Mentre contempla la bella e placida Contea davanti alla sua
bella casetta ordinata, stipata di cose buone da mangiare, Bilbo incarna un’altra
bella tesserina lucida di questo mosaico bucolico, della bella vita e delle
belle intenzioni. Da lì a poco, più precisamente all’ora del the, questo
mosaico si sbriciolerà, portando via con sé un attonito ed esaltato (sotto
sotto) Bilbo. Mentre il bollitore borbotta, suonano alla porta. Un nano, di
nome Dwalin, vestito di mantello e cappuccio verde, e cintura d’oro, si
presenta ed entra veloce, comportandosi come se fosse a casa propria. E’ il
primo di una lunga serie di scampanellate e di relative presentazioni da parte
di altri nani, vestiti più o meno come il primo, dai lunghi alberi genealogici
e dai nomi importanti, che si dispone nel salotto di Bilbo a fumare, gustare
the, caffè, bevande, dolci, birra, attingendo copiosamente dalla dispensa pur
fornitissima del frastornato hobbit. Tredici nani, uno stregone (Gandalf chiude
la fila) e uno hobbit formano una Compagnia di viaggio alquanto bizzarra (una
sorta di prove generali per la Compagnia dell’Anello più tardi), con questa
missione azzardata e pericolosa in mente: recarsi in un posto lontano, dal nome
esotico di Montagna Solitaria, scendere nei suoi sotterranei, sbarazzarsi di un
ingombrante drago sdraiato su un incommensurabile mucchio d’oro, recuperare
così in un colpo solo un tesoro e la casa “natale” dei nani (tra di loro c’è
Thorin Scudodiquercia, il discendente di un’antica famiglia reale, che
rivendica il proprio trono).
Il tipo di missione che di solito intraprendono guerrieri smaniosi di passare alla storia, e non piccole e dolci creature occupate a pianificare passeggiate nei boschi, confezionamento di torte, dolciumi e vivande prelibate, che rifuggono dalle avventure come cose “sconvenienti”, oltre che fastidiose. Bilbo, tuttavia, non è uno hobbit tradizionale. Una parte del suo animo, che arriva dai Tuc, gli avi materni, non vede l’ora di spingersi oltre i confini della Contea. Tuttavia, la sua parte Baggins, molto più tradizionale, gli fa cercare tutti i modi possibili per declinare l’invito, senza successo. Gandalf riesce a far leva su quella parte smaniosa di uscire del suo piccolo amico, e Bilbo si trova in viaggio verso l’ignoto. Il vero viaggio avviene nello hobbit. Tolkien lo tratteggia con umorismo, travestendolo da fiaba, alleggerendo il tono, e abbassandolo con comprensione di fronte ai risvolti bassi dell’animo delle creature coinvolte, soprattutto i nani. Bilbo viene “assunto” in questa avventura, con il ruolo di scassinatore: sarà colui che dovrà far entrare i nani nella Sala del Trono sotto la Montagna, dove si riposa Smaug il drago, possibilmente senza farsi scoprire dalla gentile bestiola. Poco importa che Bilbo non sappia nemmeno cosa voglia dire il termine...sarà lui ad accollarsi (del tutto involontariamente) la parte pericolosa del viaggio, per cui non è un problema loro. L’atteggiamento dei nani verso Bilbo sarà proprio questo, per la maggior parte del libro: pretendono di essere tirati fuori dai guai, lamentandosi della sua inefficacia quando non si rivela pronto e risolutore. Molto familiare come atteggiamento, vero? Almeno una volta, nella vita, ci è capitato di sperimentarlo, magari a nostre spese. Al di sotto del tono leggero di cantastorie, Tolkien mette in scena le caratteristiche più familiari degli spiriti umani, sia nel bene, sia nel male. I nani possono fare la figura di presuntuosi voltagabbana e viziati, ma Bilbo, dopo essersi sbarazzato dell’ingombrante nostalgia verso la sua calda e accogliente caverna hobbit abbandonata in tutta fretta, si rivela uno spirito pieno di risorse e di creatività coraggiosa. Sapendo di non avere molta altra scelta se non salvare la propria vita da orchi affamati, da un Gollum inquietante e adirato, e altre creature mostruose intenzionate a trasformarlo in pranzo, Bilbo pensa veloce, azzarda, concepisce e porta a termine piani, come se fosse un avventuriero consumato, e non un pacifico buongustaio amante della natura e dei ritmi lenti. Sperimenta il dolore di decisioni difficili, accetta di passare apparentemente da traditore, si arrabbia e comunica le sue emozioni in un modo senza precedenti. E’ quasi un romanzo di formazione, in cui l’eroe impara a conoscere se stesso per incoraggiare e aiutare gli altri. Il drago, alla fine, è quasi un banco di prova trascurabile. Preso di peso dalla tradizione della letteratura antica nordica, fa il verso al Beowulf anglosassone, e al Fafnir, il potente mutaforma dei carmi eddici, (e di conseguenza alla creatura muta e quasi senza importanza del ciclo dei Nibelunghi). È un grosso sbruffone, per quanto potente e temibile, ed è la causa della sua stessa rovina. In questa lettura recente ho visto Smaug come una sorta di parodia dei grossi draghi malvagi delle letterature nordiche antiche, dove c’era spazio solo per grandi sentimenti tragici, sia nel bene, sia nel male. Tolkien ha voluto sorridere un po’, attribuendo un risvolto cialtrone ad una figura da sempre nota e temuta per il suo potere e la sua malvagità, come il drago. E’ anche un modo per ridimensionare l’ignoto e il suo bagaglio di paure annesso: se lo si colora con l’umorismo, appare molto più piccolo e avvicinabile.
