Maurizio De Giovanni. Basta il suo nome e io devo leggere i
suoi libri. Sono anche tanti, meno male, per cui potrò approfondire la sua
conoscenza con tutto comodo e agio. È parecchio noto per il suo inconsueto
commissario Ricciardi, e per la serie televisiva de I bastardi di Pizzofalcone,
tratta dal suo omonimo libro. Tutti segnati sulla lista della Cintura di
Orione, naturalmente.
Questo libro, Le mani insanguinate, arriva naturalmente da…
ovvio che sì… dal #SalTO30 appena passato. Passato solo dal punto di vista del
calendario, naturalmente. Il Salone del Libro è un’esperienza priva di
individuazioni temporali gregoriane precise. Una visita approfondita allo stand
delle Edizioni Cento Autori, e Maurizio De Giovanni è stato immediatamente
adottato.
Sono quindici racconti noir. Quindici perle nere, in cui De
Giovanni si diverte a usare il nero come ingrediente principale o come filtro
dei suoi scritti; non è più solo un genere, in cui l’assassino commette il
delitto davanti agli occhi sorpresi del lettore e poi si dilegua sbeffeggiando
gli inquirenti di turno. Alcuni dei racconti sono noir “tradizionali”, se
possiamo definirli così. In altri, invece, il nero è davvero un filtro, un paio
di lenti scure virate con cui l’autore guarda e riscrive alcuni eventi storici
molto noti, e altri fatti di cronaca delicati, al punto da essere entrati nel
corpo collettivo del nostro territorio.
E alcune di queste rivisitazioni sono talmente ben
congegnate che potrebbero persino… essere reali. In fondo, è sempre questione
di punti di vista, giusto?
Sì. E no.
Quello che è originale, è il punto di vista da cui viene
raccontata la vita della povera Filomena. E lo stile che, da compassato e
partecipe senza sfociare nel melenso, si colora di soprannaturale per brevi
momenti, e si risolleva nel finale. Che ovviamente non racconto.
L’atmosfera del secondo racconto, Io e mia sorella, inizia da qualche ottava più in alto. Calmo,
apparentemente sereno, a due voci. Sotto la serenità, un paio di note
dissonanti che vibrano sempre più forte finché non arriva fortissima la
curiosità di conoscere le due sorelle: è sempre solo una che parla, e l’altra
voce è di un uomo, che entra in contatto con loro e s’ingarbuglia in una
vicenda cattiva, squallida e crudele. Quando scoprirete chi sono le due
sorelle, però, tutto vi sembrerà diverso.
Avete mai pensato che gli eventi famosi, sia di adesso sia
di ieri, avrebbero potuto avere un’altra spiegazione, un altro svolgimento, da
come ci è stato insegnato sui libri di scuola o trasmesso dai telegiornali? Sempre,
vero? Mancava, però, qualcuno che lo scrivesse sul serio, e soprattutto con
coraggio.
Basta uno sguardo,
e siamo incantati a leggere le vicende di un ragazzino chiuso, introverso, gran
disegnatore, figlio mal tollerato di una donna chiusa e fredda che lo ha
allevato per dovere. Lo seguiamo, nelle sue parole, mentre racconta di come la
sua vita di emarginato ed escluso cambia quasi all’improvviso dopo un incontro
al limite tra la vita e la morte, in un angolo magico del tempo e spazio, e si
trasforma in un giovane uomo carismatico, cui basta uno sguardo per essere
seguito, adorato, sostenuto in pieno. Presto gli si affianca una donna, l’amore
della sua vita, cui sta scrivendo le parole che beviamo avidamente. Tutto va
bene, benissimo, i due sono letteralmente in cima al mondo, lei gli è talmente
devota, talmente di sostegno che… le basta uno sguardo.
Non è una storia d’amore tra anime gemelle: è la storia di
una fascinazione mortale (o meglio, la rivisitazione di una fascinazione
mortale) tra due persone, che piombò il mondo in un’oscurità perversa per
almeno un ventennio… ed ebbe termine quando l’uomo, l’io narrante della storia,
si suicidò al sicuro in un bunker con la sua amata, per non cadere prigioniero
degli Alleati che stavano per prenderlo.
È sicuramente una ricompilazione degli
eventi molto interessante… e se fosse andata veramente così?
Per amore di Nami
rintraccia le origini di un amore nascosto e clandestino tra un uomo dei boschi
e una donna di famiglia di città, splendida creatura poco realizzata, con un
marito insulso, due figli da crescere quasi da sola, e tanti carichi di
responsabilità difficili da portare avanti. L’amore finisce, almeno da parte
della donna, che si ritira nella sua vita di routine, mentre il suo amante dei
boschi, che nessuno conosce sul serio, la spia e la osserva diventare sempre
più spenta, più lontana da se stessa. È per salvarla e salvare il frutto
concreto del loro amore ormai dimenticato, che lui piomba nella sua vita uccidendole
il figlio minore… anche se, per questo suo malinteso atto di salvataggio, lei è
costretta a sopportare un processo lunghissimo e inconcludente, una gogna
mediatica senza fine e crudele, che poi la spingerà via da quella bizzarra
abitazione nella valle di Cogne.
Questi sono solo gli assaggi: vi restano gli altri dodici,
per scoprire tutte le variazioni sul nero e sul blackhumour di cui è capace uno
scrittore in grado di vedere tanto altro e di andare molto oltre come De
Giovanni. Come libroterapia, vi serve leggerli subito per dimenticare il caldo.
O per abituarvi al freddo che sta per arrivare, viste le perturbazioni
ultimamente così volubili…
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