Mentre mi accingevo a scrivere il post, mi è venuto in mente
un altro hashtag: #svoltacena. E’ già il secondo libro che leggo, nel giro di
pochissimi giorni, che ha come presenza fissa sullo sfondo una riunione di
esseri umani intorno ad un tavolo per cenare e, soprattutto, parlare, parlare,
parlare. Non è molto lontano il post che
ho dedicato alle cene con risoluzione-misteri incorporata, dei Vedovi Neri, e
subito mi capita tra le mani un libro in cui le commensali sono tutte donne. Parlavo
di raggiungimento dell’equilibrio, se non ricordo male...Stefania Bertola ha
molto in comune con Alessandra Montrucchio, l’autrice precedente. Anche lei di
Torino, anche lei traduttrice, e anche lei impiegata nel mondo dei media; a
differenza della seconda, Stefania Bertola si dedica ai testi per la
televisione. Se volete conoscerla, suggerisco l’intervista fattale dalla
Lettrice Rampante, nel suo blog, e di recarvi a Rivalta, Sabato 16 Novembre, presso
la Libreria Casa dei Libri (via Umberto I, n°4) per la presentazione del suo
ultimo libro, Ragazze mancine. Al centro di questo libro, ci sono le donne. E
non solo perché si parla di cena, cucina, cibo. Non è la solita associazione di
idee: alcune delle protagoniste non amano cucinare e se ne tengono anche
abbastanza lontano. Si tratta di cinque cugine: Costanza, Sofia, Bibi, Irene,
Veronica, le colonne portanti della storia, intorno alle quali gravitano una
serie di personaggi, come mariti, figli, ex-mariti, amici, amanti, amiche,
ciascuno dotato di una vita piuttosto problematica. Una volta al mese, le
cinque donne sviscerano i propri problemi confidandosi, prendendosi in giro,
litigando, riappacificandosi, riunendosi a cena a casa di una di loro, scelta
ogni volta dopo lunghi conciliaboli frettolosi al telefono, in una pausa caffè,
in piena notte, all’uscita dal supermercato.
Ognuna di loro ha situazioni
sentimentali disastrose, declinate in modi diversi: Costanza è l’amante di un
uomo sposato da sedici anni, che le promette ogni sera,ogni giorno, dopo ogni
incontro frettoloso, ad ogni telefonata del giorno e della notte, che lascerà
la moglie e i figli per stare solo con lei, lei e nessun’altra. E sì, promette
anche di non guardare più (e di non portarsi a letto, di conseguenza), ogni
giovane donna che entra nel suo campo visivo di critico letterario bello e
affascinante. Sofia si sta sbarazzando di un marito palesemente mal affiancato
a lei, con lunghi tira e molla, altrettanto stancanti di quelli cui si
sottopone Costanza. Bibi tratta la sua famiglia come uno yo-yo: il suo attuale
marito, che ha tentato di tutto per non essere un ex-marito fino in fondo, è
continuamente sballottato tra lei e la nuova donna con cui sta cercando di
ricomporre i pezzi del proprio cuore e della propria famiglia infranta. Poco
importa che viva a Vancouver, con i due bambini avuti da Bibi. Se la Cugina si
fa cogliere dall’istinto del nido, parte all’arrembaggio per riconquistare la
SUA famiglia, salvo poi ripensarci mentre è sul posto a fare fuoco e fiamme,
nella parte della Madre Pasionaria. Irene vuole disfarsi da tempo di un marito
avvocato ingombrante, piuttosto restio a lasciarla libera, ma resiste con
coraggio, negandosi altre storie, con stoicismo, per avere una carta in più da
giocare in tribunale per raggiungere il proprio obiettivo. Veronica è l’unica
sposata ad essere rimasta tale: simbolo stesso di Moglie e Madre, attraversa
intonsa il mare torrido di problemi che le Cugine affrontano (e fanno di tutto
per creare) ogni giorno, pur non negando il proprio contributo alla vivisezione
e alla sistemazione della vita delle altre. Una volta iniziato il libro, non
sono riuscita a mollarlo. E quando l’ho finito, mi sono dovuta rassegnare a
malincuore al fatto di non poter più entrare nella vita di queste donne. Essendo
io un cuore di granito, non dovrei nemmeno avvicinarmi a libri come questo, che
descrivono donne incasinatissime, alle prese soprattutto con problemi
