Elizabeth Taylor, Katharina, La bisbetica domata, 1967. |
Il 23 aprile 1564 nasce a Stratford on Avon, in Inghilterra,
un genio letterario che avrebbe modellato la storia del teatro e del resto
della letteratura in tutto il mondo, William Shakespeare. Inutile commentarne l’opera:
sono state abbattute foreste per scrivere libri su di lui e sulla sua
produzione letteraria, e fior di commentatori, già ai suoi tempi, hanno
sviscerato e ribaltato le sue parole, amandole, odiandole, disprezzandole o
divulgandole come Verbo. Semplicemente, per quanto in ritardo, volevo ricordare
un autore che mi ha colpito, da sempre, per la sua capacità di cogliere le
innumerevoli sfumature dell’animo umano ed esprimerle in giochi di parole,
similitudini, metafore, contraddizioni. Di sicuro, i traduttori (soprattutto
italiani) si sono prodotti in autentiche prove di genio, per rendere non solo
il suo inglese di secoli addietro, ma anche i suoi significati comprensibili a
occhi e spiriti attuali. La sua padronanza della lingua, la sua velocità di
espressione, le sue trame mai banali, mi hanno sempre ispirato una sensazione
di soggezione: come fa a esprimersi così? Come fa a tradurre sensazioni e
sentimenti in modo così chiaro e universale? Le persone di cui parla, le
vicende che espone, la lingua che usa, appartengono ad un tempo e un mondo
lontano e polverizzato. Tutto si è evoluto, cambiato: abiti, lingua, strumenti,
mezzi di trasporto. Quello che non è cambiato è l’animo umano. I tormenti della
gelosia di Otello sono gli stessi che proviamo noi, che viaggiamo in aereo e
usiamo il cellulare. Gli equivoci delle sue commedie assomigliano moltissimo a
quelli in cui cadiamo noi, che ci serviamo di forni a microonde per cucinare, e
guardiamo la televisione per ascoltare notizie e storie. William Shakespeare è
stato un uomo, una costruzione perfetta di carne, sangue e muscoli nel XVI
secolo, ma ha pensato e scritto in modo universale, contro ogni passare del
tempo e delle mode. Quando ho ripensato alle sue opere, mi è venuta in mente
una commedia, che avevo letto al liceo per un compito assegnatoci, La bisbetica
domata. Ho messo da parte per un momento Otello, Amleto, Riccardo III, la
schiera dei re Enrico, che hanno arricchito la tragedia. E’ il mio personale e
bizzarro contributo al ricordare Shakespeare. Bizzarro perché è una delle
commedie meno note, almeno qui in Italia. In patria, e in altri teatri, è
sempre stata molto amata e rappresentata. Hollywood le ha dedicato un paio di
film nel suo periodo dorato negli anni ’60, e Zeffirelli ne ha fatto una
ricostruzione delle sue, tramite la coppia esplosiva del momento, Liz Taylor e
Richard Burton. Bizzarro anche perché tratta di un argomento che mi sta a
cuore, e che ha una conclusione diversa da quella che mi piacerebbe. Suona
contraddittorio: lo è. In questi giorni,
in cui ho riletto l’opera, mentre rimuginavo sulle elucubrazioni del vampiro
Lestat, sono giunta alla conclusione che questa commedia mi sta particolarmente
a cuore proprio perché suscita in me sentimenti così contrastanti. Mi spiego
meglio, se ci riesco. A Padova, il gentiluomo Baptista Minola ha due figlie,
famose per la loro bellezza e per i loro caratteri opposti. Katharina, la
maggiore, è nota per essere ‘bisbetica’: irascibile, indipendente, non esita ad
alzare le mani per imporsi, e non tiene a freno la lingua, mai. Bianca, la
seconda, è un angelo sceso in terra. Bianca ha diversi pretendenti che la
esaltano per le sue qualità di sottomissione, mentre la prima è temuta quanto
una malattia infettiva. Baptista, assediato dai corteggiatori della figlia
minore, stabilisce che Bianca potrà sposarsi solo quando la maggiore sarà
sposata. Questo è un incentivo non solo per sbarazzarsi di una peste come
Katharina, ma anche per ottenere un aiuto concreto: il più intraprendente e
creativo dei pretendenti, se vuole vincere tutti gli altri, deve dare una mano
all’angosciato padre ad accasare l’ingombrante figliola. La risposta alle
preghiere di Baptista non si fa attendere: quel giorno arriva a Padova il
giovane Petruchio, erede di una considerevole fortuna a Verona, in cerca di
moglie. Quando gli parlano delle due signorine Minola e della loro singolare
condizione, rimane folgorato, prima ancora di vederla, da Katharina.
