giovedì 6 ottobre 2016

Elena Ferrante – La tetralogia dell’Amica Geniale

LoreGasp

Un post che si potrebbe intitolare anche Storia della Lettrice Orfana (oltre a Furiosa). E’ la sensazione molto comune che afferra tutti i lettori che chiudono libri che hanno saputo trascinarli a vivere con loro e dentro di loro fin dalla prima parola.

Storia (anche) di una Promessa Mantenuta, visto che in quest’estate appena passata mi ero ripromessa di finire alcune collezioni di libri iniziate, tra trilogie e tetralogie varie, qualche mese prima, e almeno per una di quelle è stato così.

Non saprei dire cosa mi ha spinto di nuovo verso Elena Ferrante, dopo i mesi passati dal primo libro letto, L’amica geniale, a parte questa promessa. So che, dopo aver preso Storia del nuovo cognome, ho dovuto prendere gli altri due in sequenza, un giorno dopo l’altro, per poter arrivare a mettere una parola fine, pur se molto a malincuore. Conoscete tutti quella sensazione del libro che vi chiama perentorio, anche se dovete leggerne altri otto urgenti, lavorare, e occuparvi di altre cose in ordine sparso, per cui non starò a dilungarmi oltre.

Con l’amica geniale, Elena Ferrante ci presenta due amiche, Lenù e Lila, sullo sfondo di un rione turbolento di Napoli, negli anni ’50. In Storia del nuovo cognome, le due ragazze sono adolescenti e avviate ciascuna verso le proprie esperienze e scoperte.

Cominciano a delinearsi i cammini che entrambe prenderanno, i loro caratteri si formano, si modellano, si spezzano e si ricompongono in un gioco ciclico che non ha mai fine. Lila si sposa sedicenne, con un ragazzo poco più grande di lei, commerciante avviato, ombroso e devoto a questa moglie bizzarra, questa dea furiosa che si costringe a vivere come una mortale. Lenù prosegue gli studi, s’innamora del ragazzo sbagliato, Nino Sarratore, inaugurando un rapporto stillicidio che le peserà addosso fino all’età matura.

In Storia di chi fugge e di chi resta, Lenù si laurea alla Scuola Normale di Pisa, diventa scrittrice di successo, mentre Lila affronta al rione tutte le conseguenze di aver compiuto scelte pesantissime e controcorrente, nel pieno degli anni Settanta italiani, pieni di contestazioni, guerre intestine, ribellioni, insofferenze, quando la violenza s’insinuava fin troppo facilmente in alcuni ambiti politici un po’ troppo condiscendenti.

Nell’ultimo, Storia della bambina perduta, ci aspetteremmo di trovare una sorta di bilancio e di resoconto di due vite straordinarie e intensissime. Lenù si è sposata, ha avuto tre figlie da due uomini diversi, di cui uno è la sua nemesi Nino Sarratore, Lila ha avuto due figli, ha distrutto e ricostruito la sua vita e quella di chi le sta intorno decine e decine di volte. Il finale, e soprattutto l’epilogo, rovesciano l’atmosfera da resoconto che il romanzo stava assumendo. Le due protagoniste sono sessantenni, entrambe con molta vita e molti, troppi avvenimenti alle spalle, sono stanche, sentono qualcosa che sfugge, oltre ai giorni. La stanchezza che minaccia di spegnerle entrambe, in un “e continuarono a vivere, se non felici e contenti, almeno provandoci”, sparisce di fronte ad un pacco arrivato inatteso a Lenù, la famosa scrittrice Elena Greco.

Non vado oltre, perché il contenuto del pacco rimescola le carte riconnettendosi alle prime pagine dell’Amica Geniale.

Non accenno nulla agli eventi e a tutti gli intrecci di relazione tra i personaggi, che sono veramente tanti, estesi e complessi. Alcuni di questi cambiano nel giro di poche righe.

