venerdì 23 giugno 2017

Margaret Mazzantini – Non ti muovere. E vivi.

LoreGasp

Un libro che è venuto a svegliarmi con prepotenza. Uno di quelli che, se si legge, poi si fa fatica a lasciar riposare tranquillo, e a passare ad altro. Uno di quelli che ti fa riflettere quando ti accingi a fare qualcosa, soprattutto se si tratta di qualcosa che ha a che fare con la scrittura. E uno di quelli che ti spinge a far emergere il meglio di quello che sei e hai, perché qualcun altro l’ha fatto prima di te. Senza clonare, senza copiare: troppo facile. No, tira fuori quello che sei sul serio, in semplicità.

Lessi il libro qualche settimana fa, poiché era stato scelto da una delle autrici ospiti del Salottino dei Libri di Buttigliera, Nella Scoppapietra, come uno dei testi che la ispiravano maggiormente. Da allora, mi faccio girare in testa domande su quello che ho io da dire, o da esprimere, e come. (Ed essendo una facilitatrice Access Consciousness, questo diventa anche più divertente…) Alcuni libri sono intrisi di questo potere di catalizzazione: toccano zone inconsapevoli della propria attenzione e personalità di lettore, e danno il via ad alcune reazioni chimico-alchemiche, che all’inizio passano pure inosservate e poco spiegabili. Però, poi, si fanno sentire.

Cosa sento io? Un grande, grandissimo respiro.
Partiamo dall’inizio, dall’ingrediente principale, il libro. Quando ci entriamo, ascoltiamo una voce maschile tenuta forzatamente scientifica e professionale, per cui impariamo subito che è un medico. Sta raccontando di un incidente, un incidente banale in motorino avvenuto ad una ragazzina di quindici anni. Dopo poche parole, sempre più professionali, capiamo subito che non è un’estranea per la voce narrante.

È la figlia. Una figlia che se ne sta andando. E che lui prega di non muoversi. Di aspettarlo, di aspettarlo ancora un po’. Ha qualcosa da dirle.

E non è un banale “ti voglio bene, ma non sono mai riuscito a dirtelo/dimostrartelo/sono fatto così/scusa, sono stato un pessimo padre”.

È una lunga confessione di una lunga parte di se stesso, rimasta accuratamente avvolta tra le ombre di un’esistenza doppia, con una facciata chiara, pettinata e di successo, e un cuore di passioni e desideri quasi incomprensibili. Timoteo, questo il nome del padre e stimatissimo cardiochirurgo che racconta il romanzo, sente fortissima la pressione di svelare questa parte di se stesso ad una figlia amata con misura, come ci si aspetta da un uomo contegnoso e di successo come lui, e poco capita. È un modo per sentirla vicina, in un rapporto a tu per tu che non si è mai concretizzato per non aver colto l’attimo. Timoteo si è lasciato sfuggire l’attimo di costruire un rapporto con la figlia, nel momento in cui venne posata neonata sulla pancia della madre, una donna bellissima, volitiva e di successo, che si è impossessata naturalmente di tutte le pieghe di una relazione genitore-figlio, senza lasciarne neanche una al padre, che si è subito rassegnato di aver perso il posto.

Ora, Timoteo è solo davanti alla figlia in coma. Ha l’occasione di farsi conoscere, davvero. Solo lui e lei. La madre sta ritornando dall’estero, è momentaneamente tenuta lontana da aeroporti e coincidenze aeree. E inizia a raccontarle la parte più brutale di sé, quella che ha giudicato con maggiore pesantezza per tutta la vita, perché è quella che l’ha tenuto davvero in vita, senza ridurlo ad un guscio scintillante fuori e arido dentro.

Il giovane Timoteo è un cardiochirurgo in gamba e ambizioso. Ha una moglie bellissima, colta, preparata, con un lavoro stimolante, di origini benestanti e amicizie eccellenti e interessanti. Un paio di case, una vita dorata di professionista sulla cresta dell’onda, che si divide tra un lavoro importante, di prestigio e di responsabilità, e un giro di appuntamenti mondani con persone come lui. Gusci scintillanti e vuoti… ma questo aspetto non lo infastidisce, all’epoca. Anzi. Era quello che desiderava come convalida della propria esistenza nel mondo.

