Ho già detto in lungo e in largo, soprattutto su Facebook,
che adoro i romanzi di Stefania Bertola, al punto che li collezionerò, non
appena riparate le crepe del mio tavolino di lettura. Promessa pronunciata, e
subito disattesa. Prima ancora di poter mettere mano ai danni del suddetto
tavolino, sono tornata a casa con l’ultimo libro dell’autrice, uscito da
pochissimo, Ragazze mancine. Devo smetterla di fare promesse da marinaio di
questo genere. Tutti i marinai di tutte le Marine del mondo sono rigorosi
mantenitori di parole date, in confronto alle mie esibizioni nel campo. Quando sono
andata alla presentazione del libro, sabato 16 novembre scorso, nella libreria
La casa dei libri di Rivalta, non credevo di battere il mio record di
promessa-infranta. Così è capitato, tuttavia, e me ne sono fatta una ragione. L’aver
infranto fioretto e dignità, tuttavia, mi ha regalato una lettura veloce e
godibilissima, che mi ha fatto riflettere e piegare dalle risate. Ancora una
volta, le donne sono al centro dell’attenzione della Bertola, sullo sfondo di Torino. Sono due,
talmente diverse l’una dall’altra, da dubitare persino che appartengano alla
stessa razza, e allo stesso sesso. Una è Adele Molteni, bella signora
trentaduenne, appartenente alla Biella-bene. Laureata, colta, dedita a nutrire
il proprio spirito di piaceri intellettuali come letture, visite alle mostre
più disparate, senza un giorno di lavoro all’attivo, grazie al marito
benestante, produttore di lane e cachemire pregiati. L’altra è Eva Fasano, giovanissima
nullatenente con figlia gattonante a carico, continuamente in movimento, da un lavoro
precario all’altro, per mantenere la sua piccola famigliola personale senza
padre. E’ un acrobata del precariato, Eva, e non se ne dispiace un momento:
afferra il lavoro dove lo trova, fosse anche per un giorno solo, e si specializza
in riciclo delle cose usate e rifiutate dagli altri, che lei trasforma per sé e
sua figlia. Come possono incontrarsi due donne del genere, che condividono solo
l’appartenenza allo stesso sesso?
martedì 26 novembre 2013
mercoledì 20 novembre 2013
La strada verso casa (e verso le polemiche) - Guest Post#2
Non solo è tempo di Guest Post, di hashtag nuovi coniati a manetta, ma anche di polemiche. Bizzarro: non capita mai di sentirne; la Rete è solitamente così pacata nell'espressione delle sue idee. ;-) In questo caso, sono scaturite dall'inizio del nuovo reality di Rai3, Masterpiece, iniziato domenica 17 novembre. Io ero molto curiosa di capire come avrebbero fatto a rendere la scrittura, con la sua natura concreta e complicata, in un format televisivo, fatto soprattutto di immagini, di azioni, e di parole che volano. Sono abbastanza perplessa, dopo la prima puntata, perché molte cose sono state lasciate un po' sospese e trascurate, almeno secondo il mio gusto personale. Nutrivo qualche aspettativa, che è stata disattesa, ma essendo una questione strettamente personale, ritengo che ci sia ampiamente spazio per migliorare. In ogni caso, non sono molto addentro nella politica della trasmissione, e non ne decido io il palinsesto. Sul blog Sangue d'Inchiostro, parlo un po' più diffusamente della natura dei miei dubbi.