Il rapporto tra queste due amiche geniali è il vero e unico perno di questa tetralogia, anche quando sembra che lo scritto si concentri solo su una. Per gran parte de Storia del nuovo cognome, Lenù sparisce sullo sfondo, raccontando del rapporto perverso di Lila con suo marito e il rione in cui lei volontariamente si è andata a rinchiudere, per un voto accettato (inconsapevolmente, tant’è che la stessa scrittrice non lo sa) e portato avanti da bambina. È il momento in cui Lila brilla più forte e più splendida. Acceca tutti con la luce della sua intelligenza e della sua creatività che rifiutano di farsi ricacciare in un’esistenza piatta, solo dedicata alla famiglia e tre passi dietro a un uomo che non può capire la potenza d’Anima che ha accanto. Tuttavia, il vero nemico di Lila non è il rione con i suoi equilibri di convenzioni non scritte e accettate, di tradizioni maschiliste e di volontà di immobilismo.

È la sua Anima ribelle, selvaggia che dilaga e straripa, abbattendo gli argini che lei stessa s’impone, abbattendo gli argini di una società ancora tribale che la vorrebbero stretta in rituali ormai fuori dal tempo.

Lila abbatte tutti i tabù, tutti i tentativi di stringerla in uno stampo che non è suo. E pagherà anche il prezzo per tutte le rotture effettuate per poter vivere come desidera davvero.

Lenù diventa parte del sistema, assiste compiaciuta alla trasformazione della propria vita di ragazzina di un rione malfamato della città più tormentata e contraddittoria d’Italia in scrittrice colta, affermata, capace, brillante, moglie di un intellettuale apprezzato e di famiglia potente. Paga anche lei un prezzo feroce, per aver voluto cambiare tutto di sé, sottoponendosi a scontri umilianti, a infiniti esilii da amicizie e circoli affermati.

Tuttavia, sono due vincenti. Pur se colpite da perdite copiose, coperte di fango d’umiliazione, sono due dee che vincono. Ciascuna è rimasta fedele a se stessa, onorando anche un’amicizia difficile, che si è opacizzata molte volte, rischiando di spezzarsi altrettante, e che ha procurato non pochi fastidi e imbarazzi a entrambe. Nessuna delle due, però, si è lasciata schiacciare a lungo dai propri risentimenti o dalle manovre di pesantezza altrui: si sono realizzate a prescindere dall’entità dei conti in banca o dalle metrature delle abitazioni.

Lo stile di Elena Ferrante non è mai venuto meno all’intensità dei sentimenti e alla complessità dei pensieri e delle situazioni che le due amiche si trovavano ad affrontare. Qualche volta ho avuto l’impressione che fosse difficile esprimere in parole tutti i colori e i fuochi delle emozioni che agitavano le due donne, e che la stessa autrice stornasse il viso, o sorvolasse come se facesse male.

Non poche volte sono rimasta colpita dalla saggezza cruda e brusca con cui sottolinea il lato difficile e contraddittorio del rapporto tra uomo e donna costretto a seguire l’antica e abusata regola che l’uomo comanda e la donna obbedisce. 
In un’occasione ho ammirato il coraggio di aprire uno spiraglio su un nuovo modo di intendere il rapporto, ma dal lato maschile. Elena Ferrante ha un’insospettata capacità di capire e rappresentare l’animo maschile. Sembra che lo capisca e lo compatisca, essendo l’unica a vedere e a rendersi conto di quanto sia schiacciato in una morsa di regole barbariche da cui non riesce a liberarsi.


E questo me l’ha fatta amare maggiormente. Non condanna solo, ma nel peggiore dei suoi personaggi maschili riesce a inserire una scintilla di consapevolezza che dura molto poco, schiacciata com’è dalla patina malavitosa di quell’anima, per far comprendere che niente, davvero, è mai come sembra o come viene presentato.

2 commenti:

  1. Intenso, ben scritto, splendido sfondo napoletano, insomma: letteralmente "divorati" tutti e quattro, anche se l'ultimo è un po' lento.

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    1. Vero, concordo. Una volta iniziato uno, non ho potuto fare a meno di leggere tutti gli altri, e gli altri tre in una botta sola. L'ultimo è più lento degli altri... forse la decadenza ha altri tempi, ed è anche vero che avevo l'impressione che l'autrice non volesse far finire subito l'intero rapporto che ormai si era stabilito con Lila e Lenù.

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