domenica 30 dicembre 2012
giovedì 20 dicembre 2012
Il profumo dei libri – Un vero e proprio profumo.
Qualche post fa avevo parlato di una candela, dal nome
importante di Bibliothèque, che riproduce il profumo della carta e dei libri,
prodotta in Svezia. Ora, un accanito lettore e famosissimo stilista, Karl
Lagerfeld, contribuisce alla creazione di questo prodotto piuttosto bizzarro,
un profumo all’essenza di libro, di nome Paper Passion.
"The smell of a freshly printed book is the best smell in the world.” Sono le parole dello stilista. Quasi in concomitanza con questa scoperta, ho anche imparato che lo stesso Lagerfeld è un accanito lettore e ha una bellissima biblioteca in casa. Possiamo dargli torto? Domanda retorica. Il profumo nasce proprio da una collaborazione tra Karl Lagerfeld (che si è occupato del cofanetto, a forma di libro), la casa editrice tedesca Steidl, che si occupa soprattutto di libri fotografici, e Geza Schoen, maestro profumiere tedesco piuttosto famoso per altre sue sperimentazioni. Perché creare un profumo che sa di libro? L’idea di base è quella di far rilassare e concentrare meglio il lettore che si spruzza qualche goccia di profumo e poi s’immerge nella lettura. Il libro goduto a tutto tondo, quindi: il tatto, con la morbidezza della copertina, il peso della rilegatura, gli occhi, lo spirito, l’intelletto, l’anima, con il contenuto, la fantasia, che spinge a vivere le parole della carta, e l’olfatto, che viene letteralmente circondato, dal profumo che sale dalle pagine e da quello che arriva da sé. Potrebbe essere una riedizione terrena del paradiso…il lettore viene letteralmente invaso dai libri!
"The smell of a freshly printed book is the best smell in the world.” Sono le parole dello stilista. Quasi in concomitanza con questa scoperta, ho anche imparato che lo stesso Lagerfeld è un accanito lettore e ha una bellissima biblioteca in casa. Possiamo dargli torto? Domanda retorica. Il profumo nasce proprio da una collaborazione tra Karl Lagerfeld (che si è occupato del cofanetto, a forma di libro), la casa editrice tedesca Steidl, che si occupa soprattutto di libri fotografici, e Geza Schoen, maestro profumiere tedesco piuttosto famoso per altre sue sperimentazioni. Perché creare un profumo che sa di libro? L’idea di base è quella di far rilassare e concentrare meglio il lettore che si spruzza qualche goccia di profumo e poi s’immerge nella lettura. Il libro goduto a tutto tondo, quindi: il tatto, con la morbidezza della copertina, il peso della rilegatura, gli occhi, lo spirito, l’intelletto, l’anima, con il contenuto, la fantasia, che spinge a vivere le parole della carta, e l’olfatto, che viene letteralmente circondato, dal profumo che sale dalle pagine e da quello che arriva da sé. Potrebbe essere una riedizione terrena del paradiso…il lettore viene letteralmente invaso dai libri!
giovedì 13 dicembre 2012
I pilastri della terra – La protagonista silenziosa
Tra i fili umani che s’intrecciano, e spesso s’ingarbugliano,
si strappano l’un con l’altro, o si moltiplicano, c’è anche quello di Philip,
priore di Kingsbridge. Quando compare sulla scena, è un giovane monaco gallese di
un piccolo monastero poco distante da Kingsbridge dove poi andrà a stabilirsi
per tutta la vita. Ha un fratello più giovane, anch’esso monaco, fatto di una
stoffa ben diversa dalla sua. Mentre Philip ha Dio con sé, gli parla, lo cerca,
mette in pratica i suoi insegnamenti per costruire valore, per aiutare gli
altri e per portarli verso di Lui con il suo esempio, Francis incarna il lato
temporale della Chiesa, quello più nascosto, che si occupa principalmente di
giochi di potere. Nel corso del romanzo, Francis comparirà pochissime volte,
mentre va a visitare il fratello tra una missione segreta e l’altra. È un
personaggio elusivo, e compare molto poco. Lo spazio è tutto per Philip e la
sua evoluzione. Pur non disponendo di scaltrezza e astuzia paragonabili a
quelle di Waleran Bigod, il vescovo di Kingsbridge unicamente interessato a
salire la scala gerarchica, Philip è un uomo determinato, dalle idee chiare e
ben deciso ad ottenere ciò che vuole. Soprattutto perché quello che vuole non è
denaro, potere o considerazione per sé, ma il benessere dell’intera comunità in
cui si trova. E’ un uomo di fede che pone questo benessere, sia spirituale sia
fisico, al di sopra del proprio e solo al di sotto della devozione per Dio. Non
esita a fronteggiare vescovi maneggioni, nobili e nobilastri furbi e meschini
(come la famiglia di William), e per quanto di modi umili, non indietreggia
intimorito di fronte a Re Stefano (l’usurpatore) e nemmeno all’arcivescovo
Henry, suo fratello, che in quel momento incarnavano i massimi poteri dell’Inghilterra
feudale.
lunedì 10 dicembre 2012
I pilastri della terra – Fili umani.
Quando Ellen incontra Tom, se ne innamora, ma la sua natura libera
e forte non cambia di una virgola. Ad un certo punto della storia, rendendosi
conto che il suo uomo non ha la sua stessa forza di opporsi agli stereotipi
sociali, lo abbandona portandosi via il figlio, pur soffrendo profondamente per
lo strappo. E’ una donna di sentimenti e parole intensi, e nessun compromesso. Se
la società si fa avanti per schiacciarla nelle sue caselle ipocrite (lei e Tom
non sono sposati, e questo è un peccato mortale secondo un certo insegnamento),
lei reagisce con fermezza e se ne allontana, anche sanguinante. L’abbandono
sarà temporaneo…Tom riesce a capire che è molto più importante quella donna
bella e bizzarramente forte per se stesso, di tutti i precetti di una Chiesa
ipocrita e con lo sguardo rivolto al potere e al denaro.
Il filo della vita di Tom ed Ellen s’intreccia con altre
vite che ruotano in quei pochi chilometri di Inghilterra feudale. C’è la
giovane feudataria Aliena, quattordicenne bellissima, in boccio, e il suo fratellino
minore, Richard. Sono entrambi figli di Bartholomew conte di Shiring,
proprietario di un bel castello fortezza e di un villaggio annesso. La loro
vita sembra al riparo da qualunque problema: la giovane Aliena è dotata di
tutte le grazie, e non sembra essere altezzosa o sprezzante verso chi è meno
fortunato di lei. E’ corteggiata, e volitiva quanto basta per essere riuscita a
strappare al padre la promessa di sposare un uomo che le piace, piuttosto di un
uomo che le porti in dote castelli e ricchezze. Questa sua volontà di
indipendenza e di scelta, che l’avvicinano a Ellen, sarà la causa della perdita
del suo status.
giovedì 29 novembre 2012
I pilastri della terra – Vite parallele
Un altro motivo per cui questo libro mi ha letteralmente
entusiasmato è il suo formato: è un bel tomo spesso, di oltre mille pagine, in
controtendenza con i libri degli ultimi tempi, che tendono ad essere più
piccoli, e se raccontano di vicende lunghe, le spezzettano in trilogie o
tetralogie. Il suo formato compatto mi piace molto e me lo rende anche
particolarmente simpatico. Il periodo particolarmente lungo della narrazione mi
ha permesso di vivere un po’ di più con i suoi personaggi, che sono moltissimi.
Sono gli abitanti di almeno due o tre villaggi, su cui spiccano due famiglie in
particolare, le cui vicende s’intrecciano strettamente quasi subito, e i monaci
di almeno due priorati. Verso la seconda metà del libro entreranno anche in
scena la corte inglese (almeno per un paio di capitoli), e la cattedrale di
Canterbury. Era da diverso tempo che non passavo così tanto tempo con le
creature di carta, ed è stato come ritornare davvero a casa. E’ così che mi
piace leggere i libri, entrandoci dentro e condividendo tutto con le creature
che lo abitano. Sono andata in giro a cercare lavoro trascinandomi dietro una
famigliola stanca e coraggiosa, come Tom il costruttore. E’ uno dei primi
personaggi che vivono nei capitoli iniziali del libro.
giovedì 22 novembre 2012
I pilastri della terra – Un’altra cattedrale…
Di nuovo le cattedrali. Questo blog ha una sua coerenza involontaria,
in un certo senso: i libri che ho scelto finora di inserire qui sono collegati
tra loro in qualche modo. Questo libro è incentrato su una cattedrale in
particolare, e verso la fine ne mostrerà una già costruita e diventata famosa
suo malgrado per un assassinio sacrilego. Sì, proprio lei, la Cattedrale di
Canterbury. Quando ho iniziato a leggere I pilastri della terra non avevo idea
che avrei sentito parlare di lei di nuovo. Nel riassunto di copertina, si parla
della costruzione di una cattedrale gotica nell’Inghilterra medievale, ma non sono
indicate date precise, per cui si poteva trattare di qualunque edificio, di
qualunque anno, di qualunque parte dell’Inghilterra. Il Medioevo ha avuto una
certa durata, per cui c’era l’imbarazzo della scelta. Quando ho iniziato a leggere, ho scoperto che
si trattava di uno dei periodi storici che mi piacevano maggiormente, il XII
secolo, nella zona compresa tra Salisbury, Winchester, Kingsbridge, nel Sud
della Gran Bretagna e più precisamente dall’anno 1135 al 1174. Alcune delle
località descritte non esistono più, poiché si tratta di piccolissimi feudi attaccati
ad un castello di riferimento e ad uno o più piccoli villaggi. Nel momento in
cui il castello veniva distrutto, anche il villaggio annesso poteva seguire la
stessa sorte. Posso dire che ho adorato letteralmente questo libro, per
moltissime ragioni. E’ quasi scontato l’argomento: leggevo tutto quello che
potevo sul periodo storico del Medioevo, soprattutto britannico. Le cattedrali,
con la loro imponenza, mi hanno sempre affascinato e intimorito.
mercoledì 21 novembre 2012
Collezionisti di libri – Furiosi, maniaci, fuori dalla realtà…
…e chi più ne ha, più ne metta. Non ricordo come sono
inciampata in questa citazione:
“Colleziono nuovi libri allo stesso modo in cui le mie
amiche comprano borse firmate. A volte mi basta sapere di averli, e non mi
pongo il problema se riuscirò a leggerli. Non che alla fine non li legga tutti,
a uno a uno. Lo faccio. Ma il solo gesto
di comprarli mi rende felice: la vita diventa più promettente, più appagante.”(J.
