Qualche post fa, avevo parlato di un libro sui generis, di
quelli che piacciono particolarmente alla Lettrice Furiosa e un po’ distratta
di questo blog. Si tratta de La leggenda del ragazzo che scoprì i prodigi del Ganoderma, di Paolo Trombaccia Errico. Un racconto breve e molto denso,
ingannevolmente vestito da “favola”, che prende l’avvio da un reale prodigio
della natura, il Ganoderma Lucidum, per raccontare dell’evoluzione spirituale
di un’anima in un luogo e in un tempo ben precisi di questo nostro pianeta
Terra.
Ganoderma Lucidum - Reishi |
Ben presto si arriva a capire che la vita del protagonista, e i suoi
pensieri, coincidono con i nostri, soprattutto con quelli più profondi, che si
muovono al fondo della nostra mente e che non sono ancora usciti allo scoperto
per farsi mettere a fuoco. La leggenda è solo l’inizio, naturalmente. Il suo
autore, Paolo Trombaccia Errico, è medico e scrittore. O forse scrittore e
medico. In un mondo pieno di etichette come questo, è difficile incasellarlo in
una definizione unica e chiusa: in lui non si sa dove inizia uno e finisce
l’altro. Il rigore scientifico del medico chirurgo si intreccia all’ampia
visione filosofica dello scrittore pensatore, che si fa portavoce di messaggi
profondi, rivolti ai suoi fratelli umani. "Con una medicina appropriata e la cura giusta puoi salvare la vita di
un uomo; con una storia scritta, addirittura con una semplice frase che arrivi
al cuore di chi legge, puoi salvargli l'anima e la sua intera esistenza."
PAolo Trombaccia ERrico |
Letto? Le due anime sono fuse saldamente in PAolo Trombaccia ERrico, e trovano
facile espressione con radici così forti e curate. Ma non è tutto. Come dicevo
poco prima, il racconto breve de La leggenda è solo la prova strumentale prima
dell’esecuzione di una sinfonia molto più complessa e avvolgente. La casa illuminata
dal vento, nominata sopra, è il prossimo romanzo su cui Paolo Trombaccia Errico
sta lavorando alacremente. Il titolo fa
già presagire che non si tratta di qualcosa di già visto o sentito. Lo
scrittore, dalla sua Pagina su Facebook, aveva già iniziato a farlo conoscere,
pubblicando gli otto capitoli iniziali, schiudendo così le porte del suo mondo
interiore. Richiuse, però, piuttosto imperiosamente, dall’imprescindibile e
prepotente Editing. L’Editing è un organismo misterioso, che si nasconde dietro
le quinte, cui è praticamente impossibile sfuggire, se si tratta di un’opera
scritta, sia su carta, pergamena o bit. Qualunque parola venga scritta o
digitata su qualunque supporto a piacere, viene rigorosamente requisita e poi
mandata nel mondo dopo un certo periodo di tempo, dopo essere passata tramite
processi misteriosi avvolti dal riserbo più granitico. Ora, mentre attendiamo
tutti con il fiato sospeso che l’Editing molli la sua presa inesorabile,
pubblico qui di seguito il prologo e il primo capitolo tra quelli fuoriusciti del libro... è
necessario che tutti sappiano che cosa sta per accadere nel mondo della
narrativa, e che siano adeguatamente preparati!
LA CASA ILLUMINATA DAL VENTO
Paolo Trombaccia Errico
PROLOGO
SINAI, GEBEL MUSA (MONTE DI MOSE’),
MONASTERO DI SANTA CATERINA, ottobre 1799
Il coro bianco già intonava le litanie gregoriane, quando il massiccio portale d’ingresso si spalancò davanti al suo sguardo intimorito. Due monaci incappucciati lo invitarono ad entrare nella basilica. L’eco delle voci, candide ma inquietanti, vibrava ovunque e le ombre dell’accecante mattino sembravano spettri che si flettevano intorno a lui, come per accompagnarlo, nel modo più opprimente, verso l’epilogo di quella vicenda.