Tanto per seguire il filone delle polemiche, ecco un'altra pietra dello scandalo: Fabio Volo. Leggendo qua e là, in diversi blog, viene giudicato anche piuttosto pesantemente, e di conseguenza chi lo legge. Una sorta di anticristo del mondo della scrittura, autore di libri risibili, inconsistenti, beniamino di lettori altrettanto risibili e inconsistenti. Specchio disastrato e causa deleteria del degrado della nostra scarsità intellettuale contemporanea. Davvero? Un uomo solo è in grado di causare/spiegare la cronica deficienza di lettura nel nostro paese? Dev'essere molto potente. Meglio farvi attenzione. A parte le mie considerazioni sarcastiche, come per molti altri autori crocifissi e osannati allo stesso tempo (i primi nomi che mi vengono in mente: Dan Brown e Federico Moccia), anche Fabio Volo rientra in quella categoria un po' in chiaroscuro, di persone che hanno qualcosa da esprimere, e lo fanno parallelamente al mestiere che fanno di solito. Fabio Volo non ha la coscienza etico-politica e le convinzioni granitiche di Dante Alighieri, non ha l'immaginazione condita di umorismo di Ariosto, non ha il cuore poetico di Leopardi, non ha la veemenza frangiregole di Marinetti, o la capacità critica di Benedetto Croce. Sono più che d'accordo. Vogliamo crocifiggerlo, per questo? Volontariamente, non mi accosterei ai suoi libri. Come sanno i lettori compulsivi, furiosi, o semplicemente incalliti, "sento" se un autore fa per me, o no. Mi sono trovata in casa un paio di libri di Volo, perché mi sono stati regalati. Non mi sono trasformata in Hulk, e nemmeno ho subito mutazioni genetiche. Li ho letti, riposti negli scaffali, e...dimenticati. Semplicemente, Fabio Volo non fa per me, poiché non è riuscito ad artigliare la mia attenzione sufficientemente a lungo da farmi pensare di aver bisogno delle sue parole. In libreria, oltrepasso tranquillamente le piramidi di Cheope costruite con i suoi libri, e mi dirigo verso gli scaffali in fondo, dove sicuramente trovo qualcosa che mi solletica. A schiere comprano i suoi libri, demolendo le suddette piramidi di carta scritta da lui? Bene. Io vado a scavare altrove. Sono responsabile della mia testa, del mio cuore e delle mie opinioni, e del cibo con cui decido di nutrirle. Ora chiudo con le mie sarcastiche considerazioni personali, e lascio la parola a Simona, che ha letto La strada verso casa di Fabio Volo, e ha alcune opinioni da esprimere.

"Ho finito di leggere l’ultimo
libro di Fabio Volo e sono nel limbo dell’incertezza, un incrocio di due strade
senza sapere quale è meglio percorrere: questo libro mi è piaciuto o non mi è
piaciuto?
E’ un racconto che tieni
incollati alle pagine per la smania di sapere come andrà a finire, quindi mi
chiedo e mi dico: dovrebbe essere catalogato come un bel libro.
Non so rispondere a questo
dubbio, posso dire che è un libro semplice, una lettura senza impegno per chi
vuole passare qualche ora lontano dal mondo senza pensieri, ma è anche una
lettura che può diventare impegnativa se ognuno ha voglia di soffermarsi su
frasi che possono passare inosservate o se si ha la voglia di analizzare un po' più a fondo una “banale” storia di vita di due fratelli, che per tanto tempo
non riescono a superare dolori e incomprensioni
incontrati sulla loro strada.
Spesso, leggendo, incontriamo
riferimenti agli anni ’80 paragonati ai giorni attuali. Ed è proprio dietro a
queste frasi che se vogliamo possiamo fermarci a riflettere, quasi a direi era
meglio ieri o meglio oggi?
Si viveva meglio prima con la
poca tecnologia, con le ricerche fatte con i compagni di scuola
sulle enciclopedie, o meglio adesso che tutto è a una portata di click, tutta
questa trasformazione come ci ha portati a essere e come ci ha trasformati
nelle relazioni con chi ci sta a fianco?
Linguaggio non ricercato,
descrizione di una vita come tante, evoluzione di un rapporto tra due fratelli
dall’età adolescenziale all'età adulta con solide basi educative, l’affronto
della ferita lasciata dalla sofferenza della perdita della mamma, fino alla
libertà dell’anima per poter ricominciare a vivere.
Gli anni ottanta sembrava avessero spazzato via tutto questo,
insieme alla cura del risparmio. Quello che guadagnavi spendevi, e se non
bastava potevi fare un leasing. La vita non era più costruirsi un futuro ma
comprare un biglietto della lotteria. Forse è stato in quegli anni che le
parole hanno iniziato a perdere il loro significato, e diventare maschere senza
dietro un volto. Tutto era accrescitivo e superlativo.
A voi la scelta …. Leggere per
riflettere o leggere come passatempo non impegnativo ….. quasi quasi ricomincio
a leggerlo.
venerdì 15 novembre 2013
Ne parliamo a cena – Diverse cene delle beffe.