Per quanto
gli abbiano spiegato con parole colorite (“il
suo solo difetto – e questo, purtroppo, basta e avanza – è ch’essa è
intollerabilmente linguacciuta e bisbetica e caparbia, e tutto questo così
oltre misura, che se mi trovassi a danari assai peggio di quanto non mi trovo,
non vorrei sposarla nemmeno per una miniera d’oro!”, La bisbetica domata,
Atto Primo, Scena II) che la dolce Katharina tale non è, Petruchio parte in
quarta per la sua missione: sposare Katharina. Affronta senza alcun timore la
bisbetica, esaltandone le qualità, facendole una corte spietata e trattandola
come se fosse una vera viola mammola di donna. Gli altri pretendenti di Bianca
lo commiserano, lo ritengono un povero pazzo, e a loro volta si cimentano nella
loro impresa di vincere il cuore della bella virtuosa. I tre gentiluomini in
gara, Hortensio, Gremio e Lucentio, danno il via ad una commedia degli equivoci
scambiandosi i ruoli con i rispettivi servitori, fingendosi precettori e
insegnanti per entrare in casa di Baptista e corteggiare l’ingenua
(apparentemente) Bianca. Se Katharina ha maniere rudi e poco femminili, è
sincera e coerente con se stessa, mentre Bianca finge una sottomissione e un’umiltà
che le servono per potersi sposare e manipolare a proprio piacimento gli uomini
ingannati dai suoi occhioni dolci. Katharina viene costretta a sposarsi da un
giorno all’altro, con un marito che si rivela anche più rozzo e scostumato di
lei. Al ricevimento di nozze si presenta vestito male, si comporta
sguaiatamente, impedisce alla neo-moglie di godersi il banchetto, ma solo
perché l’ama tanto, e non vuole che nulla la turbi. Una volta a casa, comincia
a criticare tutto e tutti, insultando e picchiando i suoi servitori, rei di
servire cibo ammuffito e rinsecchito a lui e alla sua adorata moglie. Tutto
questo sotto gli occhi dell’esterrefatta Katharina, che ha smarrito il coraggio
di tenergli testa. Petruchio esagera, naturalmente, disprezzando cose che in
realtà sono belle e ben fatte, rigirando in modo abilissimo tutte le
rimostranze di Katharina, che cerca di calmarlo e di farlo ravvedere,
esattamente come le persone si comportavano con lei quando si lasciava prendere
dai suoi umori più che combattivi. Come dice il titolo, Petruchio doma Katharina,
che gli proclamerà la sua fedeltà e sottomissione, dimostrando di aver compreso
il suo ruolo e cosa le viene richiesto. Sarà lei, nelle ultime pagine della
commedia, a sgridare la stessa sorella, l’angelo di bontà, e un’altra donna,
anch’essa neo-moglie di un ex pretendente di Bianca, dicendo loro che il loro
comportamento altezzoso e sdegnoso verso i loro mariti è cosa riprovevole,
contraria all’ordine delle cose. I mariti sono i loro padroni e signori, poiché
si sottopongono a mille sforzi e pericolo per tenerle al caldo a casa,
confortate da cibo, vestiti e denaro. Quello che si chiede loro, in cambio di
questi sacrifici, è proprio rinunciare a pensare con la propria testa, e alla
propria indipendenza. Il potere delle parole e della letteratura. Naturalmente,
una conclusione di questo tipo, e soprattutto il discorso finale di rampogna di
Katharina, pronunciato in epoca moderna, mi provocherebbe reazioni scomposte. “La stessa sottomissione che il suddito deve
al suo principe, una donna la deve al suo proprio marito. E quand’ella invece è
testarda e riottosa, acida e litigiosa, e disubbidiente alle sue oneste
volontà, che cosa essa non è se non una ribelle sconoscente, una disgraziata
traditrice del suo amoroso signore? Provo vergogna io stessa al veder che le
donne sono così sciocche da far guerra proprio là dove dovrebbero
inginocchiarsi a supplicar pace, che siano ansiose di dettar legge, d’aver supremazia
e comando, quando il loro destino, invece, è quello di servire, d’amare e d’obbedire”.