Kaufman, K. Mack - Libri e amori a Los Angeles)
La condivido in pieno, però. Ogni parola. Per quanto
riguarda le borse, ne ho pochissime, e uso sempre quelle finché non cadono a
pezzi, e solo allora mi decido a sostituirle. Per quanto riguarda i libri…se si
è posseduti dal furore, lo si tiene e basta. Non si guarisce. Non si deve
nemmeno provare a guarire…fatica sprecata. Sono anni che tento di limitarmi, ma
senza avere nessun risultato, almeno di una certa consistenza. Dal periodo
estivo fino ad oggi, sono stata invasata dal furore più volte, opponendogli una
resistenza da lumaca stanca, e ho dato asilo ad almeno dieci libri degli
argomenti più disparati, che compariranno qui, uno per volta. E mi basta sapere
di averli; lancio uno sguardo alle pile (sì, al plurale) che si sviluppano in
altezza su un tavolino basso cercato appositamente per ospitare i libri da
leggere, e mi sento “bene”. Le copertine colorate, le promesse di conoscenza
(sono anche romanzi, non solo saggi o libri da meditazione), le sagome
compatte, l’odore della carta nuova: ce n’è abbastanza per tenere calma la mia
dipendenza. Dipendenza che ora è esplosa rileggendo questa frase, per cui
smanio già di avere quel libro, che sembra raccontare il mio ritratto senza
assolutamente conoscermi. Visto? E’ un gatto che si morde la coda, un circolo
vizioso: il possesso di un libro calma la dipendenza, ma basta uno sguardo ad
una vetrina di libreria, una frase citata da un’altra opera, e la fiamma
divampa. Senza speranza…!
lunedì 12 novembre 2012
Le priorità di un bibliofilo
Riecheggiano leggermente il titolo di un libro che andava
per la maggiore qualche anno fa, Eat Pray Love, di Elizabeth Gilbert, che sarà
presto oggetto di discussione qui. E suonano un po’ come dei “comandamenti”:
nutriti, riposati e dedicati a cose importanti, ovvero LEGGI! In vacanza mi è
anche capitato di sovvertire queste priorità, facendo passare prima di tutto
leggere, poi mangiare se c’era tempo, e infine dormire. In spiaggia si
mescolano un po’: mangi mentre leggi, dormi, leggi mentre dormi (a chi non è
capitato chiudere il libro per cinque minuti di sonnellino, ripensando alle
vicende appena lette e dando loro un seguito?), dormi mentre leggi, ecc.
venerdì 9 novembre 2012
Il simbolo perduto – In parte, una guida turistica!
Parlo di guida turistica, perché questo è l’effetto che mi
ha fatto, ad un certo punto, seguire il professor Langdon e Katherine Solomon
in giro per Washington, saltando dalla metropolitana al taxi, per sfuggire agli
agenti di polizia e alla Cia, interessati a metter le mani sul rapitore-aguzzino
di Peter Solomon, ma poco attenti a piegarsi alle sue richieste da ricatto.
Essendo creature pragmatiche, con un lavoro molto pragmatico e d’azione, si
occupano poco di sapere che c’è un segreto potentissimo che sta per cadere in
mani sbagliate: devono salvare una vita e acciuffare e neutralizzare un pazzo
amputatore. Ogni volta che i due personaggi in fuga toccano o entrano in un
edificio che potrebbe essere interessante per scoprire il segreto, Dan Brown ne
fa una piccola cronistoria, veloce, a dir la verità, ma con pochi tocchi riesce
a risvegliare l’interesse. Non ho mai provato un desiderio così forte di andare
a visitare Washington, come dopo aver letto il libro. Non credo che questo
fosse proprio il fine dell’autore, aumentare le visite turistiche nella
capitale, ma mi piacerebbe proprio andare a controllare di persona alcuni
simboli che descrive, che vanno innocentemente a decorare facciate e capitelli,
mentre in realtà sono elementi di un disegno molto più grande e visibile solo
agli “iniziati”. Se ben ricordo, tuttavia, l’autore provocò un effetto “marketing
turistico” con il primo libro del Codice da Vinci, spingendo folle di turisti
nel Louvre e in giro per Parigi con il tomo sottobraccio da consultare, invece
della classica guida turistica. I due fuggiaschi non hanno vita facile, mentre
cercano di scoprire il segreto arcano da comunicare all’oscuro e spietato
rapitore, un vero genio dei travestimenti.
martedì 6 novembre 2012
Il simbolo perduto – Viaggio allucinante
Il titolo del libro di Asimov potrebbe riassumere bene il
tipo di trama del Simbolo perduto. Dal momento in cui il professor Langdon
entra al Campidoglio, inizia un viaggio davvero allucinante, dal momento in cui
si scopre che il suo amico Peter Solomon non l’ha mai invitato a tenere una
conferenza e che non dà notizie di sé da qualche giorno. A coronare la leggera
ansia che comincia ad attanagliare il povero docente, è la scoperta di una mano
mozzata, con pollice e indice sistemati a indicare l’alto, nella cosiddetta
Rotonda del Campidoglio. E quella mano appartiene proprio a Peter Solomon…e qui
siamo solo alle prime battute. Langdon viene contattato al cellulare da
qualcuno che gli propone uno scambio: il resto (vivo) del suo amico in cambio
dell’apertura di un portale di accesso ad una conoscenza illimitata e
misteriosa. Da come si è comportato, e dal modo in cui si rivolge al
professore, si capisce che ci troviamo di fronte allo psicopatico di turno,
convinto di essere l’unico destinatario di quel sapere millenario, segreto e
potentissimo, deciso a governare il mondo, tenendo il resto dell’umanità nell’oscurità
dell’ignoranza e possibilmente schiacciata sotto il suo tallone amorevole.
venerdì 2 novembre 2012
Il simbolo perduto – Luoghi di potere
Messi nuovamente da parte vampiri, licantropi, streghe, Halloween
e consimili, è il turno di un autore che si è principalmente dedicato a “cose
strane”. Abbiamo anche noi una certa coerenza, sì. Dan Brown divenne
famosissimo anni fa con il suo Codice da Vinci, scatenando anche una serie di
polemiche non indifferenti. Del resto, andava a toccare la chiesa cattolica e
anche alcuni dogmi di fede, per cui non poteva sperare di non suscitare almeno
un blando rimprovero. Se dovessimo riassumere in “tags”, secondo lo stile web
2.0 così diffuso ormai, possiamo indicare: Santo Graal, Maddalena, Templari, Louvre.
Dopo quel vespaio, Dan Brown ne sollevò un altro, con Angeli e Demoni,
prendendo di mira la Santa Sede e l’elezione pontificia. Poiché vengono
raccontati diversi particolari della vita all’interno del Vaticano, e qualcuno
dei suoi riti, che normalmente dovrebbero essere tenuti segreti, mi ha sempre
incuriosito la domanda: ma se solo chi lavora in Vaticano, e in certi luoghi, è
a conoscenza di queste cose, lui, Dan Brown, come ha fatto a saperle? Domanda
senza risposta, immagino…a meno che un giorno non arrivi a conoscere io lo
scrittore, direttamente!
mercoledì 31 ottobre 2012
Il profumo dei libri in una candela
Continuiamo a parlare per immagini. E’ l’immagine di una candela
profumata, fabbricata in un’azienda svedese di Stoccolma, la Byredo Parfums.
Dal sito e dalle fotografie, si capisce subito che ha qualcosa di diverso dalle
case produttrici di profumo. Il suo stesso fondatore, Ben Gorham, un giovane
artista svedese di madre indiana e padre canadese, è parecchio sui generis:
occhi e capelli scuri, lineamenti orientali, turbante, tatuaggi. Ok,
scordiamoci definitivamente lo stereotipo biondo armadio bianco iridescente
azzurro-iridato, cui aveva già assestato un bel colpo il personaggio di Lisbeth
Salander. E’ vero, lei è una creatura di carta, mentre costui è carne e sangue.