Fece alcuni passi avanti, entrando in una nuvola d’incenso. Tra quei fumi mistici, riuscì a scorgere, sul lato destro, in fondo, i visi di due alti sacerdoti che conosceva già, appartenenti alla Chiesa di Costantinopoli. Erano venuti addirittura loro! I due sedevano ai lati del Gran Maestro del Monastero ed attorno a loro, come prevedeva l’usanza, erano accomodati gli altri venti saggi che completavano il piccolo sinedrio.
Themis si guardò alle spalle ed uno dei due monaci incappucciati gli fece un breve cenno, invitandolo a proseguire. Il giovane, sospirando per prendere il necessario coraggio, avanzò lentamente, lungo il corridoio centrale che portava all’altare. Arrivato all’altezza del sinedrio, si voltò a destra e si pose di fronte al Maestro, inginocchiandosi. In quel preciso istante, i canti e le litanie s’interruppero ed un silenzio gelido vibrò in un’atmosfera irreale.
Il Gran Maestro del Tempio si alzò e lo seguirono tutti gli altri, per ultimi i due alti vicari del Patriarca di Costantinopoli.
Il Maestro alzò lo sguardo e protese le mani verso il crocifisso sull’altare, invocando la benedizione per il rito che stavano per iniziare. Sette monaci incappucciati girarono tre volte in circolo, nella basilica, agitando incenso e giungendo poi ai lati dell’altare, davanti al Gran Maestro per porgergli uno degli incensieri. Il Maestro prese l’oggetto e lo fece dondolare per l'estremità di una catena. Disegnò tre volte il segno della Croce, mentre tutti i presenti in sala chinarono il capo. Quindi posò l’incensiere fumante nelle mani di un monaco incappucciato e, dopo qualche secondo di silenzio, disse in modo solenne:
- Fratello Themis, in nome dell’Ordine di San Basilio, per i poteri affidatimi dal sommo Patriarca di Costantinopoli, io ti ordino la svestizione dell’abito monacale e t’impongo di lasciare questo monastero prima del calare delle tenebre.-
Themis, ancora col capo chino, serrò gli occhi, per evitare alle lacrime di uscire. Sapeva che tutto ciò stava a suggellare l’inizio di una sua nuova vita oltre le mura di quel monastero. Ma sapeva, allo stesso modo, che quel momento significava anche la fine della sua precedente vita, quella monastica, e da asceta, tutta dedicata alla ricerca costante della presenza e della parola di Dio. Sapeva di dover lasciare i suoi fratelli monaci, alcuni dei quali cari amici e confidenti. E sapeva, più dolorosamente del resto, che avrebbe dovuto dire addio al suo Gran Maestro, il meraviglioso uomo del Signore che aveva seguito passo passo, lungo tutto quel sentiero ecclesiastico. Il suo Maestro, Kostanthino, senza il quale il passaggio sulla terra non sarebbe stato così ricco e stupendo, non avrebbe più vegliato su di lui. Non sarebbe stato più la sua guida. Non sarebbe stato più il faro e padre spirituale, anche se avrebbe continuato, comunque per sempre, ad essere suo fratello!