Il tipo di missione che di solito intraprendono guerrieri smaniosi di passare alla storia, e non piccole e dolci creature occupate a pianificare passeggiate nei boschi, confezionamento di torte, dolciumi e vivande prelibate, che rifuggono dalle avventure come cose “sconvenienti”, oltre che fastidiose. Bilbo, tuttavia, non è uno hobbit tradizionale. Una parte del suo animo, che arriva dai Tuc, gli avi materni, non vede l’ora di spingersi oltre i confini della Contea. Tuttavia, la sua parte Baggins, molto più tradizionale, gli fa cercare tutti i modi possibili per declinare l’invito, senza successo. Gandalf riesce a far leva su quella parte smaniosa di uscire del suo piccolo amico, e Bilbo si trova in viaggio verso l’ignoto. Il vero viaggio avviene nello hobbit. Tolkien lo tratteggia con umorismo, travestendolo da fiaba, alleggerendo il tono, e abbassandolo con comprensione di fronte ai risvolti bassi dell’animo delle creature coinvolte, soprattutto i nani. Bilbo viene “assunto” in questa avventura, con il ruolo di scassinatore: sarà colui che dovrà far entrare i nani nella Sala del Trono sotto la Montagna, dove si riposa Smaug il drago, possibilmente senza farsi scoprire dalla gentile bestiola. Poco importa che Bilbo non sappia nemmeno cosa voglia dire il termine...sarà lui ad accollarsi (del tutto involontariamente) la parte pericolosa del viaggio, per cui non è un problema loro. L’atteggiamento dei nani verso Bilbo sarà proprio questo, per la maggior parte del libro: pretendono di essere tirati fuori dai guai, lamentandosi della sua inefficacia quando non si rivela pronto e risolutore. Molto familiare come atteggiamento, vero? Almeno una volta, nella vita, ci è capitato di sperimentarlo, magari a nostre spese. Al di sotto del tono leggero di cantastorie, Tolkien mette in scena le caratteristiche più familiari degli spiriti umani, sia nel bene, sia nel male. I nani possono fare la figura di presuntuosi voltagabbana e viziati, ma Bilbo, dopo essersi sbarazzato dell’ingombrante nostalgia verso la sua calda e accogliente caverna hobbit abbandonata in tutta fretta, si rivela uno spirito pieno di risorse e di creatività coraggiosa. Sapendo di non avere molta altra scelta se non salvare la propria vita da orchi affamati, da un Gollum inquietante e adirato, e altre creature mostruose intenzionate a trasformarlo in pranzo, Bilbo pensa veloce, azzarda, concepisce e porta a termine piani, come se fosse un avventuriero consumato, e non un pacifico buongustaio amante della natura e dei ritmi lenti. Sperimenta il dolore di decisioni difficili, accetta di passare apparentemente da traditore, si arrabbia e comunica le sue emozioni in un modo senza precedenti. E’ quasi un romanzo di formazione, in cui l’eroe impara a conoscere se stesso per incoraggiare e aiutare gli altri. Il drago, alla fine, è quasi un banco di prova trascurabile. Preso di peso dalla tradizione della letteratura antica nordica, fa il verso al Beowulf anglosassone, e al Fafnir, il potente mutaforma dei carmi eddici, (e di conseguenza alla creatura muta e quasi senza importanza del ciclo dei Nibelunghi). È un grosso sbruffone, per quanto potente e temibile, ed è la causa della sua stessa rovina. In questa lettura recente ho visto Smaug come una sorta di parodia dei grossi draghi malvagi delle letterature nordiche antiche, dove c’era spazio solo per grandi sentimenti tragici, sia nel bene, sia nel male. Tolkien ha voluto sorridere un po’, attribuendo un risvolto cialtrone ad una figura da sempre nota e temuta per il suo potere e la sua malvagità, come il drago. E’ anche un modo per ridimensionare l’ignoto e il suo bagaglio di paure annesso: se lo si colora con l’umorismo, appare molto più piccolo e avvicinabile.
Non per sminuire il valore pedagogico di questo libro delizioso, ma mi ha lasciato un paio di “rimasugli indigesti”.
RispondiEliminaLa leggerezza con cui prepara il terreno al “malloppone” successivo è inimitabile, infatti solo dopo averlo ripreso ho capito bene alcuni dettagli de “Il SdA”…
Un esempio: il viaggio attraverso le miniere di Moria si capisce meglio dopo aver letto l’avventura di Bilbo con i nani (fra i dodici incontriamo Glòin, padre di Gimli e Balin, sepolto proprio a Moria).