In ogni caso, deve avere una buona dose di fantasia per creare un profumo e
chiamarlo Bibliothéque. Se guardo i componenti della candela elencati sul sito,
questi sono gli ingredienti: la testa è fatta di prugna e pesca, il cuore di
peonia e viola, mentre la base è patchouli, vaniglia e cuoio. Sto cercando di
immaginarne il profumo reale, soprattutto abbinandolo a quello altrettanto
reale dei libri. Anche i libri profumano, eccome. Quelli nuovi, appena tolti
dagli scaffali delle librerie (o in alcuni casi dagli scatoloni appena arrivati
in libreria, senza passare dagli scaffali), hanno un loro profumo “nuovo” e
imperioso. Attirano, vogliono essere aperti. Quelli allineati in una libreria a
casa, o in una biblioteca, sono più caldi, vissuti, sono persino confortanti. L’ultimo
che ho annusato, sul Magnetismo Personale, mi ha fatto pensare all’Ikea, per il
suo profumo di legno. Strane associazioni…
lunedì 29 ottobre 2012
La trilogia delle sfumature - Perplessità.
Tralascio il racconto della trama, o le descrizioni delle scene di sesso, poiché sono piuttosto ininfluenti. A partire dalle prime pagine, ero continuamente assalita dalla sensazione di “déjà lu”. E il personaggio maschile, Christian Grey, sotto la sua corazza da Dominatore, mi risultava francamente irritante. Giovane (27 anni), a capo di una multinazionale conosciuta in tutto il mondo, stra-ricco, viso e corpo scolpiti perfettamente, elegante, intenditore di vini, mobili d’antiquariato, di alta moda, pilota di elicotteri, e chissà quant’altro ancora che non ricordo. Questo tizio non può esistere, non è lontanamente verosimile. Forse la giovane età abbinata alla ricchezza stratosferica può essere vera, in quanto in America, a differenza del nostro paese infestato da mummie incapaci di scollarsi dai posti di potere, è anche possibile che un giovane diventi miliardario prima dei trent’anni (Mark Zuckerberg, per esempio), se ha volontà, un’idea vincente e la determinazione di farla diventare vera. Lei, Anastasia Steele, ogni tanto faceva del suo meglio per mettere alla prova i miei nervi, anche se aveva un certo senso dell’umorismo e della battuta, che emergevano a tratti nel mare di luoghi comuni di cui sembrava infarcita, nonostante la sua scarsa esperienza, del mondo e del sesso. Quello che voglio dire è che c’era ancora troppo “harmony-pensiero” nel suo modo di rapportarsi a Christian e a quella specie di relazione che stava vivendo. Dopo circa metà del primo libro, ho capito cosa mi dava davvero fastidio del personaggio maschile: era una specie di stalker. Letteralmente ossessionato da Anastasia, oltre a seguirla, controlla quello che fa, si permette di darle consigli, interviene a gamba tesa per proteggerla, da se stessa e dagli altri, s’infila nella sua posta elettronica, s’irrita se non lo chiama subito, se non risponde ai suoi messaggi. Ragazzo, lasciala respirare!! E tutto questo, non suona ancora più familiare?
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La trilogia delle sfumature – C’è qualcosa di familiare…
L’immagine di Jane Austen che legge la trilogia delle sfumature
è insieme spassosa ed eloquente. L’illustratore, Dale Stephanos, ha colto
abbastanza bene l’opinione di zia Jane, se avesse letto il libro, o meglio, i
libri di questa trilogia parecchio discussa. Penso di aver avuto la stessa
faccia, man mano che proseguivo nella lettura. Da come la interpreto io, e da
come l’ho vissuta io, non c’è un vero e proprio disgusto sul suo faccino. E’
più una domanda accorata: “ma come scrive costei?!”, che poi si può frammentare in una serie di domande ancora più accorate (quelle che sono
venute in mente a me, per esempio), del tipo: “ma come si fa a prendere sul
serio una cosa del genere?!” “ma davvero ad una donna piacerebbe un tizio
così?!” e via dicendo. Questa trilogia di sfumature, 50 di grigio, nero e rosso, ha spopolato alquanto in Italia e nel mondo, anche a giudicare da tutti i “meme” che girano in
Internet e su Facebook. Io ci sono inciampata per caso: la copertina non diceva
molto, per quanto patinata e ammiccante (una cravatta grigio perla rilucente su
sfondo scuro), ma sul dorso, la presentazione affermava orgogliosamente che
quel romanzo avrebbe catturato e trascinato nel suo vortice erotico, che il suo
“verbo” era stato passato di donna in donna nelle case, nelle palestre, su
Facebook…ok, un altro romanzo erotico, dov’è la novità? Per me la novità era
l’autrice. Un romanzo erotico scritto da una donna. Interessante. Non ci sono
molti esempi in letteratura, antica e moderna, a parte Anaïs Nin, o PaulineRéage. In ogni caso, siamo ben lontani persino dai fantasmi di queste due
scrittrici, e questo si vede fin dall’inizio.
venerdì 26 ottobre 2012
New Moon – Eclipse – Soluzione (quasi) finale
Con il suo scatto da centometrista, e un salto da
leopardo in caccia, Bella si avventa sul vampiro scintillante, mentre una
bambina si sta già voltando verso di lui, attirata dal luccichio. Lo spinge all’interno
del palazzo dei Volturi e gli evita per pochissimo l’esecuzione all’alba. O l’equivalente
di un’esecuzione per un vampiro, insomma. Tutto è bene quel che finisce bene?
Pare di no, almeno non ancora. Edward e Bella vengono portati all’interno,
seguiti da Alice che nel frattempo è riuscita ad arrivare, al cospetto della
temibile famiglia. Lunghi attimi di tensione, in cui sembra che entrambi
debbano morire, tenuti in sospeso dagli annoiati e potentissimi arci-vampiri
che si divertono un po’ a stuzzicarli, prima di lasciarli andare, con l’ingiunzione
di risolvere il problema “Bella”. Bella è un problema, sì. E’ umana. E questo
si potrebbe risolvere facilmente, secondo qualcuno di loro, ma Edward si oppone
a trasformarla in cibo. Lei vorrebbe diventare un vampiro, ma di nuovo Edward
si oppone, nel tentativo di salvarle l’anima. Insomma, non gli va bene niente. Oltre
ad essere uno stalker immortale, anche parecchio esigente e difficile da
accontentare. Tuttavia, non può continuare a restare umana…o in vita. Sa
troppo. Conosce troppo bene i vampiri e il loro mondo, non può essere lasciata
libera di andarsene in giro, vittima della propria natura incostante e
volubile, che la porterebbe a spifferare il segreto anche inconsapevolmente e
contro la propria volontà. E’ l’opinione dei vampiri sui poveri “esseri”,
dimenticando di esserlo stati essi stessi, anche se in tempi lontanissimi.
Tuttavia, non hanno completamente torto. Bella, oltre che ad avere caratteristiche
umorali tipicamente femminili (suona maschilista questa affermazione, ma
possiamo davvero contraddirla e rifiutarla come non vera? Magari non lo è in
tutti i casi, ma una certa dose di volubilità appartiene di “default” allo
spirito femminile. Possiamo definirla meglio come una sorta di predisposizione
spiccata al cambiamento.), è sbadata e scoordinata senza speranza. Non
può scendere da un gradino senza minacciare fratture multiple.
venerdì 12 ottobre 2012
New Moon – Eclipse – Non ci sono complicazioni a sufficienza?
Bella si è sempre sentita un po’ “strana”, o meglio, non si è mai sentita al suo posto, nei primi 17-18 anni della sua
esistenza. Ora si capisce perché…va a innamorarsi, sebbene in due modi diversi,
di un licantropo e di un vampiro. E non si può dire che l’offerta “umana” sia scarsa:
è ammirata e desiderata, ma lei non se ne accorge proprio. In questi due libri,
seguiamo Bella mentre cerca di barcamenarsi nel suo strano ménage: non sa
vivere senza Edward, vuole diventare un vampiro come lui (ma lui fa parecchia
resistenza, all’inizio), e non sa rinunciare a Jacob, il licantropo, che la
vuole per sé e le prospetta quanto vivrebbe, è proprio il caso di dirlo, bene
con lui. Lui potrebbe offrirle una vita, Edward una non-vita. Anche il vampiro,
sebbene riluttante, la pensa in questo modo: non vuole che Bella diventi un
mostro come lui. Edward è l’unico della sua strana famiglia a pensarla così, di
se stesso: si considera un mostro, un assassino pericoloso da tenere a bada e
scacciare. Jacob, invece, è orgoglioso della sua natura di lupo. E’ un’eredità
magica dei suoi avi, che viene usata a scopi benefici: proteggere se stessi e
gli esseri umani dai “Freddi”, dai vampiri come Edward in cerca perenne di
sangue per sopravvivere. Bella, dopo molti tentennamenti, avuti soprattutto per
non offendere brutalmente Jacob con la determinazione della sua decisione,
sceglie come vuole avere la sua vita. Il ritmo di New Moon è un po’ lento e a
tratti irritante: è comune a tutti i secondi libri delle saghe perdere forse
qualcosa della spinta iniziale. L’ho già visto capitare in altre saghe: il
secondo libro è il momento di transizione della storia, dall’inizio verso la
sua conclusione, quando emergono problemi o situazioni nuove, ma non ancora le
loro soluzioni. New Moon è soprattutto dedicato a Jacob (Edward è
momentaneamente e dolorosamente lontano), alla sua trasformazione sempre più
veloce in licantropo e accanito pretendente di Bella, che da parte sua si trova
attratta, ma ancora profondamente legata al vampiro.
mercoledì 10 ottobre 2012
New Moon-Eclipse – Non solo vampiri…
…anche licantropi. Non potevamo trascurarli.