Con la morte nel cuore, il Gran Maestro disse, questa volta quasi teneramente:
-Themis, nostra madre ci ha portati in grembo entrambi e mai e poi mai avrebbe voluto assistere a questa scena. Mai una madre potrebbe immaginare di vedere un fratello che scaccia un altro fratello dalla casa. Eppure oggi sta accadendo, perché, in questa casa, la vera Madre è un’altra. In questo monastero, infatti, io non posso seguire i desideri e gli interessi che possono avere due fratelli di sangue come noi, ma devo ascoltare e realizzare i desideri e le necessità dell’intera comunità di fratelli, di cui io ricevetti l’onore d’esserne il pastore. Fratello Themis, qui dentro, la vera madre è la Santa Chiesa di Costantinopoli!- Tutti i presenti fecero il segno della Croce e dopo alcuni secondi, il Maestro continuò:
- Con il tuo comportamento, hai ripetutamente oltraggiato, amareggiato, svilito, nonché tradito l’amore della nostra madre Chiesa. Non servirono a nulla i miei moniti e quelli di altri fratelli, tuoi amici. Non servì a nulla il messaggio ricevuto direttamente dal sommo Patriarca che ti richiamava all’ordine ed al rispetto delle regole. Non servì a niente nemmeno la mia implorazione di fratello di sangue, che ti chiedeva di cambiare idea, di cambiare atteggiamento per non compromettere le nostre relazioni di parentela. Tu volesti seguire il tuo istinto e non ci fu modo di fare nulla per evitare ciò che sta per accadere! E, riguardo al tuo istinto, io, come
fratello maggiore e come tuo Maestro nello spirito, l’ho sempre visto guidarti nel modo migliore e condurti alle alte vette da cui il tuo cuore e la tua anima in questo momento osservano il mondo. Possa dunque, ora e in seguito, il tuo istinto guidarti nelle scelte più giuste e sagge, e sempre in nome dell’Amore puro!-
Questa volta una lacrima sfuggì e scivolò lungo lo zigomo di Themis, che non osava alzare la testa. Il maestro gli disse:
- Ora va', fratello mio. Va' per la tua strada e per le strade del mondo. Che il Padre nei Cieli ti comprenda e t’illumini.-
A capo chino, Themis si mise in piedi, si voltò lentamente e si avviò all’uscita. Contemporaneamente, tutti i presenti cominciarono ad agitare un braccio in aria e con l’indice puntato severamente, indicavano di andar via. Era un gesto rituale che a Themis spezzò il cuore. Era il simbolo della cacciata dal Tempio che Cristo attuò contro gli empi.
Il Maestro disse, mentre lui era già quasi all’uscita:
- Prima di varcare la soglia di questo luogo benedetto, inchinati verso il crocifisso, chiedi perdono a Dio, chiedi lumi per il tuo cammino mondano e lascia cadere il tuo saio a terra. Uscirai da questa chiesa nudo, così come vi entrasti.-
Obbediente per l’ultima volta alle regole, Themis si fermò qualche metro prima della porta e si voltò verso l’altare. Sciolse il cordiglio e lo lasciò scivolare a terra. Tolse i calzari monacali restando a piedi nudi. Quindi si sfilò il saio e lo depose al suolo, mettendosi in ginocchio. Si coprì il volto con una mano e con l’altra timidamente il pube. Dopo una decina di secondi, si rialzò e guadagnò l’uscita, mentre i canti gregoriani ripresero ad invadere l’aria, quasi trasformandosi in un'onda che lo spingeva lontano da quella chiesa.
Appena fuori dalla basilica, un breve corridoio fatto da dodici monaci incappucciati lo accompagnò lungo le scale. Themis vi passò in mezzo un po’ timoroso, nudo, con le mani che gli coprivano il basso ventre e con la tempesta sonora scatenata da quei canti che piano piano si spegneva alle sue spalle.
Sceso l’ultimo gradino, alzò gli occhi in cielo che, stranamente, gli sembrò più nitido che mai. Terso di un terso inaudito! Si voltò alla sua sinistra e vide una giovane donna che gli correva incontro. Teneva tra le mani un telo bianco e, appena gli fu davanti, glielo drappeggiò attorno al corpo. Themis lo aggiustò e lo strinse in vita con una corda, dopodiché guardò negli occhi la donna e le sorrise amorevolmente. Avrebbe voluto abbracciarla immediatamente e stringerla a sé con forza, per poi raccontarle di quelle emozioni, di quei momenti di addio alla vita ecclesiastica, di quel saluto al fratello maggiore che forse non avrebbe mai più visto ma, soprattutto, di quell’immenso e sconvolgente amore che provava per lei, fin dal primo istante in cui l’aveva incontrata! Themis le avrebbe voluto dire, sussurrare e mostrare, tutto insieme in un secondo, in un battito di cuore, in un fremito di lacrima. Si rese conto però che c’era un folto pubblico ad osservarli e quindi decise di prendere per mano Dalila, la sua nuova stella in terra, e correre via al riparo da ogni cosa fosse ostile a quel loro straordinario amore.