Ecco i rimasugli indigesti:
gli elfi di Bosco Atro non fanno poi una così bella figura, sembrano più folletti avidi… Legolas arriva da lì?
ma perché i draghi devono sempre essere visti come simbolo del male? A parte il fatto che Smaug alla fine sembra veramente una caricatura… protesto vivamente e fondo un fan club “draghesco”, ecco!
Per riassumere: “ridi che ti passa”;-)?
No, non mi sembra che Legolas arrivi da Bosco Atro...domani che inizio Il Signore degli Anelli vado ad accertarmene.
EliminaI draghi sono visti come simbolo del Male perché qualcuno, ad un certo punto, li ha dipinti così, facendoli diventare una delle forme di Lucifero. In Oriente è simbolo di grande saggezza e potenza. Nella letteratura nordica, sono potenti, temibili, forti, e anche avidi d'oro e malvagi, senza scrupoli. Nel fantasy si sono diversificati, tant'è che esistono draghi del Bene (i draghi d'oro e d'argento delle Dragonlance).
Sulla questione Club Draghesco, qui c'è l'altra socia fondatrice. :-)
Purtroppo non ho ancora né letto ne visto il film di Lo Hobbit, ma mi ha incuriosito molto il tuo post, io adoro tutto ciò che è fantasy!! Complimenti per come scrivi!!! Un bacioneee <3
RispondiEliminaGrazie! <3
EliminaIn autunno uscirà proprio il film, un'ottima occasione...
da lettrice e fanboy non posso dire "meno male che non hai visto il film" :D
EliminaDici che è brutto, il film? :-)
EliminaIo non ho mai avuto il coraggio di leggerlo...mi stai incuriosendo...sarò così audace???? ;)
RispondiEliminaSì, senz'altro oserai...:-D
EliminaE ti piacerà. E' piuttosto divertente, in alcuni punti.
ti confesso che ho molta curiosità di leggerlo!
RispondiEliminaBrava, ha tutte le carte in regola per essere un libro gradevole e scorrevole...
EliminaCiao Loredana, come vedi ti ricambio la visita :-)! Ne approfitto perché sono appassionato de 'Lo Hobbit' e di Tolkien in generale, e volevo in effetti osservare una cosa. Tu hai messo in luce l'aspetto dell'ironia, che è vero, e che differenzia moltissimo questo libro dal più brumoso e 'tragico' Signore degli Anelli (a parte ovviamente i paragrafi dedicati espressamente agli Hobbit!). Quello che in effetti ho notato è che "Lo Hobbit" è un racconto riuscitissimo, che si legge tutto d'un fiato perché è scritto tutto d'un fiato. Tolkien si è lasciato completamente andare, e ha creato una specie di 'congegno narrativo perfetto', dove non c'è una sola virgola di troppo e dove tutto funziona benissimo. L'ho riletto da poco per l'ennesima volta, e ancora è riuscito a stupirmi. Non è così purtroppo per 'Il Signore degli Anelli', che pur essendo un capolavoro di profondità e di invenzione fantastica, nondimeno a livello narrativo l'ho trovato un po' pesante ed involuto, senza un'adeguata penetrazione psicologica di base. Questa, ovviamente, è solo la mia opinione! Grazie per questo tuo post, un saluto!
RispondiEliminaCiao, buon pomeriggio! E' un piacere vederti qui e scoprire che sei un appassionato di Hobbit e Tolkien! In effetti, Lo Hobbit è un piccolo gioiello, che si ammira tutto d'un fiato; pur essendo educativo, in certi punti, Tolkien è riuscito a stare nella dimensione della leggerezza e del sorriso. Ho reiniziato Il Signore degli Anelli da poco, e già l'atmosfera è diversa: più adulta, un po' più cupa persino nella Contea, a casa degli Hobbit. Questo mi muove già altre riflessioni, rispetto alle ultime letture...le condividerò presto. Grazie ancora per la visita!
EliminaIO ho visto il film...bellissimo...ma non avevo dubbi...il libro non l'ho ancora preso ma rimedierò presto :)
RispondiEliminaMETAMORPHOSE CONCEPT
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Il film dev'essere bellissimo, sì...ho visto solo il trailer su Internet, e so già che Smaug il drago è uno spettacolo.
EliminaIl libro ti divertirà, ne sono certa.
Questo film devo dire che mi tenta - purtroppo non ho avuto la possibilità di vederlo (anche se sono sicura che il libro sarà molto meglio del film. Questo è un Film che mi attrae molto
RispondiEliminaCiaoooo
Io lo sto aspettando ansiosamente. Tanto per confrontare il film personale che mi sono fatta io, con quello che hanno girato...dal trailer, le immagini sono eccezionali, ma mi è sembrato di vedere qualcosa che non mi ha molto convinto nella storia. Lo saprò meglio quando riuscirò a vederlo...
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