Mentre mi accingevo a scrivere il post, mi è venuto in mente
un altro hashtag: #svoltacena. E’ già il secondo libro che leggo, nel giro di
pochissimi giorni, che ha come presenza fissa sullo sfondo una riunione di
esseri umani intorno ad un tavolo per cenare e, soprattutto, parlare, parlare,
parlare. Non è molto lontano il post che
ho dedicato alle cene con risoluzione-misteri incorporata, dei Vedovi Neri, e
subito mi capita tra le mani un libro in cui le commensali sono tutte donne. Parlavo
di raggiungimento dell’equilibrio, se non ricordo male...Stefania Bertola ha
molto in comune con Alessandra Montrucchio, l’autrice precedente. Anche lei di
Torino, anche lei traduttrice, e anche lei impiegata nel mondo dei media; a
differenza della seconda, Stefania Bertola si dedica ai testi per la
televisione. Se volete conoscerla, suggerisco l’intervista fattale dalla
Lettrice Rampante, nel suo blog, e di recarvi a Rivalta, Sabato 16 Novembre, presso
la Libreria Casa dei Libri (via Umberto I, n°4) per la presentazione del suo
ultimo libro, Ragazze mancine. Al centro di questo libro, ci sono le donne. E
non solo perché si parla di cena, cucina, cibo. Non è la solita associazione di
idee: alcune delle protagoniste non amano cucinare e se ne tengono anche
abbastanza lontano. Si tratta di cinque cugine: Costanza, Sofia, Bibi, Irene,
Veronica, le colonne portanti della storia, intorno alle quali gravitano una
serie di personaggi, come mariti, figli, ex-mariti, amici, amanti, amiche,
ciascuno dotato di una vita piuttosto problematica. Una volta al mese, le
cinque donne sviscerano i propri problemi confidandosi, prendendosi in giro,
litigando, riappacificandosi, riunendosi a cena a casa di una di loro, scelta
ogni volta dopo lunghi conciliaboli frettolosi al telefono, in una pausa caffè,
in piena notte, all’uscita dal supermercato.
mercoledì 13 novembre 2013
Cardiofitness – Il benessere del cuore
Un titolo rilassante, dopo la #svoltahorror. Alessandra
Montrucchio e il suo Cardiofitness, un raggio di sole riposante dopo atmosfere
disturbanti e disturbate, piene di rabbia, tradimenti, squallore, orrori
indicibili. Saprete di più sulle mie ultime letture, in apposita sede. Conoscevo
da parecchio Alessandra Montrucchio, grazie alla sua rubrica su Torino Sette,
inserto del venerdì de La Stampa, CattiveRagazze, che seguivo sempre quando acquistavo il giornale cartaceo. Con la
presenza sempre più prevaricante di Internet nelle nostre vite offline, e con
altre questioni più pressanti, ho finito per dimenticare quel momento di
contemplazione, in cui mi immergevo nelle vicende tragicomiche delle tre
amiche, la Bionda, la Rossa e la Bruna, alle prese con lavoro, uomini, parità, rapporti
sociali. Quello che mi attraeva maggiormente era leggere del rapporto che l’autrice
aveva con Torino, la stessa città in cui vivevo io. Le vie del centro, i
negozi, i locali, le persone che potevamo aver visto o avere “in comune” (anche
per semplice presenza) acquistavano un’altra luce e un altro significato, nelle
sue parole. Mi faceva venire voglia di tornare in centro e dare un’occhiata a
quel pub in cui la Bionda (o una delle altre amiche) ne aveva combinata una
delle sue, a captare un segno, una presenza, un soffio di qualcosa di
indefinito. Lo stesso desiderio che si è intrecciato alla voglia di leggere il
suo pensiero in uno scritto più ampio di una rubrica, e alla curiosità stuzzicata
pesantemente dalla sinossi letta in copertina: Stefania, ventiseienne laureata
torinese, sulla soglia di un mondo lavorativo che non sa ancora se respingerla
o meno, si innamora di Stefano, liceale quindicenne, a disagio con se stesso e
i suoi coetanei troppo semplici, omologati, televisivi, sullo sfondo di una
palestra piuttosto conosciuta. Ehm. Cosa? Una versione di Humbert al
femminile?! Cos’è, una prova, un test su chi scardina il numero più alto di
pregiudizi e taboo? Messi da parte questi risibili commenti pregiudiziali, mi
sono disposta a leggere con grandissima curiosità. E ho trovato una storia
completa. Divertente, surreale, comica, seria, problematica, fantasiosa,
verosimile, poco credibile (e per questo contraddittoria), viva, irritante. Come
sono spesso le vicende in cui incappiamo tutti i giorni, tra uno schermo di pc,
la spesa, il parcheggio mancato, le corse per arrivare in tutti i posti. Il
teatro del libro è soprattutto la palestra, dove Stefania e il suo gruppo
compatto e corazzato di tre amiche, al punto da essere note come Charlie’s
Angels, vanno a sfogare stress, delusioni e frustrazioni, insieme ad una
schiera di personaggi molto reali, tirati di peso dai posti che frequentiamo
anche noi.