(La bisbetica domata, Atto Quinto, Scena II) Ma questa non è Katharina che
parla, è l’uomo che l’ha creata, e che espone il pensiero comune dell’epoca
antropocentrica che l’ha generato. E’ un’opera di formazione camuffata da
commedia, quest’opera di Shakespeare: non solo insegna agli uomini a tenere a
bada le donne, ma si occupa di mostrare alle donne cosa viene loro richiesto e
che ruolo devono occupare nel mondo. Forse in modo paternalistico, sotto le
battute divertenti e le risate, si concede alle donne cosiddette perdute, un’altra
possibilità: sono ancora in tempo per diventare mogli docili e sottomesse, e
guarire dalla loro ‘testardaggine’ e dalla loro sete di ‘supremazia’ e ‘comando’.
A prima vista, gli uomini sembrano di nuovo il sesso forte, l’autorità che non
sopporta sfide, e che reprime e riforma i ribelli (in questo caso, le donne).
Sotto sotto, però…se si è sentito il bisogno di mostrare una ‘bisbetica’ in
azione e il suo pentimento, forse gli uomini tanto forti non si sentivano. Traspare
un certo timore verso le donne. All’inizio della commedia, in ogni caso, quando
i pretendenti di Bianca discutono della singolare condizione posta da Baptista
per ‘dare’ Bianca (e il verbo usato per le donne è quasi sempre questo, come
fossero oggetti), e commentano il comportamento di Katharina, parlano così: “Hortensio – Per la vergine, signor mio!
Trovare un marito alla sorella. Gremio – Un marito? Il demonio! Hortensio – Un
marito, ho detto. Gremio – E io dico il demonio! Come si può sperare,
Hortensio, nonostante il padre sia tanto ricco, che si trovi qualcuno così
sciocco da accasarsi con quest’inferno?” (La bisbetica domata, Atto Primo,
Scena I) Il demonio, l’inferno. Addirittura. Non stanno esagerando un po’? Non
sembrano parole e comportamenti (qualcuno di loro si farà picchiare e rompere
oggetti in testa da Katharina) da padrone, principe, autorità, ecc. Ci vuole
qualcuno che pensa fuori dagli schemi come Petruchio, com’è fuori dagli schemi
la bisbetica, a capire le leve da spingere per aver ragione di questa testardaggine
e queste reazioni violente, trasformando l’inferno in un luogo tranquillo. Non
c’è imposizione o violenza da parte di Petruchio, che finge solo intemperanza,
picchia i servitori, ma non sfiora la moglie nemmeno con un dito e duella con
lei solo verbalmente, mantenendo alcuni limiti. Si limita a farle da specchio,
e a farle capire i suoi (presunti) errori. Dico presunti, perché non condivido
queste espressioni di mentalità cinquecentesca, che assegnavano ruoli così
limitati all’uomo e alla donna, concedendo a quest’ultima ben poco spazio di
manovra. L’ultima riflessione ironica che mi nasce, su questa commedia, è che
mentre Shakespeare dava voce alla mentalità del tempo a questi personaggi (si
parla degli anni intorno al 1594, per la composizione de La bisbetica domata),
al comando della nazione c’era proprio una donna, Elisabetta I,
che aveva fatto dell’indipendenza e dell’opposizione intelligente ai dettami
della società (maschilista), la propria bandiera. Il suo carattere non era dei
più docili, ma una delle sue doti più sviluppate fu proprio la capacità di
tenerlo a freno e di gestire con intelligenza le difficoltà e le ambiguità
della sua situazione. In un famoso discorso, affermò la debolezza e la
fragilità del suo corpo femminile, che però conteneva lo stomaco e il cuore di
un re. Mentre Katharina riconosce la necessità di sottomettersi, dopo questo
percorso di “ravvedimento”, Elisabetta scelse di non farlo mai, ed è questa una
delle caratteristiche che si ricordano maggiormente di lei.