Appena giunti in uno spiazzo abbastanza isolato tra le rocce di quel maestoso deserto di pietra, si girò verso la donna, le prese il viso tra le mani dolcemente e la baciò con tenerezza. Lei, dopo qualche istante, si scostò, lo guardò intensamente e ricominciò a baciarlo, questa volta con estrema foga. Si abbracciarono con forza, fino a perdere il respiro, mentre Themis si addossava con la schiena ad una roccia arrotondata. Quando riuscirono a trovare il tempo per respirare, interrompendo quella danza di emozioni, Themis accostò il naso a quello di lei e le disse sottovoce:
- Andiamo verso il mare…Subito! Voglio andare al mare…Voglio lasciare questo deserto e vedere l’acqua, la vita, le barche, i pescatori, le cose che cambiano posto e posizione…Voglio vedere Dio in mezzo alla gente!
Arrivarono al piccolo villaggio di Dahab verso le sette di pomeriggio, seduti sul bordo di un carretto trainato da un cavallo arabo.
Cominciava a tramontare. Il villaggio era un misto di poche casette di fango e tende beduine. Raggiunsero a piedi il minuscolo porticciolo, un attracco fatto di brevi e malandati pontili di legno che si allungavano nel mare. Vi ormeggiavano le decine di barche di pescatori già rientrate. Alcuni di essi aggiustavano le reti, altri lavavano e salavano il pesce pescato, altri risistemavano le loro cose a bordo delle loro imbarcazioni. Lungo il muro del porto, al riparo dal vento e dal sole calante, ferveva l'attività del mercato: venditori di ogni genere di spezie e di aromi, che offrivano le loro merci ai compratori, donne con le teste gravate da ceste piene di datteri in vendita. Lingue e idiomi di tutti i generi s'intrecciavano, lungo quella scintillante linea d’orizzonte. Colori, sapori, profumi, progetti e preoccupazioni per il domani, sorrisi, occhi neri e cupi, abbracci, strette di mano, animali in gabbia, gabbiani in volo, pecore e cammelli, e la luce del sole che scendeva dietro le alture del Sinai che da poco avevano lasciato, gli stavano sommergendo il cuore di emozioni. Erano anni che non vedeva e viveva tutto questo. Ma da quando aveva incontrato Dalila, in un pomeriggio tempestoso in cui lei e la sua carovana di beduini cercavano rifugio nel monastero, i suoi occhi non vedevano altro che la fiamma d’amore per quella donna. Era passato già quasi un anno da quel pomeriggio ed era passato soprattutto il periodo più tormentato della sua vita da monaco! Ciò che gli era sempre sembrato definitivo, certo e imprescindibile, come la sua devozione all’abito monacale, la fede per la dottrina e l’amore immenso per suo fratello-Maestro Kosthantino, da un minuto all’altro furono messi prima in discussione e poi da parte. Gli occhi di Dalila erano la prima cosa che vedeva nella sua vita di tutti i giorni, nelle sue orazioni, nel suo cibo, nel panorama dall’alto dei monti, nelle sue “buona notte”, nei suoi risvegli e nei respiri sempre più intensi che si sentiva di dedicare al mondo intero. Dio gli stava parlando, forse, per la prima volta, dell’amore che Egli stesso aveva mandato in terra, tra un uomo ed una donna e che forse, anzi, sicuramente, per nessun motivo o dottrina al mondo, avrebbe dovuto essere messo in disparte. In quell’anno trascorso dal primo incontro con Dalila fino a quel pomeriggio nella rada di Dahab, Themis aveva realizzato che nessun essere umano dovrebbe mai decidedere consapevolmente di rinunciare all’amore verso l’altra metà!