lunedì 11 novembre 2013
A spasso nel tempo - I libri e i flashback
Tempo di guest post, quello presente. Dopo la mia amica Simona e la sua lettura de Il primo gesto, è la volta di Marzia che presenta una questione interessante: i libri ricchi di flashback, e di richiami al passato. Talmente ricchi, da rischiare di disorientare il lettore...come se l'autore fosse saltato sulla DeLorean modificata di Marty McFly, trascinando anche il lettore con sé, e gli facesse fare un giro completo nel tempo, su e giù, avanti e indietro per tutta la durata del libro. A me piacciono i flashback e non mi disturbano particolarmente, anche se qualcuno mi mette un po' alla prova, come Joel Dicker. Nel suo caso, la sua "guida" disinvolta nel tempo (dal 1975, epoca dei fatti al tempo presente, 2006-2008) avrebbe potuto rivaleggiare con quella professionale di Michael Schumacher. :-) Mentre attendo i vostri pareri sui libri che vi scarrozzano avanti e indietro lungo la durata temporale della loro esistenza, vogliamo leggere cosa ne pensa Marzia?
Eccola:
"Uccellino del paradiso – Joyce Carol Oates
Il giardino degli incontri segreti – Lucinda Riley
La biblioteca dei morti – Glenn Cooper
Il dono – Toni Morrison
La bambina senza cuore – Emanuela Valentini
Tre madri – Sonia Lambert
L’isola delle farfalle – Corina Bomann
La Verità sul caso Harry Quebert – Joel Dicker
La luce alla finestra – Lucinda Riley
La danza delle falene – Poppy Adams
Il segreto della bambina sulla scogliera – Lucinda Riley
Traducendo Hannah – Ronaldo Wrobel
La lettrice bugiarda – Brunonia Barry
Il giardino dei segreti – Kate Morton (che sto finendo, scagliando fulmini verso l’autrice)
Diciamo da giugno 2012 ad oggi – e non sono neanche tutti, né in ordine di lettura: ho “mollato” altri libri senza schedarli – mi sono imbattuta in una serie di storie simili a puzzle. L’elenco è parziale, ho rimosso altri titoli.
Il primo può essere piacevole; il secondo – magari se è passato un po’ di tempo dalla lettura del primo – “può anche andare”; uno dopo l’altro non mi sta più bene.
Chiedo scusa per lo sfogo, ma sono stanca di libri che devo scomporre e ricomporre. Se desidero un puzzle, compro un puzzle. Ad un libro chiedo una storia che svaghi Neurino-mio senza farlo rimbalzare come una pallina da flipper tra i ricordi o le vicende altrui.
Non amo le classificazioni, le etichette e tutta la suddivisione in sottogeneri che pare di moda oggi, però...
Cari scrittori (correttori, editori e chiunque si occupi della pubblicazione di un libro), vi prego di segnalare "nelle vostre creature” eventuali presenze di: flashback, ricostruzioni storiche, alternanze di presente e passato, flussi di coscienza di Joyciana memoria ecc.: per i prossimi mesi non desidero incappare in storie a strati."
Eccola:
"Uccellino del paradiso – Joyce Carol Oates
Il giardino degli incontri segreti – Lucinda Riley
La biblioteca dei morti – Glenn Cooper
Il dono – Toni Morrison
La bambina senza cuore – Emanuela Valentini
Tre madri – Sonia Lambert
L’isola delle farfalle – Corina Bomann
La Verità sul caso Harry Quebert – Joel Dicker
La luce alla finestra – Lucinda Riley
La danza delle falene – Poppy Adams
Il segreto della bambina sulla scogliera – Lucinda Riley
Traducendo Hannah – Ronaldo Wrobel
La lettrice bugiarda – Brunonia Barry
Il giardino dei segreti – Kate Morton (che sto finendo, scagliando fulmini verso l’autrice)
Diciamo da giugno 2012 ad oggi – e non sono neanche tutti, né in ordine di lettura: ho “mollato” altri libri senza schedarli – mi sono imbattuta in una serie di storie simili a puzzle. L’elenco è parziale, ho rimosso altri titoli.