Approfitto della coincidenza di questi giorni, in cui per televisione hanno trasmesso i primi
tre film della Twilight Saga, per un commento veloce sugli altri due libri che
mancano, New Moon ed Eclipse. Manca ancora Breaking Dawn, e un piccolo spin
off, “La breve vita di Bree Tanner”, in cui si parla di una vampira dall’esistenza
brevissima, comparsa in Eclipse. I libri numero 2 delle saghe tendono ad essere
abbastanza noiosi. In New Moon, Bella Swan cade in una depressione
profondissima perché Edward decide di andarsene, per non farle del male. Per
quanto riesca a trattenersi, non è sicuro di riuscire a farlo per sempre. Un
incidente sfortunato in casa Cullen, in cui Bella si ferisce, e rischia di
essere uccisa da uno dei componenti, da poco convertito al “vegetarianesimo”
dei Cullen, ancora incapace di resistere del tutto alla vista e al profumo del
sangue umano, lo convince della sensatezza della sua decisione. Tuttavia,
questa ha ripercussioni su entrambi, sia su Bella, che si lascia morire di
tristezza, sia su di lui, che non riesce a vivere senza di lei. A questo si
aggiunge anche la presenza di una vampira “cattiva”. Non è cattiva solo perché
segue la dieta tradizionale dei vampiri, ma perché vuole vendicarsi dei Cullen
uccidendo Bella; nel libro precedente, Twilight, il compagno della cattiva
Vittoria è stato ucciso da Edward, accorso in aiuto della ragazza sul punto di
diventare il dessert del vampiro. Situazione complicata, insomma. Come se non
fosse sufficiente far innamorare due “razze” diverse, la Meyer aggiunge anche
il motivo della vendetta e della gelosia. All’inizio ho parlato di licantropi.
Parallelo al filone dei vampiri scorre quello dei licantropi. Nel primo libro
emergono, ma sono presentati come una leggenda o poco più. Come se i vampiri
non lo fossero…Uno degli amici di Bella è un giovane indiano della tribù dei
Quileute, Jacob, che vive in una riserva nei boschi vicino a Forks, la città in
cui lei vive. E’ all’interno di quella tribù che si raccontano le leggende dei
licantropi, e di come la tribù stessa discendesse dai lupi. Ci stiamo
allontanando sempre più dall’ambito umano. Di qui a breve, Bella si trova
coinvolta in un triangolo amoroso: lei, il vampiro, e il licantropo, Jacob. E
pensavamo che le vicende di Beautiful
fossero complicate? :-D
martedì 9 ottobre 2012
Book River – Conoscenza che fluisce.
Dopo Spoon River, è anche giusto che faccia la sua comparsa
Book River. L’analogia mi è venuta in mente semplicemente per assonanza. E’ un
nome talmente famoso quello di Spoon River, che non si può dimenticare tanto
facilmente. Non l’ho ancora letto, ma prima o poi colmerò la lacuna. Le poesie
non mi fanno impazzire, per cui le tengo per ultime, quando le leggo. La
delicatezza della poesia non va d’accordo con la mia predisposizione rocciosa. Tant’è
che, al liceo, mentre Leopardi è il preferito di chi ama leggere i classici per
la forza e la levatura dell’espressione con cui manifestava i suoi pensieri e sentimenti,
io preferivo Manzoni, e la sua prosa veloce e sfaccettata. Sì, di solito si
storce il naso di fronte a Manzoni: l’associazione con i Promessi Sposi è
scontata e sottintesa, e con tutto quello che significa, per uno studente
italiano, confrontarsi con questa storia e i suoi personaggi. Ma se lasciamo
stare per un momento quella figuretta scialba e ampiamente sopravvalutata di
Lucia (non l’ho mai potuta sopportare, affermo perentoria), e ascoltiamo la
voce di “Don Lisander”, scopriamo risorse di umorismo intelligente e di forza
espressiva. Ma ne parleremo…La
divagazione nasce facilmente, esattamente come il corso del fiume qualche volta
si modifica, si ramifica a seconda dell’intervento della natura o degli uomini.
E un fiume di libri non ne farebbe eccezione. Nella foto c’è un ruscelletto,
per quanto colmo, di libri che scorrono in mezzo al verde. Se esistesse davvero
un posto simile, ne farei subito la mia casa. Anni fa mi capitava di
fantasticare su una serie di paesaggi surreali e inventati, e di sicuro un’idea
come questa mi sarebbe piaciuta immensamente. Se ci penso bene, però, ho visto
questo fiume di libri abbastanza da vicino, e anche diverse volte. No, non c’entrano
le droghe. Quando spolveravo e risistemavo una delle librerie, spostavo tutto
il contenuto a terra, fino a formare davvero una marea. Se fossero esistite le
fotocamere digitali di adesso, ne avrei già fatto una documentazione
fotografica. E quello era davvero un mare di carta. Spesso…, no diciamo pure
ogni volta che si verificava quell’inondazione, mi sedevo su una pila di libri
e cominciavo a sfogliare quelli che avevo “dimenticato”, per andare a cercare i
passaggi più belli. Inutile dire che la pulizia delle librerie portava via l’intera
giornata. E solo perché qualcuno mi avvertiva di sbrigarmi e di rimettere tutto
com’era, altrimenti sarei stata capace di tirare dritto per un altro paio di
giorni…:-D
lunedì 1 ottobre 2012
La libro-dipendenza - Sintomi e manifestazioni
Chi ha creato quest’immagine, è un genio, oltre che un
libro-dipendente con i fiocchi. Scorrendo la lista, posso dire di aver
manifestato la maggior parte dei sintomi, in modo più o meno accentuato. Per
quanto riguarda le tre di notte tirate anche durante la settimana, ormai non ci
faccio nemmeno più caso. Se il libro merita, l’orologio scompare dal mio
orizzonte visivo. Quando frequentavo il liceo, accadeva spessissimo. In
macchina non leggo mai: non sopporterei di essere interrotta da tutti quei
semafori verdi. Leggere e ridere da sola: mio marito si preoccupa se non lo
faccio. “Essere riconosciuta a vista da edicolanti, bibliotecari e librai”.
Certo che sì. Nel corso degli anni, ho cambiato diverse librerie e biblioteche
(solo per cause di trasloco) che ero solita frequentare, anzi “infestare”, ma
una cosa è rimasta costante: lo sguardo eloquente del bibliotecario, libraio di
turno (edicolante molto meno). “Rieccola. Stavo in pensiero”. Proprio stamattina in biblioteca ho rivisto
quell’espressione, e mi è venuto da sorridere. Vi sono mancata? Tranquilli, non vi abbandono. Siete più sollevati, ora che ve l'ho detto, eh? Insomma, una stalker nel DNA. Innamorarsi di un
personaggio di fantasia? Come si fa a evitarlo? Il mio primo “innamoramento”
serio per una di queste creature di carta fu per Boromir, il fratello di Faramir,
il comandante delle Forze di Ithilien, ne Il Signore degli Anelli. Non riuscii a
capacitarmi per giorni e giorni, quando lessi della sua morte. Fu la prima
divergenza seria con lo spirito di Tolkien. Non riuscii a perdonarlo per
diverso tempo. Il fatto che avevo solo 12 anni non conta. Oggi non mi innamoro
più, ma di sicuro non gradisco quando i miei preferiti vengono uccisi. Normale
routine, chiudere il libro e sapere, oltre che sentire, che la vicenda va
avanti nella propria testa. Al numero 10, per completare, aggiungerei: "Reagire
come un rottweiler a digiuno da mesi quando qualcuno ti porta via il libro
dalle mani mentre stai leggendo". Tutto quello che capita al malvagio
attentatore che si arrischia a strappare via un libro dalle mani di chi lo sta leggendo, è pura e semplice
legittima difesa. Non si fa, e basta. Con me non hanno provato una seconda
volta, da quanto mi ricordo…J
venerdì 28 settembre 2012
Uomini che odiano le donne – Perché?
Niente capita a caso, nella vita reale e nei libri.
Soprattutto nei libri dove l’autore è l’unica autorità totale. I casi di
violenza su donne sono un tassello che s’inserisce bene nella complicata
vicenda delle indagini sulla scomparsa di Harriet. Non svelerò nulla del
difficilissimo e paziente mosaico che si crea sotto le mani di Blomkvist e
Lisbeth: è un’altra caratteristica del libro da gustare con calma, ammirando
con quanta perfezione ogni tessera s’incastri nell’altra, fino a formare un
disegno repellente, che ha un suo senso. Tutto viene spiegato, risolto,
rivelato, pezzo per pezzo. E nemmeno tanto facilmente o con serenità. Ai due
protagonisti non viene risparmiato l’incontro con l’anima nera che sta dietro a
quel disegno, l’unica sopravvissuta di un’intera congrega di anime nere piene d’odio
per chiunque non fosse loro: donne, stranieri, altri colori di pelle. Suona
familiare? Negli anni ’30-’40 del secolo scorso, c’era chi costruiva arringhe
deliranti e urlate su quegli argomenti…
giovedì 27 settembre 2012
Uomini che odiano le donne – E che odio…
Mikael Blomkvist si trova a scartabellare molto
materiale, messo a disposizione da Henrik Vanger: fascicoli di indagini che
dovrebbero essere più o meno segreti, foto, diari dell’epoca, le annotazioni
dello stesso ex magnate. La vicenda dell’indagine privata parte lenta e
costante, e già subito piena di ostacoli. Sembra che ogni pista nuova si
concluda davanti ad un muro. E ancora nessuna traccia dell’odio del titolo.
Stavo cominciando a domandarmi perché l’autore avesse intitolato il suo libro
in questo modo, oltre a qualche ragione di marketing per attrarre il pubblico.