Durante un viaggio per raggiungere la splendida moglie nella loro casa al mare, Timoteo ha un intoppo, per cui la macchina si ferma. È un posto isolato, squallido, assolato, ma è necessario per lui trovare un meccanico che gli sistemi il guasto. In un bar poco distante dal punto in cui si è fermato, conosce una donna, dal nome improbabile e anche ridicolo. Italia. Per quanto la moglie di Timoteo è alta e statuaria quanto una modella, con l’aggiunta di un cervello da Premio Nobel, Italia è minuta, sgraziata, un po’ squallida, senza scuole, senza tante nozioni di buona educazione. E non sembra in grado di presentarsi al meglio… finisce per sottolineare le proprie qualità peggiori. Tuttavia, la vita e la sincerità che esistono in lei, nonostante la scarsa qualità attrattiva esteriore, agiscono da bomba su Timoteo, che si trova a comportarsi con lei come non avrebbe mai pensato di poter fare. No, non lui. Un professionista stimato, che fa parte dei migliori, degli eletti, dei più belli, dei più bravi, dei più ricchi, dei meritevoli.

Non è un episodio isolato, quello. Inizia per Timoteo una parte oscura e meravigliosa di vita, al riparo dai sepolcri imbiancati della buona società e dei suoi paradigmi e dettami. Una parte non facile, tutt’altro. C’è ancora tanto disprezzo, tanto rimorso, ma anche tanto impegno e sentimento. È un amore contorto, questo. Ma non vale di meno perché non è consumato alla luce del sole.
Le vicende di Italia e Timoteo si concluderanno. È tutto quello che mi va di dire su questa storia che quando si racconta perde un po’ della sua energia potente e bizzarra. È necessario leggerla, e berla dalle parole della Mazzantini, che si è divertita non poco, secondo me, a sovvertire tutti i punti di vista soliti su eventi quotidiani come questo: il dolore di una disgrazia, il tradimento, la valutazione della propria vita.

Tanto è quello che mi ha colpito, di questo libro. Il rovesciamento del punto di vista del dolore. Quando un figlio, soprattutto se molto giovane, rischia di morire, è facile pensare all’angoscia materna. Ma, e il padre? Molti si murano dietro al fatto di essere uomini e di non esprimere il dolore. Qui, il padre emerge e si tira dietro l’uomo, e insieme mettono a tacere il cardiochirurgo. E lo fanno con una tale potenza, che, a metà del primo capitolo (23 pagine scarse), mi scorrevano lacrime copiose. È estremamente raro che un libro mi faccia piangere. Mi commuove, mi prende, mi cattura, ma piangere no. Se non un breve luccichio degli occhi. Qui erano proprio lacrime.

Lo stile della Mazzantini. Energia e talento così infusi l'uno nell'altro, da non essere distinguibili. Scrittrice di molti romanzi, drammaturga e attrice, vincitrice di premi letterari (Non ti muovere vinse lo Strega e il Grinzane Cavour). Questo non è sufficiente a garantire un’eccellenza, lo so bene. Tuttavia, quando finite di leggere il primo capitolo di questo romanzo, capite perché esiste un’eccellenza come la sua. Intensa e misurata, profonda, originale e creativa. Frantuma i punti di vista e i luoghi comuni di cui parla, comunque. Travolge, e ti sorride.

Se iniziate il libro, fatelo di mattina. Tanto non lo mollerete finché non l’avrete finito.


Se siete in crisi su qualcosa, in voi o nella vostra vita, prendete questo libro, acquietate tutto e ascoltate, mentre lo leggete. Non muovetevi, e lasciate che vi guarisca, vi svegli, vi apra.

2 commenti:

  1. iniziato parecchie volte e sempre mollato, questo e un altro della Mazzantini di cui non ricordo niente. Troppo pesanti per me.
    Ma ormai abbiamo appurato che "usiamo" libri diversi... e meno male che possiamo scegliere!

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    Risposte
    1. Infatti, la bellezza del leggere e dello scambiare le letture è proprio questo. Non è un libro leggero, questo, proprio per niente, e non mi meraviglia che sia arrivato in questo momento. Ha tante sfumature, mai niente di definitivo o di netto. Un immenso e fortissimo chiaroscuro. E ancora tanto altro, che potrebbe emergere, se glielo permettessi... :-D

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