Il primo può essere piacevole; il secondo – magari se è passato un po’ di tempo dalla lettura del primo – “può anche andare”; uno dopo l’altro non mi sta più bene.
Chiedo scusa per lo sfogo, ma sono stanca di libri che devo scomporre e ricomporre. Se desidero un puzzle, compro un puzzle. Ad un libro chiedo una storia che svaghi Neurino-mio senza farlo rimbalzare come una pallina da flipper tra i ricordi o le vicende altrui.
Non amo le classificazioni, le etichette e tutta la suddivisione in sottogeneri che pare di moda oggi, però...
Cari scrittori (correttori, editori e chiunque si occupi della pubblicazione di un libro), vi prego di segnalare "nelle vostre creature” eventuali presenze di: flashback, ricostruzioni storiche, alternanze di presente e passato, flussi di coscienza di Joyciana memoria ecc.: per i prossimi mesi non desidero incappare in storie a strati."
venerdì 8 novembre 2013
Il primo gesto - Guest Post#1
Inauguro un altro hashtag, che potrebbe diventare una rubrica fissa, chissà, con il Guest Post. Non è un nome originalissimo, ma è quello che emerso quando mi sono seduta davanti al mio blog per scrivere. Un'altra cara amica, Simona, appartenente alla schiera delle lettrici furiose, ha scritto i suoi pensieri a proposito de Il primo gesto, opera di Marta Pastorino, scrittrice genovese di nascita ma torinese di adozione e vita. Lascio a lei la parola:
Il primo gesto è un romanzo dalle
parole semplici e ricercate. Il racconto di una vita con scelte difficili, come
tante oggi, ma con la ricerca di uno spiraglio di luce.

Piccoli cambiamenti, che portano
a percorrere una via di una libertà interiore. Chi ha avuto la fortuna di
assistere alla presentazione del libro sa che il romanzo vero è scritto nei
primi due capitoli e che le successive pagine danno una “breve” spiegazione
quasi a dover chiarire l’accaduto.
Anna personaggio principale, a
cui tutto ruota intorno, è una ragazza scappata di casa senza aver finito gli
studi, alla ricerca della sua libertà, quella libertà che la sua famiglia non
le aveva permesso di avere, facendola quasi sentire un peso.
Dai flashback che troviamo nel
nostro percorso di lettura, riusciamo a mettere a paragone i rapporti tra
“mamma” e “figlio” con sfaccettature diverse: Anna con la mamma ha un rapporto
difficile, schivo e sfuggente; Graziella con la mamma Maria cerca di recuperare
il tempo perso in passato; il figlio di Anna che non riuscirà ad avere un
rapporto con le propria madre perché abbandonato dopo il parto; Giovanni con la mamma Graziella che non sente
come figura materna, perché cresciuto dalla nonna Maria in un rapporto diventato
morboso, quasi non fosse nipote ma figlio.
Pensavo che la vecchia fosse
pazza, per l’amore che ancora aveva per suo nipote e per tutto quello che gli
era appartenuto, che lei aveva conservato come cimeli di un museo, ma allo
stesso tempo ne ero attratta. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per
me.
Pensavo alla solitudine di
Graziella, che non aveva cresciuto il figlio, e al suo desiderio smodato di
riprendersi almeno la madre, alla fine della sua vita, quando Maria non
riusciva più a dirle di no.
Sarà proprio questa decisione
drastica di Anna parallela alla morte di Maria, che l’autrice porta il
personaggio alla ricerca di una via di uscita.
Si può cambiare la propria idea
del tempo, ed era per questo, forse, che ho incontrato la signora Maria. Nella
sua casa silenziosa e semibuia ho imparato la calma dei vecchi. Quel tempo è
diventato mio, mentre lei si girava in continuazione verso il passato, io sono
stata nel presente.
Una via di uscita che cercherà in
tre cose fondamentali: riconoscersi nelle pagine dei libri, la grandezza e l’importanza
di un abbraccio, la scoperta del corpo tramite la danza sensibile.