Il giornalista non odia affatto le donne, tutt’altro. Le apprezza
particolarmente, e loro ricambiano anche con trasporto, prendendo anche
iniziative nei suoi confronti. Allora? Mentre Blomkvist accetta riluttante la
proposta, entra in scena in sordina un altro personaggio, molto singolare,
Lisbeth Salander. E’ una giovane venticinquenne, a prima vista una sbandata:
fisico asciutto da adolescente (l’esatto contrario di un certo stereotipo di
stangona formosa biondo lino estremamente generosa e disponibile, che si poteva
trovare in alcuni film italiani di serie B), capelli corti, piercing e
tatuaggi, abbigliamento dark punk, nessuna predisposizione al sorriso, fasciata
di rabbia verso il mondo. Non esattamente Miss Accoglienza 2012.
martedì 25 settembre 2012
Uomini che odiano le donne – Il mistero, prima dell’odio.
Naturalmente, della questione si è occupata la
polizia, senza raggiungere nessun risultato. Semplicemente, non era possibile
scoprire niente di niente. Il fiore apparteneva ad una specie abbastanza comune
in Australia, e in Nuova Zelanda, e raramente coltivata in Svezia, il paese
dove si svolge la vicenda. Le buste che contenevano i quadretti avevano timbri
postali provenienti da tutto il mondo, oltre Stoccolma, ma sempre senza nessuna
impronta. Prima che questo decennale mistero lo mandi davvero fuori di testa, l’anziano
destinatario del bizzarro regalo, decide di rivolgersi a qualcun altro per
farsi aiutare. E’ una persona ricca, potente, autorevole, ex guida di un grande
gruppo industriale svedese, il Gruppo Vanger, con interessi in tutto il mondo:
Henrik Vanger. Come aiutante, sceglie un ambizioso e veloce giornalista, Mikael
Blomkvist, capo redattore di un giornale controcorrente perché indipendente,
Millennium. L’anziano ex industriale convoca Blomkvist dicendogli di volergli
affidare un compito molto delicato, un rebus che si nasconde all’interno della
sua famiglia, che nessuno è mai riuscito
a risolvere: la scomparsa, e la probabile uccisione, della sua adorata nipote
Harriet, avvenuta circa quarant’anni prima. Non ha mezzi termini, Vanger: è
profondamente convinto che qualcuno, un familiare, abbia commesso un omicidio e
sia rimasto impunito per tutti quegli anni. Non va tutto liscio e facile,
comunque. Blomkvist non si lascia convincere docilmente.
lunedì 24 settembre 2012
Uomini che odiano le donne – Quando si dice la provocazione.
Magnifico. Da moltissimi punti di vista. Il titolo,
LEGGERMENTE provocatorio, mi aveva subito attirato, indispettito, fatto
infuriare. Tutto questo prima ancora di posarvi sopra una mano, figuriamoci
leggerlo. Uomini che odiano le donne? Sì, lo so. Come si permettono? Come osano?
La mia immaginazione si era già scagliata furibonda contro questi personaggi di
“odiatori”. A proposito, il termine esiste: ho controllato in Rete,
e anche sul bellissimo e quasi preistorico (per questa era di Web 2.0) Zingarelli
cartaceo. Senza scomodare la cronaca, che è troppo piena di manifestazioni
tragiche e concrete di questo odio, tutti noi abbiamo avuto o abbiamo ancora
sotto gli occhi una situazione simile, anche se molto più leggera di quella
descritta nel libro (c’è da augurarselo, almeno). Io ne ho vissute un paio, e
il sapore e l’odore di quella realtà sono untuosi, sgradevoli. La premessa del
mio incontro con questo libro era già di pregiudizio ben formato e costruito.
Cosa c’è di meglio, come dicevo in un post precedente, che demolire un
pregiudizio a forza di lettura? Dovevo leggere il libro, anche solo per
ricacciare indietro il fantasma. Fin dalle prime pagine, sono stata catturata
subito dall’atmosfera, e dallo stile. Stieg Larsson, l’autore, nasce come
giornalista e ogni parola lo evidenzia molto bene (così come la traduzione).
venerdì 21 settembre 2012
L’esposizione alla conoscenza causa danni ai pregiudizi.
Se vedessi un’immagine del genere stampata sulla copertina
di qualche libro, nello stesso formato e grafica degli avvisi anti-fumo sui
pacchetti di sigarette, non potrei smettere di ridere per un po’ di tempo. A dire il vero è accaduto proprio così, ma
essendo da sola e seduta alla mia scrivania, nessun altro essere umano si è
preoccupato della mia salute mentale e ha contattato la sezione Neuro dell’ospedale
più vicino. Dopo aver smesso di ridere, mi si è innescata una riflessione
libera, che ha preso strade diverse. L’esposizione alla conoscenza danneggia i
pregiudizi e le superstizioni, più o meno gravemente, a seconda di quanto siano
radicati, e di quanto siamo disposti a farceli abbattere. La conoscenza, di per
sé, ha sempre affascinato e fatto nascere paure e sospetti, perché conoscere
attribuisce potere a chi s’informa, studia, sa. Tantissime persone, nel corso
dei tempi, si sono arrogate il monopolio geloso della conoscenza, come se
questa fosse una mela d’oro in premio per i più meritevoli, per coloro capaci
di amarla, rispettarla e gestirla. Qualcuno se l’è arrogata per impedire che la
conoscenza attribuisse anche il potere di usare la propria testa e il proprio
ragionamento per scegliere per sé, senza uniformarsi. Seguendo questo iter, mi è
venuto da pensare al Savonarola, e al “falò delle vanità” che i suoi seguaci
fecero allestire nel 1497 a Firenze. Tra gli oggetti, opere d’arte (comprese
alcune di Botticelli, che il pittore medesimo lanciò tra le fiamme), finirono
anche diversi libri, considerati immorali e pervertitori dei costumi. E qui è
difficile non pensare all’altro famosissimo rogo dei libri, avvenuto nel secolo
scorso nella Germania nazista, il cui scopo era prevalentemente suscitare l’odio
antisemita. Se i libri contengono verità
e conoscenza, chi li distrugge odia la conoscenza, o comunque si ritiene in
pericolo a causa di questa. Molto probabilmente, il suo spirito è debole e le
sue capacità di ragionamento e di discussione poco allenate, da non saper
difendersi dall’influsso delle parole scritte di qualcun altro. Oppure, andando
ancora più in profondità, quelle parole di conoscenza vanno a urtare corde
molto sensibili, e a risvegliare dubbi repressi, che chiedono spazio e ascolto.
Per ironia della sorte, oggi è il “compleanno “ di Savonarola, e apprendendo
velocemente su Wikipedia che la pratica del rogo dei libri è qualcosa di
ricorrente nella storia umana, che si verifica in ogni tempo e luogo, mi è
caduto l’occhio su questa frase di Heinrich Heine: “Dort, wo man Bücher
verbrennt, verbrennt man am Ende auch Menschen…” (laddove si bruciano i libri,
si termina bruciando anche esseri umani), che suona come una profezia sinistra
che si è avverata. Savonarola terminò i suoi giorni sul rogo, e i nazisti non
scamparono tutti al fuoco della guerra che loro stessi avevano iniziato. Chi
libro brucia, brucia come libro? J
mercoledì 19 settembre 2012
La necessità dei libri - Sempre!
Di nuovo Facebook. Nel senso che l’immagine che oggi mi ha fatto
riflettere e sorridere è emersa allegramente dal mare immenso di scambio che è
il social network. Si può dire di tutto,
e si è detto di tutto su Facebook, irritante e adorabile nello stesso tempo, ma
ogni tanto tira fuori vere e proprie perle, come questa. Non è nemmeno così negativo come sembra, ha
pur sempre un “libro” nel suo nome…J
In ogni caso, questa frase, che afferma che le biblioteche non sono un lusso,
ma una necessità, mi trova più che concorde. E questa non è una novità che può
spingerci a chiamare i giornali, lo so. E’ piuttosto chiaro e accertato che i
libri sono per me una necessità, e vedere che qualcuno, lontano nel tempo e
nello spazio come Henry Ward Beecher, riecheggia così bene i miei pensieri e
anche le mie passioni, mi fa provare un senso di “appartenenza” e di affinità. San
Google mi ha velocemente indirizzato verso la pagina wikipedia di Henry Ward
Beecher, per capire chi fosse. Fu un bel personaggio interessante: un politico
statunitense, sostenitore del suffragio universale, dell’abolizionismo e dell’evoluzionismo
darwiniano. Una delle sue sorelle fu Harriet Beecher Stowe, l’autrice de “La
capanna dello zio Tom”. Un vizio di famiglia, l’apertura mentale e della
propria vita. Non meraviglia che il sig. Ward Beecher sostenesse la necessità
dei libri. Nella mia vita sono altamente necessari: per capire, vedere,
provare, esplorare, conoscere, riflettere, ampliare, anche arrabbiarsi,
talvolta. Alcuni libri contengono verità scomode, anche solo per se stessi,
perché vanno a rischiarare e a pungolare quelle zone in ombra che non è poi
così bello far emergere. Una volta fatto, però, si prova sollievo. Ogni tanto,
dopo qualche esperienza del genere, ed “esserci sopravvissuta”, mi fa poi dire:
“tutto qui? Il mostraccio repellente è poi un cumulo di polvere, vedo…”
giovedì 6 settembre 2012
Magnetismo Personale - E’ l’amore che conta
Un libro che si è rivelato una calamita, un “magnete”. Avevo già comprato diversi titoli, pensavo di
essere “a posto” per qualche tempo (dovrei smetterla di raccontarmi queste frottole,
ormai sono grande…J),
ma quando ho guardato la copertina di questo libro, ho deciso che doveva venire
via con me. Secondo me, chi ha deciso la sua veste grafica, nella casa editrice
che l’ha pubblicato, ha fatto anche un buon lavoro estetico: il libro è in
formato A5, di dimensioni più piccole del consueto, con una rilegatura spessa,
e un cordino segnalibro dorato all’interno. L’aspetto è quello di un libro d’altri
tempi, “magico”, e per questo attraente come un magnete. L’attrazione continua
anche all’interno, nei contenuti. Il linguaggio ha un sapore d’altri tempi, ed
ha un ritmo pacifico, calmante. A prima vista, si direbbe un altro degli
innumerevoli libri di “auto-aiuto”, che insegna le tecniche per riuscire nella
vita e avere successo, denaro. Dispensa consigli su come comportarsi, dettati
dal buon senso, fino ad assomigliare, in alcuni punti, ai manuali di
comportamento e di educazione così prolifici nei secoli scorsi. Persino nelle
letterature antiche, di ogni latitudine, dai Greci ai Vichinghi, esistevano opere
che istruivano a diventare uomini accorti e saggi, guerrieri valenti, persino
mogli (e nuore) efficienti. Al di là di tutti i consigli e le istruzioni
fornite dal libro, l’autore indica abbastanza presto da quale premessa deve
muovere l’uomo o la donna che intenda avere “magnetismo” e voglia attrarre
successo, fama e stima altrui.
