Ultimamente ho scoperto la bellezza delle letture “veloci”. In
mezzo al tema dominante, infilo anche libri che non c’entrano molto, ma che
hanno il pregio di distrarmi e, perché no, anche di darmi ulteriori spunti.
Dalla Terra di Mezzo mi sono spostata velocemente a Urbino, nel 1789. Mi sono
trovata ad accompagnare Vitale Federici, giovane e brillante studioso di
Filosofia dell’Università di Urbino, per gli edifici che compongono l’ateneo,
mentre cerca il materiale per il suo dottorato (uno studio sull’influsso dei
corpi celesti sull’essere umano), e fa una macabra scoperta: il suo professore,
nonché maestro, padre Fernando Lamberti, viene trovato morto ai piedi di un
ponteggio nella cattedrale della città. A prima vista, pare che il prelato sia
caduto dall’impalcatura, per una tragica disgrazia. Il giovane e sveglio
Vitale, che lo conosce piuttosto bene, scarta quasi subito l’ipotesi che sembra
accontentare gli inquirenti, e la maggior parte dei colleghi insegnanti del
Lamberti. Un uomo dell’età e dell’atteggiamento del professore di filosofia, arrampicarsi
come un manovale su un’impalcatura, di notte? Lo spirito di osservazione e
ricerca piuttosto allenato lo convincono che c’è qualcosa di più dietro questa
morte tragica, attirando il suo sguardo su uno strano segno rosso sul palmo del
Lamberti. Prima che possa scoprire di più, viene fatto allontanare di corsa. Da
questo momento in poi, seguiamo Vitale nei suoi svelti progressi verso la
verità, partendo da un’antica leggenda che racconta di un antico ninfeo romano,
un tempio dedicato alle ninfe, nascosto nel labirinto di sotterranei che
corrono sotto Urbino. Naturalmente, non sono tutti concordi nel ritrovare
questo tempio, o anche solo fare pubblicità a quello che, in tempi moderni,
sarebbe una scoperta archeologica sensazionale, come i Bronzi di Riace, o il
Fauno danzante. Nel XVIII secolo, i dotti non erano caratterizzati da apertura
mentale verso templi ed edifici pagani, poiché li vedevano come minacce
potenziali per la vera e pura fede cristiana. Vitale si vede mettere i bastoni
fra le ruote spesso e volentieri, sfida le autorità universitarie, e con l’aiuto
di due compagni di corso piuttosto intraprendenti (e dotati di un forte
tempismo), allestisce una sorta di “squadra d’investigazioni” sulla scena del crimine (un Grissom o un Horatio
urbinati, in pieno XVIII secolo) che lo porta a scoprire la verità, e a salvare
la propria vita, visto che padre Lamberti non è la sola vittima nel libro. Mi
ha ricordato molto, per la velocità e la struttura ben congegnata, alcuni
gialli d’ambientazione medievale, con le indagini di Fratello Cadfael, per
Ellis Peters, o quelle di Owen Archer, create da Candace Robb. L’osservazione e
l’uso della logica caratterizzano questi personaggi che non possono fare
affidamento su macchine fotografiche, computer e programmi d’elaborazione
sofisticata, o polverine magiche per scoprire le impronte. Per quanto mi
piacciano molto le serie TV investigative, e ammiri le attrezzature
fantascientifiche che riescono a mettere in campo, sono molto più colpita dall’acume
e dalle capacità di osservazione dell’uomo, che mettono insieme indizi ed
elementi e costruiscono un quadro preciso e spesso esatto di come si è svolto
un crimine. Quando mi capita di leggere questi gialli d’ambientazione antica, è
spesso un sollievo vedere come usano l’ingegno gli uomini e gli scarsi mezzi a
disposizione, anche se, talvolta, rimpiango (dal punto di vista di un lettore
furioso particolarmente partecipe della vicenda) che non abbiano scoperto prima
le polveri per le impronte digitali...:-)
Un libro davvero piacevole da leggere in queste giornate d'estate!
RispondiEliminaSe ti interessa, ho letto che Vitale torna sulle scene con un racconto contenuto nell'antologia "Estate in giallo"... ma stavolta indagherà a Roma! :)
...bene! Mi sembra un giovane troppo promettente per lasciarlo lì a Urbino, a finire il suo dottorato. Gran bel traguardo, ma credo che possa fare parecchio di più, no?
EliminaSì infatti, vedremo se a Roma saprà stupirci con qualche indagine degna di nota!!!
EliminaSe non fosse la fase REM persistente, scoprirei molti motivi per leggere questo libro…
RispondiEliminaChe so, l’apertura mentale minore di un ottusangolo di chi è convinto di avere la verità in tasca? Aspetta che guardo…no, ho solo il fazzoletto: la sinusite non si lascia spaventare dall’estate ed il naso continua a fare il rubinetto rotto;-). Vai con la pavana elisabettiana “al rogo, al rogo”!
L’amore per il genere – anche se non scopro mai chi è il colpevole.
L’ambientazione storica.
Ed ecco uno dei motivi per il lettore digitale: “mettermi su” una biblioteca con gli autori da te citati (anche…). Avevo letto qualcosa, ma quando si parla di “serie” o comunque libri con uno stesso protagonista, comincio ad avere sintomi di orticaria (e non diciamo le parole “trilogia” o “saga” SCRAP-SCRAP…)!
Te lo porto, così vedrai com'è compiuto e ben fatto nel suo formato "piccolo"...:-)
EliminaSembra, comunque, che nessuno sia più in grado di scrivere libroni compiuti (a parte Ken Follett: il suo Mondo senza Fine rivaleggia in spessore con Il Signore degli Anelli), per cui ci si butta sulle saghe.
E' vero che esistevano anche nel mondo antico, ma nessuno che abbia pietà dei nostri portafogli...
Prima lettura veloce tutta di seguito.
RispondiEliminaHai ragione: è un libricciuolo “agile”, ben scritto e costruito in modo credibile.
Non sbrodola sulle descrizioni, fornisce i dettagli essenziali, i personaggi entrano subito in risonanza col lettore: come di fronte ad una persona sconosciuta, ho provato immediatamente – “a pelle” – simpatia, noia, astio.
La condanna finale della bellezza di un’opera “pagana” mi ha ricordato “il nome della rosa” di U. Eco; qua si uccide per evitare di mostrare al mondo un ipotetico tempio non cristiano (e come diceva R. Vianello “e un bel chissenefrega lo vogliamo aggiungere”?), là per nascondere un pericolosissimo trattato di Aristotele che dimostrava quanto fosse importante e salutare una bella risata…
Hai ragione, l'ho pensato anch'io: c'è stato un omaggio a Il nome della rosa con questo ostracismo verso un'opera antica, che poi non aveva nulla di diabolico, ma al contrario, era stata concepita nella gioia e nel rispetto della vita.
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