In gran segreto, poco per volta, era riuscito a patteggiare con il padre di Dalila il prezzo per lasciare andar via la figlia dalla loro comunità beduina: due capre, un caprone ed un asino giovane. La ragazza era libera di andare!
Guardando le barche che ondeggiavano in mare, esclamò:
- Quant’è bello il porto!…Quasi mi commuove!- con un largo sorriso, nonostante la stanchezza per quelle ultime faticose vicende, prese la mano di Dalila e la condusse con sé, in un punto più alto, da cui si poteva ammirare la bellezza della baia nella sua interezza e, scorgere persino, due navi mercantili che viaggiavano lontano dalla costa. Themis prese un coltellino dalla bisaccia che portava a tracolla e con la punta cominciò ad incidere una grande pietra, inserita in un alto muro di contenimento. Dalila osservava attentamente e con curiosità e, dopo qualche minuto, emerse una scritta in greco antico:
Le navi partono prima che cada la sera. La luce, ciò che resta,
è un abbraccio delicato.
Il tramonto al porto sa sempre di magia.
- Cos'hai scritto?- gli chiese.
Lui sorrise e con dolcezza gliela lesse, traducendola in arabo. Lei lo baciò sulla guancia e gli disse:
- Che bella frase!…Sei anche poeta!- disse, abbracciandolo. Themis sorrise e le baciò la fronte. Poi rispose allegramente:
- Per così poco?…E se leggessi Omero o qualsiasi altro sommo poeta dell’antichità
cosa diresti?- Lei lo guardò senza capire e lui le arruffò i capelli che uscivano dal velo. Le prese la mano e disse:
- Vieni…Andiamo a cercare un posto per la notte. Domani ci rimetteremo in marcia molto presto.
I
ITALIA, POZZUOLI, PORTO, settembre 2007
Le navi partono prima che cada la sera. La luce, ciò che resta,
è un abbraccio delicato.
Il tramonto al porto sa sempre di magia
Chiudo l’agenda.
E' un venerdì pomeriggio umido di metà settembre. Porto di Pozzuoli. Aspetto il traghetto insieme a due-trecento persone. Sto partendo per Procida. Molti ridono. Sembrano allegri. Sembrano “gai”. Per impostazione mentale, una persona gaia, per me, è sempre stata, fin dalle scuole elementari, un essere umano dal sorriso facile e dalla felicità che si fermava allo strato più superficiale della sua epidermide. Diciamo…all’apparenza delle cose!
Io, invece, in questo periodo, vorrei aprire maggiormente il mio animo. Vorrei aprirlo a me stesso ed al mondo. Vorrei imparare a guardarci dentro. Ho capito che adesso è necessario. Forse perché è da un po’ di tempo che mi sento solo.
E quanto vorrei che il mondo si aprisse a me!
Sono salito a bordo. Giro per i ponti della nave e guardo intorno.
Il panorama è sempre bello. Ogni volta mi dà emozioni nuove, nonostante lo conosca molto bene. Abito a Pozzuoli dal giorno della mia nascita, da trentotto anni.
Ho girato il mondo. Ho visto parecchio. Ho visitato e conosciuto e amato e lasciato tanti luoghi di questa terra, e le fotografie di questi posti sono archiviate intatte nella mia mente. Tuttavia, ogni volta che ammiro questo litorale, questi anfratti della costa, queste case che sembrano abbracciate l’una all’altra per non scivolare in mare, mi riempio di ammirazione, scuoto la testa sorridendo e penso che immagini come questa non sono semplici da trovare.
Siamo ancora al porto di Pozzuoli. Pochi minuti ancora e si parte.