venerdì 31 agosto 2012
Vittima dei libri. E contenta di esserlo!
Giorni fa, su Facebook, ho visto questa immagine pubblicata
in una pagina dedicata allo scambio di consigli di lettura. La frase mi ha
fatto sorridere, oltre che annuire ad ogni parola. I libri sono davvero una
droga in rilegatura pesante, che non fa correre rischi di overdose e che rende
felici le sue “vittime”. All’antica, io ho parlato di “furore” di aver libri,
dal titolo di quel testo del Settecento italiano che non smette mai di
affascinarmi. E’ qui vicino a me sulla mia scrivania, tranquillo. Non mi ha
ancora detto tutto, però, di quello che contiene. Non certo perché non si lasci
aprire e leggere…ma c’è qualcosa di non detto, in questo libro, che mi spinge a
cercarlo come se fosse l’oggetto di una caccia al tesoro. Forse è solo l’effetto
della droga di libri che si rilascia nell’organismo. Quell’impulso a leggere
scavando nelle frasi, quasi a cogliere quello che c’è sotto. Ogni tanto, quando
chiudo un libro dopo averlo letto o anche solo per far riposare un po’ la vista
(poco, non possiamo perder tanto tempo a far nulla, J), mi soffermo su una frase,
una scena, un capitolo che ancora mi ballano in mente, chiedendo all’autore:
cosa volevi davvero dire? Cosa ti ha spinto a scrivere così, di questo
argomento? Faccio un “viaggio” anch’io, anche se con la mente, nel puro campo
delle ipotesi più sparate, e senza l’effetto deleterio di sostanze estranee
iniettate, sniffate, inghiottite. Quanto
mi piacerebbe che questo tipo di “droga”, fatta di rilegature di carta e
cartone di forme e colori vari, che tengono insieme fogli scritti in tutte le
lingue del mondo, venduta agli angoli delle strade, si diffondesse a macchia d’olio.
Potremmo sentire parlare di grandi concentrazioni di “librina pura” consegnati,
e non più sequestrati , dalle Forze dell’Ordine, a centinaia di giovani e non
giovani che, sotto i loro effetti, diventerebbero più colti, più calmi, più
sapienti, più riflessivi. Nessun rischio di overdose, nessuna degradazione
fisica o spirituale, nessuna morte assurda. Utopia pura e anche spinta, vero?
Non importa: non si può ancora dire se un giorno si avvererà o meno. Anche un Presidente nero alla Casa Bianca era pura fantascienza fino a qualche tempo fa...:-)
domenica 12 agosto 2012
L’enigma della morte di Marylin Monroe – Una ricostruzione plausibile
Probabilmente perché gli autori sono docenti di materie
scientifiche, lo stesso libro ha un approccio scientifico ma non freddo all’argomento.
Mette in risalto alcune caratteristiche passate in secondo piano o
completamente ignorate da altri giornali e scrittori che si sono occupati del
misterioso decesso. Marilyn fu trovata morta nella sua villa di Los Angeles,
che aveva acquistato mesi prima. Nel pavimento dell’ingresso, alcune mattonelle
riportavano una citazione di San Paolo: “Cursum Perficio”, “ho terminato la mia
corsa”, che suona piuttosto sinistro, come se fosse una premonizione della fine del suo corso di vita. Leggendo
anche le vicende di quei mesi, e la trascrizione di alcuni dei colloqui con uno
dei suoi analisti, Marilyn stava finendo anche il corso stesso della sua
analisi. Dopo essere stata in cura da diversi terapeuti, tra cui la stessa
figlia di Sigmund Freud, l’attrice arriva alla conclusione di non averne più
bisogno. Dopo mesi, anni, passati a scavare nelle lacune e nelle ferite della
sua anima, a rivedere, rimescolare e a piangere sul rapporto nero con una madre
inesistente e troppo lontana, a cercare di vivere nonostante tutte le angosce e
le solitudini che questo le causava, Marilyn vede con lucidità che ha
terminato. E non perché è guarita. Non si può andare oltre. Non si può risanare
qualcosa che non è mai stato sano. E’ la conclusione che aleggia da alcune
frasi dell’attrice, una consapevolezza lucida e sinistra che l’ha accolta e
accompagnata fino alla morte. Se si segue questo filone di pensiero, è facile
pensare che Marilyn davvero si sia suicidata perché sconvolta dal non poter più
fare nulla per se stessa, e tutto questo avrebbe una sua logica. Eppure, gli
autori mettono l’accento sulle mille stranezze della notte in cui l’attrice
viene trovata morta.
mercoledì 8 agosto 2012
L’enigma della morte di Marilyn Monroe – 50 anni dopo, un’indagine scientifica
Cinquant’anni fa, e più precisamente il 4 agosto 1962,
veniva ritrovata morta Marilyn Monroe, attrice americana dal fascino e dal
richiamo planetari. Lei era la Donna, la Dea della Bellezza, il Fascino
personificato. Io l’ho “conosciuta” parecchi anni più tardi, proprio attraverso
la sua morte, avvenuta in circostanze mai chiarite del tutto, e circondata da
misteri, voci incontrollate, insabbiamenti. Un anno dopo sarebbe morto in un attentato John Fitzgerald
Kennedy, strettamente collegato a lei, sia in vita sia in morte, e poco dopo
ancora Bob Kennedy, il “fratellino” ministro del Presidente, anch’egli vicinissimo
all’attrice. I casi di Marilyn Monroe e John Kennedy, oltre ad essere collegati
per i fatti che crearono, continuano ad essere legati e a rivaleggiare quasi,
tra di loro, per quanto riguarda il sospetto e la mistificazione che sorsero
intorno ai loro decessi. Per quanto riguarda Marilyn, la polizia arrivò in
fretta ad una conclusione e ad un’archiviazione: probabile suicidio. Del resto,
era difficile escluderlo categoricamente dalla lista delle possibili opzioni.
La vita di Marilyn era un cristallo: la facciata lucida e splendente, fatta di
bellezza, desiderio, soldi e fama, stesa a coprire a malapena un’interiorità
piena di incrinature, che crollava facilmente sotto la pressione di una piuma. Riviste
di ogni tempo, libri, servizi televisivi hanno ripercorso tutti gli eventi di
quei trentasei anni di vita, fatti di abbandoni, affidamenti a estranei,
violenze, carriera cinematografica strepitosa e declino.
lunedì 6 agosto 2012
La mennulara – Verga sì, ma con un tocco di Cluedo…
L’annuncio mortuario, così com’è stato scritto nelle volontà
imperiose della Mennulara, deve comparire su certi giornali, in certi spazi ben
determinati, ed è cura degli Alfallipe fare in modo che questo avvenga. Questa
disposizione non è molto gradita da quasi nessuno della famiglia; si sentono,
quasi tutti, presi in giro e sminuiti da una semplice “criata” che non ha mai
saputo veramente stare al suo posto in vita e che, nemmeno da morta, mostra di
conoscere l’importanza delle gerarchie sociali! A parte la madre di famiglia,
legatissima alla cameriera perché completamente dipendente da lei, gli altri
membri Alfallipe sono inviperiti e feriti nell’orgoglio, per cui decidono di
fare di testa loro, contravvenendo alle loro abitudini di ricchi svogliati e
incuranti, e fanno uscire un annuncio mortuario modificato a loro gusto. Si
sente una certa atmosfera tesa, sotto questa decisione, una certa paura superstiziosa
dell’ignoto e di cosa potrebbe accadere, contravvenendo alle volontà della
morta. Temono che possa addirittura tornare dall’aldilà a rimproverarli…e in un
certo senso aspettavo anch’io un colpo di scena medianico (di nuovo i
vampiri??) con un ritorno dall’oltretomba. La suspense è forte…ma nessun
vampiro, revenant o non-morto. Non per diversi giorni, almeno, finché non
arriva una serie di lettere, scritte dalla Mennulara, rivolte alla famiglia,
con una serie di istruzioni precise. Il particolare che suona macabro da storia
horror è il fatto che le lettere della scrivente (o meglio, di chi le ha
scritte sotto sua dettatura) arrivano dopo la sua morte, ma poi l’oscura mano
artigliata del buio dell’ignoto svanisce sotto la luce quasi accecante della
consapevolezza della cameriera. E qui l'atmosfera si stempera un po' nel giallo-cluedo.