sentimentali che si confezionano tutte da sole, come Costanza, semi-strangolata
dal rapporto con un insopportabile narciso arrogante e infantile, totalmente
incapace di prendere una decisione, mascherato da
uomo-brillante-affascinante-di-successo. Quando leggevo di come lui la
trattava, relegandola ad amante di serie B-C-D, a seconda dell’avvenenza della
ragazza di turno di cui sceglieva di incapricciarsi, in mezzo al suo harem
personale, mentre lei accettava, un po’ a malincuore, un po’ distogliendo lo
sguardo, un po’ facendoci sopra un’ironia corrosiva, mi spazientivo un po’:
stampagli l’impronta del tuo piede destro sui
glutei, ragazza, e cercatene un altro, se proprio devi! Facendo così, mi
auto-eleggevo a sesta Cugina, sentendomi anche più vicina al personaggio. Non
anticipo nulla dell’intreccio in continua evoluzione di questo libro: colpi di
scena a non finire, litigate, ritorni, scenette da Candid Camera. Quello che mi
ha incatenata, soprattutto, è il modo in cui Stefania Bertola scrive. Un italiano
veloce, informale, ma ricco e duttile, strettamente intrecciato ad una vena
ironica altamente esplosiva. Sul retro dell’edizione della TEA in cui l’ho
letto, si legge questo giudizio: “Un romanzo tutto al femminile che, con una
vena grottesca e ironia quasi yiddish, mette in moto una sarabanda di
situazioni e di dialoghi scoppiettanti.” (CLASS) In questo caso, credo che
queste parole lusinghiere siano andate molto vicine ad esprimere lo spirito che
pervade il libro. L’ironia yiddish, in effetti, mi fa pensare per prima cosa a
Woody Allen, che è un maestro nell’utilizzo della battuta irriverente camuffata
da battuta dimessa.
“Ma entra una ex
amante di Alex, e Carolina è salva. Nel senso che deve servirla lei per forza. Io
non servo mai le ex amanti di Alex. Lo farei senza charme. Le taglierei con le
forbici, le macchierei con gli inchiostri, le assorbirei con le carte
assorbenti...Così evito.” (Stefania Bertola, Ne parliamo a cena, TEADUE, pag. 22)
Ecco. Finalmente una parola che non risveglia la lettrice furiosa in me: cena &C. Già da tempo evito le “colazioni” e i vari “Tiffany” che vedo fra gli scaffali (ogni volta che “palpeggio un Tiffany” ho grattacieli di pregiudizi da smantellare e finora solo uno ha superato la prova, un libro della Vreeland che parla di L. Comfort Tiffany, l’artista del vetro e delle famose lampade).
RispondiEliminaDecisamente: non sono un tipo conviviale.
Però mi fa piacere che ben tre scrittrici italiane abbiano la tua approvazione (la terza è la Palazzolo, di cui leggerò prossimamente “Il bosco di Aus”)!
Ora che l'ho scoperta, devo leggere anche gli altri suoi libri, che non ruotano tutti intorno alla cena, ma che sicuramente saranno altrettanto godibili...le sue donne mi fanno un po' arrabbiare perché accettano di farsi strangolare in situazioni pesanti, ma poi riescono a sciogliersi, e con che stile!
EliminaBrava, Il bosco di Aus è un libro ricchissimo. Ho anche la trilogia di Mirta-Luna, che è un po' più horror del primo. Ma si legge in un attimo!
Dopo aver letto la tua recensione e sentito l'intervista con la Littizzetto, non mi resta che conoscerla domani e leggere il libro.
RispondiEliminaE vedrai che ne sarai contenta. La trama si fa seguire, e lo stile trascina a leggerla fino alla fine!
EliminaCiao sul mio blog c'è un premio per te!! Spero ti faccia piacere!! :D
RispondiEliminahttp://yumecreation90.blogspot.it/2013/11/buon-pomeriggio-tutti-da-voi-e-arrivato.html#comment-form
Grazie! Mi fa molto, molto piacere, e vengo subito a visitarti. :-D
EliminaBel blog! Mi sono iscritto!!
RispondiEliminaGrazie e benvenuto! :-D
EliminaAmo i libri.. questo poi riguarda anche il mio mondo.. blog molto bello! Sono un tuo nuovo follower, se ti interessa e ti va di passare da me, ti aspetto.. grazie.. Ciaoo :-) http://alberodellagastronomia.blogspot.it/
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