Riconoscersi nelle pagine aperte
a caso di un libro, quei libri che spesso Maria le ha insegnato ad aprire e a
leggerne degli estratti.
Le chiedevo di raccontarmi di sé,
quand’era di buon umore. “Che cosa vuoi che ti dica” rispondeva, “prendi un
libro e leggilo, ci troverai qualcosa di me.”
Il valore di un abbraccio, la
sofferenza di quello non dato a suo figlio, quello bisognoso di Iulian, il
figlio dell’amica Ramona, l’abbraccio con Giovanni che la aiuterà ad affrontare
e a lasciarsi alle spalle le ombre del passato.
L’ho guardato nel buio, ho
ascoltato il suo respiro e forse il battito del suo cuore, eravamo così
vicini….Ho allungato un braccio e l’ho posato su di lui all’altezza della vita,
mentre il cuscino assorbiva le mie lacrime silenziose che scendevano giù dalle
guance.
La scoperta tramite Giovanni
della danza sensibile: la conoscenza del proprio corpo e del proprio essere
tramite tecniche di movimento libero.
“Pensate al respiro” diceva, “dal
vostro respiro nasce la danza. Ogni movimento della vita terrestre è di
apertura e chiusura, inspiro ed espiro, un ciclo organico, di spinte e
ritorni…..”
Libro semplice e puro che lascia
il lettore a “guardare dalla finestra” l’evolversi delle situazioni senza
essere travolto dalle emozione delle situazioni.
lunedì 4 novembre 2013
I racconti dei vedovi neri – La potenza della logica
A prima vista, sembra un altro titolo della #svoltahorror. E
anche piuttosto inquietante: il termine “vedovi neri” fa pensare ad un gruppo
di mariti sanguinari che attentano alla vita delle mogli, magari
particolarmente ricche, per impossessarsi dei loro denari. Niente di tutto
questo, l’horror non c’entra proprio. Del resto, il suo autore, Isaac Asimov, è
noto per aver scritto altri tipi di romanzi, e non mi sembra si sia mai
cimentato con la narrativa di paura. Il libro è venuto a trovarmi direttamente
a casa, in un momento di pausa della #svoltahorror, e io sono stata più che
felice di accordargli riparo dalle intemperie. J
E’ composto da una serie di racconti, i cui protagonisti sono un gruppo di
rispettabili signori americani che, una volta al mese, decidono di ritrovarsi a
cena senza le mogli, per poter risolvere piccoli o grandi misteri, e lasciarsi
andare a parole in libertà su arte, letteratura, politica, attualità. Il
ristorante che li accoglie è sempre lo stesso, così come il solerte e capace
Henry è il cameriere che si occupa di servirli. Scelgono un anfitrione per la
serata, che ha il compito, se lo desidera, di portare un ospite esterno, che
alla fine della cena, si sottoporrà ad un vero e proprio fuoco di fila di
domande da parte dei Vedovi Neri, sulla sua vita, la sua occupazione, e sul
problema eventuale che lo sta angustiando. Ogni volta, si verifica un “caso”:
il collezionista sicuro di aver subito un furto, ma di non riuscire a scoprire
l’oggetto mancante, la spia che comunica grazie ad un ingegnoso sistema di
bustine di fiammiferi, un omicida smascherato a causa dell’ora legale, i
servizi segreti americani in fibrillazione per un possibile attentato all’edizione
attuale di Miss Mondo...I Vedovi Neri, un dirigente governativo esperto di
cifrari, un matematico, un chimico, un artista, si lanciano in congetture
ingegnose, in duelli verbali spassosi, che talvolta culminano in gare di
umorismo, si lanciano accuse, per poi finire sempre in un vicolo cieco. Il
problema dell’ospite di turno, affrontato con logica rigorosa, da diversi punti
di vista, finisce sempre per sembrare...irrisolvibile. Finché non arriva Henry,
almeno. Come ho già detto, Henry è il cameriere che si occupa delle cene dei
Vedovi Neri: solerte, discreto, silenzioso e capace nel suo lavoro, si rivela
sempre colui che, interpellato all’ultimo, riesce a trovare l’unico aspetto
trascurato, l’unica domanda veramente necessaria da fare, l’unica intuizione
ancora da scoprire. E l’ospite si affretta a tornare a casa con la soluzione in
tasca!
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