giovedì 2 agosto 2012
La mennulara – Giovanni Verga negli anni ‘60
Dopo streghe, vampiri, gatti tuttofare, draghi, si torna con
i piedi per terra. E in una terra particolare, in Sicilia, negli anni ’60. Per
essere precisi, il libro si apre il 25 settembre 1963, con un lutto: muore
Rosalia Inzerillo, la Mennulara del titolo, cameriera della famiglia Alfallipe,
notabili del paese di Roccacolomba. L’inizio è piuttosto lento, quasi
sonnolento; il medico constata la morte della cameriera, avvenuta in un soffio,
in silenzio. Dopo averla comunicata alle persone che lo attendono in
anticamera, tutte animate da sentimenti diversi, prende avvio un
romanzo-concerto fatto di mille voci. Ciascuna di esse “canta una strofa”, per
proseguire la similitudine musicale, contribuendo a comporre la canzone della
vita della Mennulara, rimasta senza voce
per intervento della Natura. Una delle rievocazioni della figura di questa
donna controversa, in effetti, la ritrae bambina tredicenne mentre canta con
voce forte e intonata, dedicandosi con ferocia a raccogliere mandorle. “Mennulara”,
raccoglitrice di mandorle, è il soprannome che le è rimasto, da quella prima
occupazione giovanile, cercata con furore per poter aiutare il magrissimo
bilancio domestico, rimasto sulle spalle del padre a causa della malattia della
madre.
La Mennulara rivive nei racconti di volta in volta astiosi, ammirati,
invidiosi, sprezzanti delle persone del paese, a partire dai suoi stessi
ex-padroni, la sua famiglia, i conoscenti. Si delinea un ritratto di donna
forte, autoritaria, prepotente, impavida, in contro-tendenza con i suoi tempi,
il suo sesso, il suo ruolo. Gli Alfallipe, i suoi padroni, sono i classici
ricchi oziosi, preoccupati solo dei propri piaceri e di non essere infastiditi
mentre li perseguono. Adorano la ricchezza, ma non se ne occupano, non la
amministrano, perché lo lasciano fare agli altri, che possono sporcarsi mani e
tempo facendolo.
domenica 29 luglio 2012
Le streghe di East End – Divinità nordiche, vampiri, zombie, processi per stregoneria…? Niente è come sembra.
La storia, però, si ripete. A Salem avvenne il sanguinoso
processo alle streghe nel XVII secolo, in cui troviamo coinvolte anche le tre
dee, che non se la cavarono. Per quanto immortali, capita anche alle due dee
più giovani, Ingrid e Freya di “morire”: per stregoneria, per incidente,
raramente per malattia. Ritornano in vita sempre attraverso la madre, Joanna, che
si trova all’improvviso ringiovanita e incinta. Il modo in cui la Melissa
descrive questo avvenimento è davvero spassoso. Allo stesso modo, quello che ho
trovato molto divertente è il modo in cui finisce per mescolare personaggi e
tradizioni diverse. Poiché le dee nordiche non sono sufficienti, compaiono a
movimentare la narrazione un paio di vampiri, guest star, che è meglio non
inimicarsi. Arrivano da New York , sono della stirpe dei Caduti, e sono
talmente potenti da avere in mano l’intera città, se non il mondo. E’ un’idea
che si trova anche in Twilight e negli altri libri della serie. In mezzo a noi
umani camminano queste creature, più o meno assetate di sangue umano, a seconda
del loro regime alimentare, che vanno però quasi sempre ad occupare posti
chiave nel mondo. Non mi è ancora capitato di vedere un vampiro povero, nei
libri che ho letto finora. Forse caduto in disgrazia, in depressione (ebbene
sì, Anne Rice li fa cadere in depressione nel suo bellissimo ciclo, al punto da
indurli a “seppellirsi” letteralmente sotto metri di terra, come se fossero
lombrichi), imbruttito, indebolito, ma povero mai.
giovedì 26 luglio 2012
Le streghe di East End – La mitologia nordica reinterpretata.
L’estate si sta approfondendo. Si avvicina anche il momento
di partire per le vacanze, mare, montagna, estero, città d’arte, paesi d’infanzia.
Magari con una borsa di libri, perché adesso si ha più tempo. Per una furiosa
come me, ogni stagione è il tempo dei libri. Tutto il resto viene dopo. Suono
fanatica. Sì, lo ammetto. I libri sono quegli oggetti nel mondo umano che mi
fanno vedere tutto solo bianco o solo nero. In altri campi, esistono infinite
sfumature di grigio. Questo libro è un regalo molto gradito, che arriva dalla
biblioteca di Marzia. Leggendo il titolo, la prima connessione che si è
verificata nei neuroni preposti era con le streghe di Salem, uno dei casi di
stregoneria più feroci, per come sono avvenuti i fatti, della storia umana. E
poi con uno dei molteplici libri ispirati, Le notti di Salem, di Stephen King.
Nonostante siano passati diversi anni da quando l’ho letto, avverto ancora
qualche brivido freddo. Niente di tutto questo. Il brivido di freddo, più che
altro un fresco piacevole, si può ritrovare nei riferimenti abbondanti alle dee
della mitologia nordica, su cui è costruito il libro. Non conoscevo l’autrice e
nemmeno il genere cui appartengono i suoi libri. Dopo qualche ricerca (Internet
Santa Subito), ho scoperto che Melissa De La Cruz ha scritto moltissimi libri,
quasi tutti del genere urban fantasy. L’urban fantasy è un sottogenere del
fantasy: le sue storie inventate sono ambientate in posti reali, al contrario
del fantasy vero e proprio in cui personaggi e trame si svolgono in ambienti e
paesaggi completamente di fantasia. Le
protagoniste, qui, sono tre donne, una madre e due figlie: Joanna, Ingrid e
Freya, che vivono a North Hampton, una cittadina americana di provincia, uguale
a tante sue consorelle di tanti altri libri, film e telefilm (tipo Cabot Cove
de La Signora in giallo, tanto per intenderci). Non sono donne qualunque. Sono dee, sotto
mentite spoglie. Il nome Freya mi aveva subito messo sull’attenti…
lunedì 23 luglio 2012
Fai bei sogni – Il grande enigma, il grande gioco, la grande illusione
Si avvicina
la fine del libro, e anche quello della resa dei conti. Per tutte le pagine,
c’è un senso di attesa sotto, qualcosa che continua a mandare segnali perché
c’è qualcosa che non va. Il Massimo adulto viene a conoscenza di com’è morta
sua madre, davvero. Non scendo nei dettagli, anzi, li evito decisamente. Quando
riusciamo a trovare il tassello mancante in una situazione nella nostra vita (e
se siamo particolarmente bravi/fortunati/tenaci/coraggiosi/pazzi quello che
risolve l’intera vita), improvvisamente tutto quadra e s’infila al proprio posto,
come nei giochi di bambini dove inserire e indovinare la forma geometrica
giusta. Quasi per magia. Ogni cosa che guardiamo, pensiamo, via! Vola al suo
posto, dopo mesi, anni di sforzi apparentemente inutili. E’ quello che accade a Massimo: non
solo eventi della sua infanzia acquistano un altro significato, ma anche il
rapporto con il genitore rimasto, e poi andato via, suo padre. Tutte le azioni
del padre acquistano un altro spessore, un altro significato, migliore e più
completo. La freddezza e distanza apparenti diventano uno schermo che ha tenuto
lontani padre e figlio per tutti gli anni dopo la morte della madre, come in
uno spartiacque invalicabile. Ma è davvero invalicabile, ogni muro, ogni limite
che tiriamo su, basandoci molto spesso sulla nostra interpretazione dei visi e
degli umori altrui, sulle nostre proiezioni dettate dalle nostre menti che non
tacciono mai, e mai prendono in considerazione l’alternativa più positiva in un
ventaglio di ipotesi?
giovedì 19 luglio 2012
Fai bei sogni – Una vita in punta di piedi
Confesso che ho letto il libro con un senso crescente di
straniamento. Non saprei nemmeno spiegare, per quale motivo strano, ritenevo
che Massimo Gramellini non stesse parlando di se stesso, ma stesse raccontando un
romanzo in terza persona. Gli eventi, descritti, quindi, una madre che muore
giovane lasciando un figlio bambino, non potevano essere pezzi di vita sua, ma
un espediente letterario. Ripeto, non so proprio spiegarmi perché escludessi a
priori che la vita dell’autore fosse libera da dolori e angosce; un personaggio
famoso, capace di scrivere come lui, doveva forse essere al riparo da qualunque
avvenimento doloroso? Il dolore, invece, non si è tenuto minimamente lontano
dalla sua vita, tutt’altro. Si è presentato nel modo peggiore, camuffato sotto
tutta una serie di scuse e giustificazioni degli adulti, preoccupati che il
bambino Massimo dovesse soffrire troppo, di fronte alla verità spietata, ovvero
che la madre stava morendo. E capita in modo strano, ovattato. Si sente subito,
nelle parole di Gramellini che parla da bambino di quello che stava vedendo con
i suoi occhi “bambini”, che c’è qualcosa di non detto, di nascosto solo
parzialmente, come un’ombra goffa e pesante nascosta dietro una tenda
semitrasparente. Ed è una sensazione che accompagna per tutto il libro,finché
quella tenda non viene aperta. E non
dirò mai cos'era l’ombra, poiché è troppo importante fare la sua conoscenza,
prima di ascoltare il suo urlo quando viene scoperta. Un urlo che è già stato
sentito, ma non ascoltato, per almeno quarant’anni, per la durata della vita di
Gramellini.
