tempo ed è
costoso. D’altra parte, lavorare da italianista in Sudafrica significa anche
uscire dai canoni e degli schemi a cui siamo abituati, confrontarsi con una
realtà
esterna completamente diversa che – se si è un po’ sensibili e attenti –
influenza anche la propria attività di ricerca. Ad esempio, in Sudafrica
non è
più
possibile insegnare scrittori considerati da noi canonici come Manzoni, perché
c’è
una forte spinta verso l’insegnamento di testi e argomenti più
africano-centrici e più significativi per uno studente ventenne nel Sudafrica di
oggi. Quindi il contesto sudafricano ti porta a ripensare ai canoni italiani e
anche al modo di intendere la letteratura, a scoprire prospettive diverse e
punti critici che stando in Italia non si avrebbero gli stimoli per
approfondire.
“Subalternità siciliana” è un
libro di indagine nell’opera di Luigi Capuana e Giovanni Verga, con un taglio
particolare. Parti dal rapporto tra servi e padroni, attraverso il filtro della
dinamica colonizzato-colonizzatore. Qual è stato lo spunto di partenza per
questa ricerca?
Lo spunto di partenza è molto personale. Mio padre è
siciliano e proviene da una famiglia contadina dell’entroterra. È
nato prima della Seconda Guerra Mondiale e a 4 anni era già
pastore. Io sono nata e cresciuta a Torino e la Sicilia per me è
sempre stata una terra mitica e meta delle vacanze d’infanzia. Sono sempre
stata abituata ad avere una famiglia siciliana, a sentire parlare con la
cadenza siciliana, se non in dialetto vero e proprio, e tutto questo per me era
naturale. Fino a quando ho iniziato a riflettere su questa parte siciliana di
me stessa e, quando ho avuto la possibilità, ho voluto leggere autori
siciliani, leggere di questa tanto famosa sicilianità e di cosa significasse, di come
venisse interpretata, leggere dei contadini siciliani che mezzo secolo prima di
mio padre sopravvivevano nelle campagne dell’entroterra. E ho iniziato a
domandarmi in che condizioni vivevano e come venivano rappresentati dai vari
autori. E poi che significato culturale avesse quel tipo di rappresentazione,
che era sempre fatta da chi contadino non era. Così ho ricostruito un contesto
storico del dopo-unificazione in cui la Sicilia risulta in realtà
colonizzata più che unificata al nuovo stato e mi sono resa conto di come
questo processo abbia influito molto sia, ovviamente, sulle condizioni di vita
dei contadini sia sul modo in cui scrittori alto-borghesi e proprietari
terrieri li dipingevano con la penna.
Luigi Capuana e Giovanni Verga
sono gli autori su cui ti sei soffermata. Cosa ti ha spinto a scegliere loro,
piuttosto che altri scrittori, come Pirandello?
Ho iniziato a indagare la Sicilia del post
unificazione e Capuana e Verga erano gli autori di riferimento, quelli che
hanno vissuto appieno quel clima. Sono autori immensi, sia quantitativamente
sia qualitativamente. Ho preferito dunque soffermarmi su loro perché
erano un po’ l’origine di quel processo. Con Pirandello, le cose erano già
diverse e anche la sua visione della Sicilia e della società era
molto diversa da quella degli altri due corregionali. In realtà,
per ragioni personali, inizialmente mi interessavano più gli anni Trenta e il secondo
dopo-guerra, ma per capire cos’era la Sicilia in quel momento, bisognava capire
come era nata questa Sicilia ‘italiana’. E dunque Capuana e Verga, che
l’avevano vista nascere e ne avevano salutato favorevolmente la nascita, ma
allo stesso tempo ne soffrivano dolorosamente le conseguenze.
Il tuo libro esplora tratti di
sicilianità che non sono facili da cogliere, per quanto diano molti motivi di
crescita e riflessione. A chi lo consigli?
Lo consiglio agli amanti della letteratura,
agli appassionati di Capuana e Verga, agli interessati alle cose siciliane. È
un libro accademico, ma che può essere letto da chiunque abbia un
interesse per Capuana o Verga o entrambi. Nel libro cerco di prendere il
lettore per mano e portarlo con me in questo viaggio alla scoperta di Capuana e
Verga, facendogli vedere come io li ho letti. Di solito non do mai nulla per
scontato e cerco di spiegarmi in modo preciso ma semplice. Non credo nella
scrittura difficile come veicolo di significati complessi o profondi. Quindi
penso che, nonostante sia un libro che nasce in ambito accademico, possa essere
letto anche da un pubblico più ampio.
Dopo aver presentato il tuo libro
in diversi posti, tornerai poi in Sudafrica a continuare con il tuo lavoro. Hai
altri progetti di scrittura, e se sì, ci puoi dare un’anteprima?
Ne ho molti, ma ancora poco ben definiti.
Sicuramente continuerò a indagare Capuana e Verga, molti aspetti che ho
tralasciato nel mio libro, come ad esempio il teatro di cui non parlo, o la
fotografia che è un capitolo affascinante per entrambi. Ma mi sto anche
dedicando all’esperienza coloniale italiana e agli scrittori migranti. Sto
scrivendo diversi articoli, ma per il prossimo libro… chissà
alla fine cosa uscirà dal cilindro!
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