Le persone gaie sono assembrate in gruppi in gita di fine settimana e sono pronte ad invadere con il loro buon umore artificiale le strade dell’isola.
Qua e là qualche coppia d’innamorati che sembrano, almeno per il momento, i più sinceri.
Ci sono anche i residenti dell’isola che fanno la spola Napoli-Procida per motivi di lavoro, e decine di turisti stranieri che si guardano intorno sbigottiti, fotografando come forsennati.
Tutto scintilla, nel porto. Le cromature delle miriadi d’imbarcazioni ormeggiate nel porto riflettono la luce scintillante formando un’onda variopinta molto bella da seguire. I modelli di barche sono centinaia, tutte diverse l'una dall'altra. Questo mi porta a pensare che, di conseguenza, devono esistere centinaia di "modelli" diversi di uomini, ognuno corrispondente ad una barca. "Dimmi che barca scegli, e ti dirò chi sei!"
Se io dovessi scegliere una barca, la vorrei veloce, che mi permettesse di spostarmi rapidamente da un porto all’altro, ma anche confortevole per poterci vivere e gustare al massimo la vita sul mare. Chissà, quindi, che tipo di uomo sono.
Insegno matematica al liceo. Sto per divorziare da mia moglie. Ho bisogno di qualche giorno di relax lontano da lei e dalla routine, prima di riprendere col nuovo anno scolastico. Questo week-end sull’isola potrebbe giovarmi. Ho parecchio cui pensare, molto su cui riflettere.
Tamburello con le dita sull’agenda e ripenso all'inscrizione che ho letto poco fa. “Le navi partono prima che cada la sera. La luce, ciò che resta, è un abbraccio delicato…il tramonto al porto, sa sempre di magia…” il tramonto al porto sa sempre di magia…E' vero!Questo momento, per me, almeno, è magico, lo è più di qualsiasi altra scena abbia visto in vita mia. Questa inscrizione mi colpì parecchio quando la lessi un anno e mezzo fa su una pietra in cui m'imbattei per caso, nel porto di Dahab, mentre stavano abbattendo un muro. Mentre ero in vacanza a Sharm El Sheik, feci una gita nel piccolo borgo di pescatori, cento chilometri a nord, che si chiama Dahab. Là si va per stare tranquilli, al di fuori dalle normali rotte turistiche e per trovare un frammento dell’Egitto vero ed in parte ancora incontaminato. In quel giorno stavano facendo dei lavori nel porto e mi capitò di passare davanti ad un cumulo di macerie, tra cui emergeva il masso su cui era inciso questo breve testo. Mi chinai, come attratto da una forza magnetica. Era scritto in greco antico, che ricordo ancora abbastanza bene dagli studi liceali. Leggendo, ebbi per un attimo la sensazione che il mondo intorno si stesse fermando, come se stessi uscendo dal tempo e, mi fossi proiettato in uno spazio senza dimensioni cronologiche. Fui talmente incuriosito da questa sensazione per me così stravagante, che copiai la scritta in quest’agenda che ogni tanto uso per segnare i miei appunti di viaggio. Feci leggere il tutto ad un mio collega, insegnante di greco, che confermò la mia traduzione. In seguito, quando analizzai la frase più a fondo, scoprii che mi era molto familiare. In due righe esprimeva tutte le emozioni e gli stati d’animo che provavo ogni qual volta mi trovavo in un porto al tramonto. Sembrava che chi aveva scritto quelle belle parole mi conoscesse. In fondo, era come se quelle parole un po' mi appartenessero.
Sembra un libro interessante e molto particolare Loredana ;-)
RispondiEliminaGrazie per avercelo fatto conoscere :-)
Buona giornata - Buon lunedì e migliore settimana appena iniziata
Grazie, Arwen Elfa! Ti posso assicurare che lo è davvero...segui la pagina del Blog Del Furore, per ulteriori anticipazioni...
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