lunedì 16 luglio 2012
Fai bei sogni – L'eco del dolore altrui
Questo libro è entrato dalla porta di servizio. Nel senso
che non è rimasto attaccato alle mie mani, ma a quelle di mio marito, che lo ha
scelto d’istinto. Io, naturalmente, mi sono ben guardata dal muovere qualunque
tipo di obiezione. La mia missione principale, nella vita, è quella di dare
asilo ai libri, salvandoli dalla solitudine delle librerie. Non è da trascurare
il fatto che a me piace moltissimo lo stile di Massimo Gramellini: ogni tanto
il suo nome si sovrappone, nella mia mente, a quello del giornale di Torino per
cui scrive, La Stampa. Difficile prescindere da lui, se vivi in questa città e
leggi quel giornale. Spesso non leggo nemmeno i titoloni in alto degli articoli
più in alto, quando compro La Stampa fisica, ma vado ad accertarmi che ci sia
il suo “Buongiorno” e a leggere il relativo titolo. Poi acquisto. Allo stesso
modo, nella versione online del giornale vado a guardare la sua rubrica, anche
facendo veri e propri camel trophy per trovarla, perché non è immediatamente
visibile, come nella sua controparte di carta. Misteri da webmaster. Scoprii l’esistenza
e lo stile di Massimo Gramellini all’epoca di Specchio, il supplemento del
sabato, con la sua rubrica, Cuori allo Specchio. All’inizio mi era quasi
completamente sfuggita: l’avevano messa in ultima pagina, che è il luogo che
scarto quasi a priori. Mi sono accorta presto, però, che il detto “dulcis in
fundo” qui è particolarmente adatto, per cui l’ultima pagina per me divenne
prima: adottai la lettura alla “giapponese” per Specchio…J Quello che mi colpì
quasi subito del modo di scrivere di Gramellini era il suo stile molto vivo, di
carne.
giovedì 12 luglio 2012
Assassinio nella Cattedrale – La tentazione
L’atmosfera è pesante, tetra e senza alcuna speranza, da
subito. Un coro di donne, che sembra uscito direttamente dalle tragedie greche,
fa sentire subito la disperazione di un giorno di dicembre del 1170, quando
tutta la vita sembra essersi fermata per l’inverno. Sono preoccupate per se
stesse, per gli oscuri presagi che leggono nella natura intorno, per
l’Arcivescovo e la difficilissima posizione in cui si è messo, ostacolando la
volontà del re. Alcuni preti entrano dopo di loro, e la conversazione è sullo stesso
tenore: nessuno di loro vede la possibilità di un esito positivo della vicenda.
Quando entra Thomas à Becket, non ci sono grandi cambiamenti: lo stesso
Arcivescovo si sente segnato, sente che il suo tempo è contato e che non può e
non vuole farci nulla. La prima volta che lessi il libro, al liceo, avevo
soggezione di questa atmosfera tragica, di tono così elevato. Thomas à Becket,
fin dall’inizio, sa che deve morire, che non può non morire, e accetta la sua
fine inevitabile con coraggio sereno. Ora, a distanza di anni e con una visione
almeno un po’ più ampia e sperimentata, sarei portata a pensare che l’arcivescovo
si è arreso troppo presto al suo ruolo di martire.
mercoledì 4 luglio 2012
Assassinio nella Cattedrale – Un titolo cinematografico
Di nuovo Eliot. Dopo aver finito di leggere Il libro dei
gatti tuttofare, ho scoperto che non potevo fare a meno di ritornare all’altro
titolo che ho già nominato di Eliot, Assassinio nella Cattedrale. Lo lessi a
scuola, e la mia immaginazione piuttosto fervida si era avventata subito sul
titolo, dai toni apocalittici, cinematografici, e dai molteplici echi. Non
conoscendo ancora Eliot e non sapendo collocarlo nel suo tempo, la prima cosa
che pensai fu ad un giallo sul modello di quelli di Agatha Christie. Rimuginando
sul titolo, mi sembrava di sentire alcuni echi del genere “Hanno ammazzato
compare Turiddu!”, che è l’urlo che chiude Cavalleria Rusticana, di Verga. Ok,
sono consapevole che sono due autori, due libri, due situazioni completamente
diverse. Ma hanno in comune una matrice tragica che corre al di sotto delle due
narrazioni, e che non si può rovesciare. I protagonisti finiranno entrambi
uccisi, lo sanno entrambi (Cronaca di una Morte annunciata…sì, questo titolo di
un’opera completamente a se stante potrebbe essere il sottotitolo ideale di
parecchi libri. Ora si capisce meglio cosa s’intende per “Furore d’aver libri’”?
Si inizia a parlare di libri e la frenesia s’impadronisce, spingendo a
richiamare alla memoria autori e libri diversi, antitetici, uguali, separati
alla nascita) e non lottano per cambiare questo stato di cose. Sanno che è
ineluttabile, ed è necessario per loro finire così. Entrambi, Turiddu e Thomas
à Becket, l’arcivescovo di Canterbury, hanno offeso un’autorità, che non
prevede il perdono per quello che hanno fatto.
domenica 24 giugno 2012
Il libro dei gatti tuttofare – La rassegna
Inizia la rassegna dei tipi di “gatti tuttofare”. Il primo
gatto è in contemplazione muta e immobile del suo nome. Gli altri manifestano
la loro essenza nei modi più diversi. La vecchia Gatta Gianna Macchiamatta (The
Old Gumbie Cat) siede senza far nulla sui gradini di casa per tutto il giorno.
Ma quando cala la sera, improvvisamente entra in scena: va in cantina, scova i
topi e invece di mangiarseli si occupa della loro educazione: musica, ricamo,
lavoro ad uncinetto, cucina. Non è quantomeno bizzarro? Queste prime righe mi
hanno riportato alle atmosfere allucinate di Alice nel Paese delle Meraviglie,
con il Bianconiglio indaffaratissimo e spaventatissimo dall’enorme ritardo
accumulato nello sbrigare le sue faccende. Si prosegue con un Sandogatt (eh, sì…J), che forse suona più
divertente alle nostre orecchie latine di Growltiger, l’originale inglese, che
è un gatto d’assalto. D’aspetto trasandato perché reduce di mille battaglie,
duro e poco piacevole, è il primo a farsi coinvolgere in ogni rissa, se non a
iniziarla. E’ mosso da odio e volontà di vendetta verso altre razze di gatti,
come i Persiani e i Siamesi, poiché uno di loro ebbe il coraggio di strappargli
un orecchio. Il terrore di tutti i porti, il “bullo” per eccellenza, però,
viene ripagato della sua vita di violenze e soprusi, nell’ultima lotta che lo
vede perdente e costretto a saltare giù da un muretto in acqua. Alla terza
poesia, ci si rende conto di come Eliot abbia voluto prendere in giro alcuni
tipi umani piuttosto precisi: il Tirammolla (the Rum Tum Tugger) è un gatto
perennemente indeciso e “bastian contrario”. Se gli si offre un cibo, ne vuole
un altro. Se viene portato fuori casa, rientra in casa. Se viene tenuto in
casa, miagola perché vuole uscire. Irritante, eh? “ed è del tutto inutile
sgridarlo:/lui alla fine fa/solo quel che gli va/e non c’è nessun modo di
cambiarlo.” (T.S.Eliot, Il libro dei gatti tuttofare, pag. 31, Bompiani) Vedo un riflesso
abbastanza familiare…
venerdì 22 giugno 2012
Il libro dei gatti tuttofare – Il nome dei gatti
Iniziamo a parlare di nomi, allora. La prima poesia s’intitola
proprio così, Il nome dei gatti. Sembra una faccenda da poco…ma è davvero così?
Si potrebbe girare la domanda a qualche proprietario, o meglio, a qualche
co-inquilino umano del suddetto animale. Eliot non pensa che sia una questione
facile, e inizia: “ E’ una faccenda difficile mettere il nome ai gatti;/niente
che abbia a vedere, infatti/ con i soliti giochi di fine settimana…”(Eliot, Il
libro dei gatti tuttofare, pag. 5, Bompiani). Ed espone poi la sua teoria. I
gatti, in realtà, non devono avere solo un nome, ma tre. Uno, domestico,
tollerato dall’animale (aggiungo io, questa è una mia impressione), di uso “comune”.
Probabilmente per dare all’umano l’illusione di possesso sulla bestiola. Il
secondo, è il nome che il gatto considera più appropriato per sé e che lo fa
incedere sussiegoso e ben pieno di sé. Almeno, secondo i suoi canoni…Eliot ne
dà qualche esempio, come Mustrappola, Tisquass, Ciprincolta (originali inglesi:
Munkustrap, Quaxo, Coricopat), “nomi che vanno bene soltanto ad un gatto per
volta”. (ibidem) E questi sono i nomi che identificano ogni gatto, esattamente
come i nomi umani identificano le persone tra di loro (e noi abbiamo anche i
cognomi, per sconfiggere le omonimie), e in qualche modo le modellano.
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