NO COMMENT.
RispondiEliminaLo lessi una volta sola. Compito al liceo, guarda caso; eravamo forse nella stessa classe?
Sicura che sia la “mentalità del ‘500”?! Ricordi che ho letto da poco qualcosa come “sposati e sii sottomessa(grrrrrrrrrrrrrrrr)”?
Ti rammento che ho una stampella. E posso investire con una sedia a rotelle…OCCHIO! (oppure “ocio” con accento veneto:-D)
...pare che fossimo nella stessa classe, sì. E probabilmente scegliemmo la stessa commedia, proprio perché nello stesso gruppo di lettura. :-D
EliminaSappiamo che le scelte della nostra professoressa dell'epoca potevano anche essere, come dire, discutibili. Soprattutto le sue preferenze. Oh, sì, hai visto bene, è veleno. Ogni tanto emerge qualche resto...anche se ormai l'acqua che è passata ha eroso anche tutti i ponti.
No, non è solo la mentalità del '500, purtroppo. Tant'è che sopravvive arzilla nelle nostre contrade, soprattutto quelle maggiormente esposte al sole.
In quanto a "sposati e sii sottomessa"...mi ha colpito il sincronismo delle due cose, apparentemente così lontane. Un personaggio di carta simbolo del '500 e una donna, scrittrice, a quanto si definisce, che vive attualmente nel 2013, almeno con il corpo, ma che con la mentalità è rimasta qualche anno indietro. Arrivo a "giustificare" (uso questo brutto verbo pesante appositamente) quel tipo di pensiero, se considero i cinquecento anni intercorsi, e gli elementi che formavano la società, ALLORA. Ai giorni nostri, negli anni '10 del nuovo secolo, non è più accettabile, e non dovrebbe essere nemmeno più proponibile. Questo tipo di pensiero dovrebbe essere esposto in un museo, e guardato con curiosità e meraviglia, come si guarderebbero i primi esempi di cosmetici per gli occhi inventati dagli antichi Egizi. Oggi non ci sogneremmo di truccarci gli occhi con le paste che creavano all'epoca, giusto? Dovremmo applicare lo stesso ragionamento anche alle mentalità chiaramente superate. :-D
Frena, non applicherei il paragone della moda: con tutti i ricicli, i "revivals", le rivisitazioni, non mi sorprenderei di trovare un "Walk like an Egyptian" con tanto di "trucco e parrucco"...
RispondiEliminaVedi che il non ricordare ha qualche effetto benefico? La malattia ha cancellato un sacco di robaccia...
In effetti, qualcosa è ritornato, ma nella moda si accetta pure. Uhm. A parte i pantaloni a zampa d'elefante. Per quelli non sono disposta a negoziare: al rogo e basta. Ma nella mentalità, nelle cose di tutti i giorni, nooo....e qui è l'intollerante fanatica che parla.
Eliminamolto carino il tuo post complimenti
RispondiEliminaGrazie mille! :-)
EliminaGrazie mille per il tuo apprezzamento!
RispondiEliminaVolentieri vengo a farti visita...:-D
Ah! Pensate al film, a come una giovane donna "domata" chiede il piede del "Suo Signore" sulla propria mano, e a come si capisce bene che il domato è lui... Che due attori incredibili! Pensate allo sguardo doloroso di lui su di lei, che è stravolta e bagnata... Fantastico Guglielmo Scrollalancia che ha usato l'inglese come nessun altro né prima né dopo di lui, individuo senza remore che problemi non se ne fa: ma come? I suoi due amanti, lui e lei, sono anche amanti fra loro?! Ma allora perché... non essere amanti tutti e tre?
RispondiElimina...in effetti...per lui il problema non esisteva.
EliminaRicordo bene alcune espressioni smarrite della Taylor in quell'adorabile film. Come fosse dolorosamente stupita delle reazioni rabbiose del tutto fuori luogo di suo marito verso il pasto cucinato dai suoi servi o gli abiti cuciti dai suoi sarti, che non avevano nulla di male. In quel ruolo, Elizabeth Taylor era grandiosa.